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La miseria dello sciacallaggio a La Sapienza

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Un ragazzo è morto scavalcando i cancelli della Sapienza mentre era in corso un’iniziativa auto-organizzata degli studenti. Da allora giornalisti e politici di estrema destra stanno banchettando su una tragedia rincorrendosi nello scrivere articoli e rilasciare dichiarazioni. Un fatto incidentale, come la tragedia avvenuta venerdì notte, è stata velocemente trasformato in un’occasione per attaccare la comunità studentesca e giovanile che vive gli spazi della Sapienza. Non si parla solo di serate autogestite ma di tutto un insieme di pratiche che hanno reso infinitamente più respirabile l’aria per chi ha attraversato l’università.

Negli ultimi decenni diverse comunità e diverse generazioni di studenti hanno attraversato gli spazi universitari costruendo pratiche di autorganizzazione degli spazi. Pratiche diffuse che sono diventate consuetudine per migliaia di studenti. Momenti di socialità, di assemblea, di studio, di riappropriazione degli spazi sono un qualcosa di spontaneo che si riproduce nel tempo. In fondo la questione è abbastanza evidente. Si fa un gran parlare de La Sapienza come di un’eccellenza internazionale. La realtà è però un’altra cosa e parla di biblioteche piene, servizi inesistenti (come quello dei bar chiusi per incompetenza dell’amministrazione) e scadenti. E’ naturale che in un quadro di forte degrado istituzionale gli studenti per decenni abbiano scelto di praticare l’autorganizzazione e di rispondere direttamente ai propri bisogni.

In questi giorni è in corso un attacco senza precedenti da parte di giornalisti e politici senza dignità. Non perché le esperienze autorganizzate non siano di per sé criticabili o migliorabili, ma perché questi articoli speculano su una tragedia che non ha nulla a che fare con tutto ciò. E’ stato un terribile incidente che poteva capitare a qualsiasi studente universitario.

Quello che chiamano racket o oasi di illegalità dei collettivi della sinistra sono biblioteche autogestiste, aule studio, spazi di dibattito, punti d’ascolto per chi subisce molestie, possibilità di organizzazione per chi è vittima di un sopruso (lavoratori dell’Università o studenti) in cui passano ogni anno centinaia di studenti. Questo perché la legalità promossa dall’amministrazione universitaria non ha nulla a che fare con la sicurezza, ma con l’efficienza burocratica di chi vorrebbe la strada spianata per aziendalizzare del tutto il nostro ateneo. Efficienza burocratica talmente cinica da non sapersi fermare neanche davanti alla morte di un ragazzo di 26 anni che all’organizzazione studentesca aveva dedicato il suo impegno.

Si è parlato di “interessi” dietro alle attività autogestite. Ma nessuno si è mai arricchito organizzando questi momenti. Da sempre le sottoscrizioni servono a sostenere altre iniziative e lotte politiche. E’ insensato pretendere di poter fare politica nella vita se non si è ricchi? Chi si arricchisce in questo caso sono i giornali, inventando il mostro da sbattere in prima pagina. Gli interessi nelle università grandi come la Sapienza sono ben nascosti dietro la legalità dell’amministrazione universitaria, dall’ingresso dei privati alla gestione dei concorsi per accedere alla ricerca o all’insegnamento.

Vi è inoltre una grande confusione nella dicotomia sicurezza-legalità, oggi agitata come un elemento unico e indissolubile. Non è cosi e lo dimostra la storia recente del nostro paese. Quando diventa illegale salvare dei migranti in mare e diventa legale sparare a una persona che entra in una proprietà privata (o scavalca un cancello) è impossibile parlare di legalità come sinonimo di sicurezza.

Questo è il caso anche delle serate autogestite dentro l’università. Fino a due anni fa queste serate erano autorizzate e funzionavano esattamente allo stesso modo. Le autorizzazioni sono saltate nel momento in cui un evidente errore normativo nella regolamentazione comunale sulle manifestazioni sportive e culturali ha privato l’università della capacità di autorizzare gli eventi. Alla faccia dell’autonomia dell’università! La sapienza se vuole montare qualsiasi cosa sul proprio suolo deve chiedere il permesso al comune, attraversando un iter burocratico estremamente lento e costoso. Da allora nonostante l’impegno del rettore ad aprire un tavolo con il comune, nulla è stato fatto.

L’autorizzazione è semplicemente un’etichetta “formale” che materialmente non introduce nessun elemento di sicurezza in più.

Il paradosso più evidente sta in quei cancelli che starebbero lì proprio per garantire la sicurezza. Tenerli aperti in queste situazioni è forse l’unico deterrente possibile. Nel 2014 quando la Sapienza ha autorizzato un concerto di notte per un’iniziativa promozionale della Toyota i cancelli nel perimetro erano chiusi e molti giovani li hanno scavalcati. Succede anche di giorno come quando l’amministrazione dell’università decise di chiudere quasi tutte le entrate nella giornata in cui Forza Nuova aveva minacciato di interrompere il comizio di Mimmo Lucano. Il tema quindi se esiste è generalizzato all’intero funzionamento dell’università.

Quel che resta è una doppia immagine straziante. Il dolore dell’intera comunità studentesca, della famiglia e degli amici, che avrebbero diritto al silenzio e al rispetto; e l’entusiasmo, che invece sta accendendo ripetutamente quotidiani e politici, sta continuando ad incidere su una ferita aperta, infangando la memoria di una giovane vita spezzata.

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