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Dalle università alle metropoli riprendiamoci tutto!

Ma che così non è, è sotto gli occhi di tutti. Almeno per due ragioni. La prima riguarda proprio le strategie di chi oggi ci governa: le ricette fin qui proposte non vanno mai oltre il “già visto” e parlano il linguaggio sporco di una finanza arraffona e parassitaria, di un piano strategico di disintervento statale, di privatizzazioni e corruzione. Tutto ciò trova compiuta sintesi proprio sotto l’ombrello di un’austerity che rappresenta l’ennessima aggressione ai nostri diritti fondamentali, ai servizi, alle nostre possibilità di vita. La seconda ragione è empirica: in questi mesi le lotte contro questi governi si sono moltiplicate, radicalizzate e radicate nel corpo vivo dei nostri territori, delle nostre città. Fasi di allargamento della conflittualità sociale (non sufficiente, questo è chiaro) che vedono sempre più e nuovi soggetti affacciarsi sul palcoscenico dell’opposizione, del rifiuto dell’austerity e dei diktat europei, bancari, e oggi, renziani. Chi ha attraversato Porta Pia e il 19 Ottobre, per esempio, lo sa bene. Quella ritrovata capacità di mobilitazione, non può certo essere ridotta soltanto alla pratica, messa in campo in quella grande giornata, dell’assedio; essa parla ed è riferibile soprattutto al processo a cui quelle giornate hanno saputo dare avvio poi nei territori, una volta “tradotta” dai movimenti nei propri specifici contesti e luoghi di provenienza.

Vogliamo continuare ad alimentare e coltivare quel concreto divenire che si è sviluppato a partire da Porta Pia in questi mesi: mesi in cui la lotta per la casa è stata protagonista in ogni città, riproducendosi e allargandosi; mesi in cui operai, precari e disoccupati – non garantiti – non hanno atteso convocazioni di scioperi dall’alto per scendere in piazza; mesi in cui anche la legittimità dell’antagonismo e dei movimenti, in faccia anche alla repressione, ha trovato lo spazio per riempire di significato e dignità le strade dei nostri quartieri, delle nostre città.

Dobbiamo ripartire da dati concreti e da ipotesi di lavoro qualificanti un potenziale trend di crescita della forza soggettiva dei movimenti, di momenti conflittuali e dagli spazi di antagonismo aperti non deterministicamente dalla crisi in sé, ma dalla nostra capacità di viverla, agirla, ribaltarla. Così, per esempio, non possiamo negarci che, a fronte di una comunque nutrita componente giovanile, le piazze che da ottobre in poi hanno dettato una nuova agenda autonoma hanno registrato l’assenza di una determinazione politica studentesca (universitaria) oggi più che mai necessaria ad ogni tentativo di generalizzazione della conflittualità sociale. Non per cadere nello studentismo, infatti, ma semmai per rilanciare il piano della sollevazione, per continuare un piano strategico di “messa in agitazione” di una composizione vasta e trasversale, vittima sacrificale di un progetto di dismissione totale di ogni parvenza di garanzia sociale.

Ciò a cui assistiamo all’interno di quella che potremmo definire l’ “università post – riforma Gelmini” è la progressiva radicalizzazione dei processi di “tecnicizzazione” di una schizofrenica governance universitaria impegnatissima nel conciliare esigenze e parametri economici, gestione politica delle spinte centrifughe e degli interessi particolari di profitto, e controllo e sfruttamento sulla forza lavoro. Da luogo di formazione (presunta) ad articolazione contemporanea dell’ “ultima grande fabbrica” del Bel paese – come ben sappiamo – l’ingabbiamento “produttivo” delle componenti vive degli atenei passa per l’accelerazione di tempi, per negazione di spazi, burocratizzazione che “neutralizza” la sostanza politica delle scelte di governo; inoltre, è soprattutto nella precarizzazione e nel dispositivo gerarchizzante del “merito” che si riproduce oggi lo sfruttamento capitalista.

Nessun meccanicismo: il fatto che l’Università resti, presumibilmente, legata ad una tecnologia di sfruttamento cangiante ma simile al regime fabbrichista non significa affatto che sia automatico lo sviluppo lineare di lotte, vertenzialità, autonomia. Anzi. Nelle difficoltà e contraddizioni create da una sempre più acuta scomposizione del corpo sociale studentesco, nelle sempre maggiori difficoltà sorte nel riconoscere linee e tendenze di classe, la necessità di ri-sperimentazione di forme di aggregazione sociale, di soggettivazione e contrapposizione, resta compito dirimente delle soggettività antagoniste impegnate sul fronte della formazione.
Dunque, contrastare le iniziative delle controparti passo dopo passo, ristabilendo nuovi e incisivi rapporti di forza: questa la nostra unica possibilità e incombenza. Se il nuovo fronte del comando padronale mira alla distruzione del welfare studentesco, alla spregiudicata arroganza decisionale sull’utilizzo delle risorse e sulla destinazione dei bilanci; se l’obiettivo è la produzione di una forza lavoro di massa specializzata (ma non troppo), tra cui “i non meritevoli” sono tranquillamente considerati in partenza carne da macello per Call Center (o male che vada pronta per modelli da lavoro come quelli proposti dall’Expo di Milano), dovremo, noi, essere in grado di aggravare i costi, sabotandolo, di un simile processo di ridefinizione dei sistemi di sfruttamento e produzione di soggettività “funzionali”. Contrapporre a questi tentativi la nostra capacità di dare voce agli interessi “di parte”, non mediabili e incompatibili, è la strada segnata dagli ultimi mesi di mobilitazione nazionale.
Rilanciare una presenza organizzata capace di farsi “contro-agenzia” interna a quei luoghi e motore di nuove possibilità di antagonismo e conflitto, è invece al contempo metodo e obiettivo per la fuoriuscita dalla “unica via alla resistenza” e per l’approdo alle terre del “contrattacco”.
Dinanzi ad un governo come quello Renzi, che si propone come apice della spettacolarizzazione della politica e delle grandi promesse rivolte ai giovani a colpi di Twitter, Slides, Expo e reddito garantito, è possibile probabilmente porsi ancora una volta l’obiettivo della scommessa: a partire dalle progettualità politiche che si danno dentro e fuori le università, indirizzate alla riappropriazione dei saperi di parte e della gratuità dei servizi, come le battaglie per i libri di testo con agli archivi digitali Datastorm, o la pratica degli studentati occupati, è probabilmente possibile fare leva effettiva sul campo del reddito e imporre al soggetto pubblico come e dove indirizzare le risorse pubbliche spostando, così, i piani della decisionalità politica: agendo il contropotere nei fatti!
Con questo spirito ma soprattutto con questa volontà frutto di ipotesi di intervento e trasformazione reale, vogliamo dunque lanciare una settimana di mobilitazione universitaria per dare voce ad una “sotterranea” ma potente componente studentesca non più disposta a subire passivamente lo smantellamento in atto.

Vogliamo ribadire che esiste una alternativa vera ai piani di chi ci governa, e che questa parte proprio da noi, dalla nostra rabbia, dalle nostre idee. Sappiamo che la massificazione della protesta degli/delle universitari/e è all’oggi un ricordo per tanti: per noi, però, è anche una scommessa politica che ci vedrà impegnati nei nostri spazi occupati, aule e corridoi, ma anche nelle piazze e nelle strade per rilanciare una lotta che sappia utilizzare come camera ottica anche la condizione studentesca. Così, dal 7 all’11 aprile lanceremo, con azioni e manifestazioni, la mobilitazione nazionale del 12 aprile romano: giornata che vogliamo anche nostra! Senza dimenticare e lanciando un occhio anche verso il prossimo vertice sulla disoccupazione giovanile che il governo organizzerà in estate e a cui saremo, certamente, presenti con il nostro portato di lotte e antagonismo.
Iniziamo con l’assedio al governo Renzi!

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