Il fiore della rivoluzione
Una recensione de “Il fiore del deserto” di Davide Grasso
“Il fiore del deserto” di Davide Grasso, edito da Agenzia X, si apre con una dedica «A Berivan. A Zagros». Come in diversi altri passaggi di questo libro, mi sono trovato a dover contenere i ricordi e le emozioni che affiorano quando mi reimmergo nella rivoluzione della Siria del Nord. Ricordo di aver informato Davide del martirio di Berivan e Zagros un giorno del caldo Maggio siriano 2018. Ho trovato le loro foto, insieme a quelli di altri martiri delle Ypg e delle Ypj, appese al muro di un’accademia; per qualche oscuro collegamento mentale ho subito pensato che fossero gli hevalen di cui lo avevo sentito raccontare. Era così; non sapeva che fossero caduti, ma se lo aspettava. Erano diventati martiri nell’estate 2017 nell’operazione di avvicinamento a Raqqa, l’allora capitale dello Stato Islamico. Zagros era originario proprio di Raqqa e sognava di liberarla dall’incubo ISIS. Questo libro è il tentativo di rimanere fedeli ai martiri, di tributar loro il necessario rispetto; è un gesto di lotta per continuare il cammino di chi ha dato la vita combattendo l’ISIS e difendendo la rivoluzione confederale, l’unica rivoluzione anti-capitalista, femminista, ecologista sbocciata nel nostro secolo.
“Il fiore del deserto” in questo momento ha un valore particolare anche per altri motivi. Infatti la Federazione Democratica della Siria del Nord è sotto la minaccia della Turchia di Erdogan e delle bande islamiste a cui è alleata, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi. Questo libro è un corposo saggio su questa rivoluzione contemporanea basato su numerose interviste, conversazioni e esperienze dirette raccolte da Davide nei suoi due viaggi in Medio Oriente, nonché sullo studio storico e politico della regione. Se per la rivoluzione è un momento critico in cui la sua stessa esistenza è a rischio, per noi è il momento di informarci, di prendere parte e sostenere questa impresa che da speranza di libertà a tutti i popoli del mondo.
Come se non fosse abbastanza per giustificare il valore della sua opera, l’autore è stato recentemente proposto dalla Procura di Torino per la misura della sorveglianza speciale, perché ritenuto socialmente pericoloso a causa della sua esperienza nelle Ypg con le quali ha partecipato all’operazione militare per liberare la città siriana di Manbij dallo Stato Islamico nel 2016. Agli atti della richiesta della Procura di Torino figura anche la copertina del suo lavoro precedente, “Hevalen. Perchè sono andato a combattere l’ISIS in Siria”, considerato a quanto pare elemento di pericolosità sociale, insieme a stralci delle numerose conferenze in cui Davide ha parlato della Siria e della rivoluzione confederale.
Una volta tornati ci siamo trovati spesso di fronte persone per le quali là in Siria la situazione è troppo incasinata, non si capisce da che parte stare. Nelle pagine iniziali di questo libro si trova la migliore risposta. L’introduzione è una preziosa spiegazione, ricca di fonti, dei principali avvenimenti che hanno sconvolto la Siria dal 2011 ad oggi: come sono nate le rivolte nella cornice delle Primavere arabe, quale è stata l’influenza delle potenze globali e regionali (Stati Uniti, Arabia Saudita, Unione Europea, Russia, Qatar, Turchia, …), quali i passaggi chiave del conflitto e della rivoluzione. Con chiarezza si distinguono e si spiegano i percorsi delle tre parti in conflitto: quella oligarchica del regime dittatoriale di Bashar al-Assad, quella teocratica delle diverse bande islamiste o salafite e quella democratica-rivoluzionaria del Pyd e delle Ypg/Ypj.
Nel libro si parla dell’Iraq e della diga di Mosul (e degli interessi dell’Italia su quest’opera terrificante), delle comuni, delle cooperative agricole, del movimento delle donne, delle battaglie principali, dell’arte rivoluzionaria, dell’autodifesa popolare, dell’ideologia e di tantissime altre cose fino agli avvenimenti più recenti. Per ognuno dei temi trattati al centro non è una descrizione oggettiva e distaccata, ma sono le parole degli uomini e delle donne che stanno facendo la rivoluzione: cosa pensano, quali sono i loro progetti, le difficoltà che incontrano. Dalle parole dei militanti più formati a quelle dei protagonisti popolari, anche quando non perfettamente aderenti all’ideologia confederale, si percepisce la complessità di un reale processo rivoluzionario che è in grado di coinvolgere e mobilitare tutti gli strati della società, nella sua ricchezza e nelle sue contraddizioni. Nella nostra esperienza di vita in Europa è talvolta difficile anche solo immaginare la concretezza e l’attualità di una prospettiva rivoluzionaria, invece queste testimonianze ci parlano di una convinzione in una società libera talmente forte da sfidare le condizioni più dure.
L’ultimo capitolo del libro affronta alcune delle questioni che spesso emergono nei dibattiti che affrontiamo in Italia. Qual è il rapporto tra rivoluzione e Stati Uniti? Quale il rapporto con la questione palestinese? Quale possibile approccio da sinistra all’Islam? Un ruolo importante ha la critica al malinteso antimperialismo dei sostenitori del regime di Assad e al fascino della sinistra per la proposta teocratica delle bande islamiste. La rivoluzione confederale insegna anche a noi che non si può lottare per una società libera se si ignora la sofferenza che il potere produce nel popolo e contemporaneamente non si considerano le forme di insubordinazione sociale come campi di battaglia sui quali i militanti rivoluzionari devono giocare il ruolo di proporre visioni e progetti di liberazione.
Quella di saper criticare la rivoluzione per la quale si è rischiato la vita, nella quale si ripongono speranze, è una capacità che Davide ha sempre mostrato e che ho sempre apprezzato. Questo libro ne è impregnato: «Apprendere da un’esperienza politica di indubbio successo è fondamentale per chi intende sfidare il presente con scopi analoghi; analizzare in modo critico e indipendente il fenomeno rivoluzionario, ovunque e comunque si presenti, è uno dei compiti essenziali per un militante, ma anche tra i più difficili.»
Leggendo “Il fiore del deserto” mi è venuta in mente la prefazione di Lenin a “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” di John Reed, nella quale il rivoluzionario bolscevico diceva: «Lo raccomando senza riserve agli operai di tutto il mondo. È un libro che mi piacerebbe vedere pubblicato in milioni di copie e tradotto in tutte le lingue.»
Forse il paragone con degli eventi di tale portata storica e politica come la rivoluzione del ‘17 in Russia può rassomigliare l’azzardo, ma è pur vero che la rivoluzione in Siria del Nord è l’unica rivoluzione del nostro secolo, l’unica che la nostra generazione vede nascere, costruire un’alternativa e lottare per un futuro di libertà. Se non vogliamo vedere la storia, la storia dei popoli in rivolta, la nostra storia, scorrere davanti a noi mentre siamo intenti a pensare ad altro, dobbiamo sviluppare con questa rivoluzione un rapporto di amicizia, di conoscenza e sostegno: “Il fiore del deserto” è un passo lungo questo cammino. «Non c’è rivoluzione che non sia sotto assedio; ma il carattere di fatalità sembra assumere questa circostanza non esonera le donne e gli uomini che amano la libertà ad agire in sua difesa.»
Jacopo Bindi
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