L’importante è la salute: in Italia 12,2 milioni di persone hanno rinunciato alle cure mediche per mancanza di soldi
L’importante è la salute, no? Nel marasma della crisi almeno un elemento di dignità suonava come acquisito per tutti, un’assistenza medica se non tra le più efficienti al mondo almeno pubblica e accessibile. Ma da una parte i tagli ai servizi essenziali in nome della “lotta agli sprechi” e dall’altra un impoverimento sempre più massiccio alimentato da disoccupazione e precarietà cronica minano ormai per sempre più persone la possibilità di (soprav)vivere in salute nel nostro paese. Il dato presentato ieri dal Censis è impressionante: l’anno scorso 12,2 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi per ragioni economiche. Colpisce ancora di più la progressione, con 1,2 milioni di persone senza cure in più rispetto al 2015 e le differenze tra nord e sud. Se al nord il fenomeno riguarda il 21% della popolazione, nel meridione più della metà delle persone ha dovuto rinunciare a una o più prestazioni sanitarie perché impossibilitate a pagarle. A queste bisogna aggiungere i 7,8 milioni che sono riusciti a curarsi ma soltanto dando fondo i risparmi o indebitandosi con banche o parenti rinviando quindi il problema.
Le cure oltre che sempre più care rispetto al reddito si fanno sempre più lente, con la differenza che quando si parla di sanità non si parla di un servizio come un altro ma di prestazioni il cui rinvio incide pesantemente sulla salute delle persone. Il rapporto del Censis segnala che i già biblici tempi di attesa della sanità pubblica italiana si allungano ancora: 122 giorni per una mammografia, 93 giorni per una colonscopia, 80 giorni per una TAC… C’è poco da stupirsi visto che, a fronte di una popolazione sempre più vecchia, dall’inizio della crisi la spesa reale procapite per la salute di chi vive in Italia si è ridotta del 1,1%. Sempre più persone si rivolgono quindi al settore privato che ha ormai nel nostro paese un giro di affari annuo di oltre 35 miliardi di euro, marcando un aumento del 4,2% rispetto al 2013. Mors tua…
A fronte di questa situazione catastrofica, per il Censis la panacea sarebbero le assicurazioni integrative, ossia assicurazioni private che sopperiscono alle mancanza della sanità pubblica. Un elemento su cui i governi stanno puntando molto da decenni nell’obiettivo di disfarsi anche solo dell’aspettativa di un sistema sanitario a carattere universale. Che il Censis proponga di puntare tutto sulle assicurazioni integrative stupisce poco, è proprio con una compagnia assicurativa, la Rbm Assicurazione salute, che l’Istituto di ricerca ha realizzato il rapporto. La Rbm, nel settembre scorso, si è fatta promotrice di una “road map che garantisca al Servizio Sanitario Nazionale un recupero in termini di sostenibilità ed efficienza” diventando il principale promotore in Italia dell’estensione delle assicurazioni integrative. Nel frattempo il governo Renzi, attraverso il jobs act, ha dato una forte spinta a queste “mutue” offrendo la possibilità di contrarle esentasse integrate nel salario, un welfare aziendale in un momento in cui il lavoro o non c’è o si fa sempre più intermittente. La proposta, neanche a dirlo, è stata accolta con entusiasmo dai sindacati confederali che l’hanno accettata come clausola del rinnovo dei contratti nazionali, a partire da quello dei metalmeccanici. La politica è lineare: prima si taglia, poi ci si accorge che le cose non funzionano poi si dice che l’unica soluzione è ormai privatizzare.
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