La generosità della lotta per il diritto all’abitare, i movimenti e il governo Renzi
Questi percorsi, che fino a ieri venivano considerati rivendicazionisti, hanno assunto un profilo più complesso anche grazie all’incontro con le lotte territoriali, con le soggettività e le reti del precariato metropolitano, con gli studenti. La questione del consumo di suolo, del reddito, dei diritti più in generale, annodati strettamente con austerity e carovita, divengono temi con i quali misurarsi ed organizzarsi. Abitare inteso dunque non solo come diritto ad un tetto, ma declinato nell’accezione più larga e socialmente dirompente.
I movimenti sociali che hanno prodotto il lungo percorso partito nell’autunno scorso ed arrivato fino a questa primavera con una capacità di tenuta non indifferente, devono saper riconoscere la generosità delle comunità resistenti che abitano le centinaia di occupazioni in tutta Italia e comprendere l’importante cambio di passo che si è prodotto all’interno di questi spazi liberati. Le biografie sociali e generazionali in questo modo si mescolano e rompono con decisione schemi politicisti anche un po’ datati, interrogano tutti e tutte sulle modalità con le quali andare avanti.
Noi siamo quelli del 31 ottobre, che non cercano la mediazione attraverso qualcuno a cui delegare la trattativa, ma dietro la barricata guardiamo negli occhi la controparte e ci riprendiamo quello che ci spetta.
Le differenze che hanno condiviso con più convinzione la costruzione del 12 aprile non possono agevolmente disporsi sul piano tattico se vogliono mantenere e allargare la composizione sociale che ha riempito il corteo. Non possono disquisire troppo se il 18 e 19 ottobre era più grande numericamente del 12 aprile, perché è più interessante affrontare la qualità di ciò che si è prodotto verso e oltre questa primavera di sollevazione. Il presente di ognuno di noi sta dentro questa fase storica e non è riconducibile solo alla giustezza delle parole d’ordine usate o del nemico da sconfiggere.
La rabbia dei migranti e dei giovani che abitano le periferie sta incontrando i saperi e le lotte del mondo studentesco, del ceto medio impoverito, delle realtà lavorative “garantite”, precarie e al nero. Questo avviene a braccio, senza copione e dentro una complessità fatta di uomini e donne aggredite da provvedimenti criminali come il decreto Lupi e il Jobs Act. Non ci sono categorie in gioco ma la precarietà di vita tout court.
Su questi provvedimenti ci giochiamo credibilità e la possibilità di costruire percorsi in avanti, eccedenti. Se diciamo che vanno cancellati non possiamo adottare pratiche convenzionali e quindi l’assedio prodotto al ministero delle attività produttive e il modulo operativo con il quale si è manifestato è quello giusto. Anche qui possiamo filosofeggiare sulla migliore strategia militare e sugli errori fatti, ma ci interessa di più capire se abbiamo prodotto una minaccia reale o se siamo stati velleitari. La pesante carica su piazza Barberini, il silenzio di Renzi e le parole dei ministri, nonché del sindaco di Roma, ci raccontano bene che una ferita l’abbiamo prodotta e che ci rifletteranno sopra.
Forse questo linguaggio può apparire politicamente sgrammaticato e poco profondo, ma è quello con il quale ci intendiamo con chi ha deciso che i diritti si conquistano a spinta: gli occupanti di case e degli studentati, i facchini, i disoccupati, i precari, gli abitanti in lotta contro le grandi opere e la devastazione del territorio, l’inquilinato resistente, chi sciopera fuori dalle regole imposte. Dentro un presente dettato da un modello di sviluppo illegittimo e criminale cresce così forte la voglia di ribaltare tutto e questo desiderio che scorre sotto traccia non ha bisogno di contenitori e men che meno di tappi.
Dopo gli tsunami bisogna favorire l’esondazione.
Ci vediamo in città e nei boschi!
Tutte liberi!
Blocchi Precari Metropolitani
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