Da una sola parte della barricata
Il writing come fenomeno di libera espressione nasce alla fine degli anni ’60 all’interno delle maggiori metropoli statunitensi. Praticato soprattutto dalle comunità chicane e nere, si propaga come un incendio ed evolve in una babele di forme lettere e colori, diventando in breve tempo un linguaggio diffuso. La sua prima finalità è quella di rompere le diverse dinamiche di esclusione sociale a cui erano soggetti i ragazzi delle grandi periferie e trova le sue fondamenta in una pratica di riappropriazione illegale degli spazi urbani. E così, nel vuoto delle politiche culturali riservato ai tanti soggetti marginali che vivono le grandi metropoli americane, nasce spontaneamente una nuova forma di espressione artistica che nel corso di alcuni decenni metterà radici in tutti e 5 i continenti. Si tratta di un linguaggio che vuole innanzitutto essere un grido per uscire dall’anonimato e dalla noia, che resta indissolubilmente legato al concetto di autoaffermazione e che nel corso degli anni costruirà intorno alle sue diverse pratiche una vera e propria filosofia.
Se col passare del tempo i writers sono arrivati a conquistare spazi anche all’interno delle gallerie d’arte e dei circuiti più mainstream, la benzina che ha sempre alimentato questa passione ancora oggi va ricercata sia nel concetto di sfida alle autorità sia di riappropriazione, più o meno cosciente, che sta dietro ad ogni pezzo fatto su un muro o su un treno.
È da questi presupporti che vogliamo partire per lanciarci in una riflessione più ampia.
Ciclicamente in diversi contesti, città e paesi abbiamo assistito alla crescita di un movimento di writing. Ogni volta l’abbiamo visto legarsi alle peculiarità del territorio in cui writers e street artists andavano ad esprimersi. Questo significa che vi è un codice consolidato a cui fare riferimento, ma significa anche che ogni singola realtà si è sempre necessariamente evoluta nel legame con il proprio tessuto urbano e con la propria cultura. È evidente quindi come il carattere di multiculturalità sia proprio di questa forma di espressione.
Che oggi, soggetti politici che non hanno mai nascosto la loro provenienza ed il loro legame con gli ambienti più intolleranti e razzisti e che ancora rivendicano con orgoglio le loro radici chiaramente fasciste (a prescindere dai vari tentativi di crearsi una faccia più ‘moderna’ e presentabile per l’opinione pubblica) cerchino di utilizzare questo linguaggio all’interno di iniziative come quella che Casapound ha lanciato a Roma per il 14 e 15 di maggio, deve essere percepito come una provocazione inaccettabile per chiunque abbia dedicato tempo e passione a questa forma di espressione artistica. Non si tratta di scegliere di schierarsi da una parte o dall’altra di un’ipotetica barricata, ma semplicemente di impedire un’infiltrazione di soggetti che nulla hanno a che fare con questo mondo all’interno di un movimento che vive, esiste e si evolve spontaneamente su altri valori e contenuti da più di 40 anni.
Vogliamo ricordare come questi lugubri soggetti siano gli stessi che, se da un lato si professano ‘rivoluzionari’ ed antagonisti, dall’altra vivono sotto la protezione di quegli stessi partiti politici che nel corso degli anni in Italia, hanno costruito campagne deliranti contro i graffiti in tutte le città che hanno amministrato: dalle taglie sui writers in salsa milanese alle diverse squadre antigraffiti costituite in altre città della penisola. Casapound da una parte sostiene i vari sceriffi delle diverse amministrazioni, godendone dei favori politici, dall’altra cerca di riciclarsi come paladina di libere forme di espressione che non le sono mai appartenute… inutile sottolineare come questa operazione sia destinata a fallire da sola. Tuttavia deve diventare un’occasione per rivendicare invece quelle che sono le reali caratteristiche di questo movimento: contaminazione, multiculturalità e quindi antirazzismo.
Come writers siamo sempre stati abituati a rispondere colpo su colpo agli attacchi repressivi delle amministrazioni cittadine: abbiamo sempre alzato il tiro, tanto di fronte all’aumento dei vigilantes e delle guardie nei depositi quanto in strade sempre più pattugliate da polizia e carabinieri. Le città le abbiamo conquistate strada per strada, tetto per tetto, yard per yard, deposito per deposito: questa per noi è l’essenza di ciò che significa dipingere e questo è come lo facciamo.
Che poi i graffiti abbiano sempre attraversato gli spazi liberati e autogestiti delle diverse città, così come le altre discipline della cultura Hip Hop non è un proclama, ma una semplice constatazione: la scena in Italia non è certo appannaggio esclusivo dei centri sociali, ma nei centri sociali ha sempre trovato terreno fertile nella condivisione di valori e pratiche, ieri come oggi. E questo almeno, come writers e come compagni ci teniamo a rivendicarlo. Negli spazi autogestiti il writing ha sempre trovato spontaneamente spazi di libertà ed espressione. Con soggetti come Casa Pound non c’entra e non può c’entrare nulla. Punto.
Non permetteremo a nessuno, tanto meno a soggetti impresentabili per chiunque ami questa forma di espressione e vi abbia dedicato passione, di appropriarsi di qualcosa che appartiene a chi le strade le sente e le ha vissute in tutti questi anni. Quello che faremo sarà semplicemente fare quello che abbiamo sempre fatto: riprenderci le strade per riempirle di tutti i contenuti che danno un senso ad un movimento che non si lascerà mai manovrare.
LE STRADE SONO NOSTRE!
DOVE C’E’ LIBERTA’ DI ESPRESSIONE NON CE’ SPAZIO PER ALCUN FASCISMO!
VolksWriterz Crew Milano per Infoaut
Maggiori info: http://www.lestradesononostre.org/
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