Di Hunters, suprematismi e Covid-19
Se non fosse una serie basata su un complotto, la tempistica con la quale Amazon Prime Video ha rilasciato la prima stagione di Hunters desterebbe ben più di un sospetto. Nei giorni in cui la pandemia legata al Covid-19 mostra in controluce – attraverso le risposte dei governi – le differenze di classe interne alla popolazione, una serie centrata su programmi “eugenetici” messi in campo dai nazisti originali e da loro eredi immaginari risulta quantomeno attuale.
Basti solamente pensare alle parole – solo in parte ritrattate in queste ore – di Boris Johnson su come la Gran Bretagna immagina di affrontare l’attuale situazione sanitaria. Ovvero, attraverso la ricerca dell’immunità di gregge, sacrificando i più deboli sull’altare dei più forti. Un vero e proprio esperimento di ingegneria sociale su larga scala, giocato sull’emergenzialità per quanto bocciato senza appello dalla totalità della comunità scientifica. Ma soprattutto, un piano che incredibilmente viene narrato sui media, per quanto critici, come “risposta britannica all’epidemia”.
Del resto si sa che le parole e l’immaginario sono decisivi nel fare percepire la sostanza di qualunque attore e processo sociale. A creare la rispettabilità, il consenso, così come la non piena ostilità, intorno ad un’idea, ad una politica, ad un modello di governance. Una stessa cosa può essere narrata in tanti modi differenti, a volte pure opposti nel giro di poco tempo.
E’ sempre l’azione delle forze sociali a imporre una narrazione sull’altra. Del resto, sono stati i carrarmati sovietici a fare emergere il nazismo come bestia, non certo un dibattito democratico sulle ideologie. Non bastava la natura intrinseca del nazismo a farlo risultare bestiale, serviva vincere una guerra. Chi vince le guerre scrive la storia, senza poi scordare che la storia continua, si evolve, senza sosta. E che le cesure tra un periodo storico e quello successivo sono sempre meno nette di quello che sembra.
Tutti temi centrali nella filosofia di Hunters, dove una guerra, sotterranea ma pressante, è in corso negli Usa degli anni Settanta. La serie, sempre in bilico tra realtà e finzione, parte da un qualcosa di realmente accaduto. Si parla dell’Operazione Paperclip, consistente nell’appropriazione da parte degli Stati Uniti dei principali scienziati nazisti, fatti emigrare negli States sotto falsi nomi al termine del secondo conflitto globale. Obiettivo, sottrarli ai sovietici, che avrebbero potuto utilizzarne le abilità nell’ambito della Guerra Fredda.
Non a caso scienziati come Wernher von Braun, decisivi nella costruzione dell’arsenale bellico nazista, divennero fondamentali anche nello sviluppo dei programmi militari americani. L’Operazione Paperclip fu insomma un concentrato di spregevole realismo, che descrive alla perfezione la continuità tra regimi autoritari e regimi democratici nel perseguire a tutti i costi la supremazia in ambito militare-tecnologico. In sfregio a qualunque vuota retorica sulla più grande democrazia del mondo e sul rispetto dei diritti umani.
Una storia che possiamo rintracciare anche nella storia d’Italia, se pensiamo, in questo caso in ambito politico-giuridico più che medico, a quanti questori e prefetti di epoca fascista rimasero ai loro posti anche dopo la svolta repubblicana. Conoscenze e capacità decisive ai tempi della Guerra Fredda, della controinsorgenza interna e della stabilizzazione reazionaria del paese.
Tornando alle parole di Johnson. Chi ha guardato la serie prodotta da Amazon difficilmente non riuscirebbe a vedere un collegamento tra le parole del premier britannico – o almeno gli effetti che produrrebbero nella pratica – e i processi di purificazione del patrimonio genetico della razza attuati dall’apparato medico-scientifico nazista. Un progetto di sterminio è un progetto di sterminio, indipendentemente da chi ne è vittima e dalla modalità con cui lo si conduce.
Da qui capiamo la rilevanza della serie ideata da David Weil. Hunters non è infatti una serie su un possibile revival del Terzo Reich, o quantomeno, non solo. Il principale pregio della serie è la capacità di legare un discorso su ieri a un discorso sull’oggi. La volontà di parlare di quello che accade ai giorni nostri, in particolare attraverso la figura del suprematista bianco che scala le posizioni nel piano eversivo neonazista. Una figura che diviene minaccia reale per la società a partire dalla sua pratica stragista e omicida, la cui costruzione è tutt’altro che slegata dalla cronaca di questi anni. Utoya, Macerata, Cristchurch, Charlottesville. Ai quattro angoli del globo Hunters è già realtà. E’ già tra di noi.
Mescolando sapientemente il racconto dell’ideologia nazionalsocialista alla narrazione fattuale del suprematismo bianco moderno, Hunters è allo stesso tempo formativo e divertente. Merito anche dei personaggi che costituiscono il cast di cacciatori di nazisti, a cavallo tra una batteria di eroi Marvel e dei protagonisti di un film di Tarantino. A proposito, se non vi ha saziato la prima grigliata di nazisti, preparatevi a fare il bis.
Obiettivo, centrato in pieno, è quello di far passare una narrazione, decisamente minoritaria in questi tempi, sulla necessità di una vendetta capace di neutralizzare ogni forma di pacificazione fasulla. Volontà dei cacciatori non è infatti assicurare “alla giustizia” i centinaia di nazisti sotto copertura che si trovano negli Stati Uniti, ma ucciderli. Semplicemente, ucciderli.
Una posizione ovviamente non accettabile dalle pastoie della legalità liberale, che porta i Cacciatori a scontrarsi con le autorità. In particolare con l’FBI, coinvolta un conflitto che oltrepassa l’ambito tecnico-burocratico, che scavalca la semplice misurazione della rispondenza alla legge delle proprie azioni, per installarsi proprio su cosa si intenda per giustizia.
Hunters è in fin dei conti una serie sulla giustizia, sulle sue implicazioni. Sull’impossibilità di ridurla a mera legalità, in un mondo odierno – come del resto in qualunque altra epoca – dove la storia pesa, dove esistono classi sociali e profonde diseguaglianze. Per tempi come i nostri, così intensamente votati al giustizialismo più sfrenato (basti pensare ai detenuti in rivolta nelle carceri degli scorsi giorni), trasmettere un messaggio del genere è già un grande pregio.
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