La Copa América e la gentrificazione del calcio sudamericano
Da El Pais Brasil, traduzione di Sportpopolare.it
La gentrificazione come spiegazione degli stadi vuoti nella Copa América. Biglietti costosi e tribune silenziose riflettono la crociata di Conmebol per “risanare” il calcio sudamericano attraverso la creazione di un pubblico elitario. L’incontro tra Perù e Venezuela ha stabilito il record per il numero più basso di spettatori della Copa América fino a ora.
Il suono distintivo di questa Copa América non è quello dei tamburi, delle batterie o delle danze tipiche, per non parlare dei cori delle torcidas. Il suono ufficiale di questa Copa América è il silenzio che aleggia sugli stadi vuoti, senz’anima. In occasione del debutto del Brasile contro la Bolivia a Morumbi, il pubblico che ha fatto registrare un incasso record per la Conmebol sembrava potesse apprezzare qualsiasi cosa: un’orchestra sinfonica, un’opera teatrale o forse una gara di tennis. Tutto tranne una partita di calcio. Ad eccezione dei gol, la reazione più animata del pubblico è stata qualche fischio alla nazionale all’uscita per l’intervallo. Dani Alves ha descritto bene le sensazioni percepite dal campo. I giocatori hanno potuto ascoltare ogni frase del Mister Tite dalla panchina come se fossero in allenamento.
Il silenzio, nel calcio, significa indifferenza. E questo dice più degli stadi svuotati nell’edizione brasiliana della Copa América. Finora, in cinque partite, la media è stata di 25.000 spettatori a partita, non dissimile da quella dei campionati statali. Nell’incontro tra Perù e Venezuela, a Porto Alegre, solo 11.000 persone erano presenti alla Grêmio Arena, pari a un quinto della capienza dello stadio. Tuttavia, il pubblico dovrebbe aumentare durante il prosieguo della competizione, specialmente nelle fasi finali, assicurando, quindi, che questa edizione non si discosti di molto dalla media storica della partecipazione al torneo.
In effetti, i numeri del pubblico allo stadio sembrano non contare molto per la Conmebol. Ciò che interessa davvero è il denaro. Alla serata inaugurale di San Paolo, l’organizzazione della Copa América ha annunciato una raccolta di 22 milioni di reais con un pubblico di 46.000 persone, un nuovo record d’incassi per il calcio brasiliano. Se dovesse essere mantenuta la media di 5 milioni di incasso a partita, entro la fine della competizione la confederazione sudamericana avrà accumulato 130 milioni di reais, al di fuori delle quote di sponsorizzazione e dei diritti di trasmissione, che tendono a rappresentare la fetta più ampia della torta.
Sebbene il presidente Alejandro Domínguez sia preoccupato per i biglietti invenduti, gli stadi vuoti sono in linea con l’agenda di igiene sociale del calcio implementata dai leader dell’organizzazione negli ultimi anni. Nel 2007, nell’edizione della Copa América svoltasi in Venezuela, quando l’economia del Paese era ancora lontana dal collasso attuale, i biglietti più economici per vedere la fase finale del torneo costavano meno di 10 dollari. Poco più di un decennio dopo, i posti più “popolari” delle partite meno accattivanti costano il triplo, nonostante la stagnazione economica in Brasile e nei Paesi vicini come l’Argentina, per non parlare della crisi cronica dei venezuelani.
La Conmebol non è estranea da questa realtà né esente da responsabilità. Inflazionando i biglietti, è ben consapevole che la sua politica dei prezzi implica l’esclusione di buona parte della popolazione di tutto il continente. La bassa domanda di biglietti, che è senza precedenti nella storia della competizione, dovrebbe essere interpretata all’interno di una prospettiva più ampia. Elitizzare lo spettacolo è una scelta strategica che implica degli atteggiamenti emblematici. Nel 2016, la confederazione portò la “Copa del Centenario” negli Stati Uniti. Nel 2017, ha optato per disputare la finale della Copa Libertadores in un unico match. L’anno scorso, in risposta ai violenti incidenti prima del Superclasico tra Boca Juniors e River Plate, ha trasferito la finale del torneo a Madrid.
Queste azioni hanno uno scopo molto chiaro: rimuovere dal calcio i sostenitori che non sono in grado di potersi permettere lo spettacolo. Per questo, anche l’estetica deve essere ridisegnata per accogliere il nuovo target di riferimento. Un protocollo che prevede che le squadre entrino unite sul campo, messaggi di pace, loghi stilizzati e mascotte, cucina gourmet, stadi standardizzati e polizia mobilitata per sopprimere i sostenitori organizzati. L’ingranaggio porta all’imposizione di un pubblico uniforme e di un solo tipo di tifoseria, che, per i club gestiti come se fossero Spa, è un’attività lucrativa. I settori destinati agli ospiti si trasformano così in settori per Vip, anche se rimangono vuoti durante la maggior parte delle partite.
Il calcio sudamericano ha firmato la sua condanna a morte quando ha deciso di trasformare i fan in clienti, replicando formule importate dall’Europa senza tenere conto delle singolarità che hanno sempre contraddistinto la cultura delle nostre gradinate. Rappresentando organi contaminati dagli scandali di corruzione come l’Afa, la Cbf e Conmebol, gli uomini di vertice hanno acquisito l’idea sbagliata secondo cui la violenza negli stadi finirà grazie alla scrematura dei poveri, come se l’imposizione violenta di proibire la passione popolare e le trasferte potesse giustificare l’esperimento.
È in corso un profondo e calcolato processo di gentrificazione promosso dall’industria dello spettacolo, che l’atmosfera funeraria di questa Copa América non può più mascherare. I fuochi d’artificio, i battimani, il ritmo degli strumenti e la devozione incondizionata che viene espressa quando si resta senza voce, hanno i giorni contati. Alla fine, saranno in grado di ignorare il minuto di silenzio per rispettare il protocollo.
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