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Impressioni da New York (pt.3)

Terza parte delle considerazioni e riflessioni, di studio e di viaggio, di un nostro redattore che sta trascorrendo un periodo a New York. Qui la prima puntata, qui la seconda. Per eventuali commenti, suggerimenti, domande da porre, curiosità da soddisfare potete scrivere alla pagina Facebook di InfoAut .

#3 Elezioni

Alcune settimane fa a San Diego (Usa), una trentina di chilometri a Nord di Tijuana, si sono concluse le elezioni per il rinnovo del sindaco. Nell’ottava città statunitense per peso demografico (un milione e trecentomila abitanti), zona a forte attrattività turistica nonché importante centro militare, il democratico Filner si era dovuto dimettere a causa di uno scandalo legato a molestie sessuali. Alla fine i 250mila (…) votanti hanno dato la maggioranza al repubblicano Faulconer, ricollegandosi alla tradizione da sempre repubblicana della città. Ho trovato interessante la lettura di un articolo del New York Times di qualche giorno precedente alle elezioni per svariati motivi. Innanzitutto il lessico politico. Mentre infatti in Italia, sentendo i commenti dei politici, “il paese” è oramai l’unico soggetto ad essere nominato e in tutti gli schieramenti c’è la rincorsa a linguaggi sempre più “post-politici”, sono rimasto colpito da come il quotidiano di area liberal, uno dei più importanti negli States (per quanto qui i giornali contino molto meno che in Europa), riportava la questione.

Giusto un paio di frasi: “la città è impegnata in una feroce battaglia ideologica”, “molti Democratici sostengono che questa élite potente e business-focused abbia trascurato ed ignorato i quartieri della classe operaia fuori dal centro città, creando un’area urbana diffusa nettamente divisa per linee di classe”. Una seconda cosa interessante, nell’ottica di sottolineare le differenze con il Vecchio Mondo (in questo caso non si può parlare “dell’altra sponda dell’oceano”, in quanto ci troviamo sul Pacifico), è il ruolo del sindacato. E’ risaputo infatti che negli States queste istituzioni abbiano un ruolo imparagonabile a quello europeo (che tuttavia sta rapidamente seguendone le orme), fungendo de facto da vere e proprie parti delle imprese. Ciò che forse è meno conosciuto è il ruolo che giocano in politica e le risorse che hanno a disposizione: per questa competizione elettorale i sindacati hanno versato al candidato democratico Alvarez quattro milioni di dollari! Continuando con questi brevi flash. La campagna elettorale si è giocata molto su un asse che con sguardo europeo definirei destra/sinistra. In particolare un nodo è quello del salario minimo.

Obama infatti preme affinché questo venga alzato. Alvarez ha fatto sua questa battaglia, fortemente contestato dai repubblicani che la vedono come misura statalista e contraria allo spirito libertario della città. Una parentesi: qui libertario (o meglio: libertarian) indica una cultura politica che con (parti di) quella anarchica condivide il forte antistatalismo e l’individualismo, ma negli Usa questi due elementi si legano inscindibilmente con la difesa del libero mercato e della proprietà privata. Andiamo avanti. La campagna elettorale ha riflesso un significativo cambiamento demografico: i Latinos attualmente rappresentano un terzo della popolazione (un quinto nel 1990), ed erano rappresentati da Alvarez, 33 anni e di origini umili, che echeggiava la campagna del predecessore -comizi in spagnolo, “Si se puede” come slogan. Mentre Faulconer puntava sui “bianchi” e sulla comunità Asians (16% della popolazione). Questa etnicizzazione d’altra parte mi ha portato alla mente una mappa chiamata “Old Mexico lives on” che avevo visto giorni fa sull’Economist:

http://www.economist.com/news/united-states/21595434-old-mexico-lives

La tesi che questa intende rappresentare è che “i confini etnici sono più forti di quelli statali”. Un discorso sicuramente scivoloso, tuttavia la mappa fa luce su una delle guerre meno conosciute del mondo contemporaneo. Quella -unilaterale- con cui gli Usa nel 1848 si sono annessi metà del territorio messicano (le attuali Arizona, California, Nevada, New Mexico, Utah, Texas e altre porzioni di spazio). Nell’articolo si fa ricorso ad una frase ad effetto: la permanenza di popolazioni di etnia Latinos (circa il 40% sul territorio in questione) mostra come “They didn’t jump the border – it jumped them”, che ricorda molto da vicino una forma analoga usata nel film Machete: “We did not cross the border, the border crossed us”.

Torniamo tuttavia al tema elezioni, facendo però un salto di quasi 5000 chilometri e tornando a New York. Come saprete qui è da poco sindaco Bill De Blasio, presentato in Italia alla stregua di un estremista di sinistra. Oltretutto molti quotidiani, con un tipico provincialismo italiota, riportavano il suo amore per le radici italiane che addirittura sarebbe culminato in un “ringraziamento all’Italia” pronunciato nel discorso dopo la vittoria. Chiedendo un po’ in giro nessuno a New York sapeva di questa cosa, e una persona avveduta mi ha detto che probabilmente avrà detto qualcosa di simile ad un comizio elettorale di fronte alla comunità italiana… Comunque, dicevo del De Blasio estremista riportato in Italia dai media (non solo mainstream…). Questa raffigurazione è stata prodotta attraverso due sostanziali elementi: la sua famiglia ed il suo programma. Oltre a ciò si è menzionato il suo giovanile supporto al governo sandinista in Nicaragua, cosa vera ma che (stranamente) non ha fatto parte della campagna repubblicana contro il neosindaco. Ma torniamo ai primi due elementi. Ciò che dall’Italia rende rivoluzionaria la famiglia De Blasio è che la moglie si dice fosse lesbica in gioventù (o quantomeno ha dichiarato di avere avuto esperienze in tal senso) e che, mentre lui è bianco, lei è nera, e dunque i figli sono due giovani mulatti.

Il punto è che nella città dove i gay si possono sposare e adottare bambini, e dove la varietà “di colori” della popolazione è la più alta al mondo, la cosa risulta assolutamente… Normale. Rispetto al programma, quello che dall’Italia ha fatto scalpore è principalmente la proposta di alzare il salario minimo e di tassare maggiormente i ricchi. Sul primo si è già detto di come in realtà sia una campagna nazionale dei Democrats. E tra l’altro il governatore dello Stato di New York sta bocciando le proposte del sindaco, sostenendo che la questione è materia di legislazione federale e non locale. Sulle tasse, la proposta del sindaco è che per i redditi superiori al mezzo milione, ogni dollaro in aggiunta venga tassato al 4.41% rispetto al 3.88% attuale. Il punto è che fino al 2005 questa tassa era del 4.45%, di poco inferiore rispetto agli anni ’90. Vista in questi termini la proposta non è così sconvolgente. Insomma, parlandone in giro da De Blasio nessuno si aspetto grandi trasformazioni, anche perché è un uomo cresciuto nella politica, ed è considerato come un’emanazione del congresso cittadino, le cui indicazioni tenderà a seguire. La cosa veramente nuova probabilmente è proprio questa. L’ultimo sindaco, in carica per 12 anni, era infatti un ultramiliardario che sembra abbia voluto questa carica più per prestigio che per passione politica. Considerate che si calcola abbia speso 650 milioni di dollari (!) di tasca propria per mantenere quella posizione nel corso degli anni. Circa 300 dollari per ogni voto ricevuto. La cosa che si può presumere di De Blasio, per quanto appunto certamente non rivoluzionerà NY, è che non potrà fare peggio dell’ultimo italo-americano a governare la città. Prima di Bloomberg infatti New York ha avuto Rudolph Giuliani, famoso per l’estremista “guerra al crimine”, che di fatto si rivelò più che altro una violentissima repressione della povertà urbana. Sintetizzata nella formula “broken windows”, la teoria criminologica su cui si basava Giuliani è che anche una finestra rotta da un sasso in un palazzo abbandonato porta “ambientalmente” ad un aumento della criminalità. Ciò significò una feroce caccia ai raccoglitori ambulanti, ai writers, ai lavavetri ecc…

Effettivamente i tassi di criminalità (ma basta guardare una serie tv come The Wire per capire come essi siano estremamente suscettibili di manipolazione, come tutti i dati e le statistiche peraltro) scesero parecchio, e oggi New York è considerata una delle città più sicure d’America. Ma basta inquadrare nel contesto storico i fatti per capire che non è certo un “merito” di Giuliani questa diminuzione della criminalità, se proprio vogliamo stare in questo linguaggio. Negli anni in cui ha governato infatti il fenomeno (la diminuzione dei tassi di criminalità) è stato diffuso in tutti gli Stati Uniti, in primo luogo perché gli anni ’90 (oltre alla capacità manipolativa dei dati di cui sopra) videro una poderosa crescita economica che, per quanto in maniera sempre estremamente diseguale (anche se non polarizzata quanto oggi), distribuì ricchezza. E si sa che quello che viene chiamato crimine spesso in realtà è un prodotto di chi detiene le leve del potere, o un fenomeno sociale legato alla sopravvivenza, o alla legittima presa di reddito di chi a questo non ha accesso…

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