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La testimonianza di un secondino sulle torture in carcere

«Il carcere è un mondo a sé. E non ci sono testimonianze. C’è la testimonianza mia, c’è la testimonianza di alcuni detenuti, qualche filmato dell’interno di un carcere che si è riusciti a mostrare. La violenza e l’omertà sono la regola dentro una prigione». Andrea Fruncillo è un’ex guardia carceraria della prigione di Asti. «Non ce la facevo più a convivere con tutto questo stando zitto. Quello delle carceri è un mondo di merda. È ora di iniziare a spalarla».
Ecco un esempio del livello di conversazioni che avvengono all’interno di quel carcere. Cinque poliziotti sono stati messi sotto inchiesta per aver abusato di due detenuti. Questa è una delle intercettazioni che li hanno incastrati: «Poi vengono solo quando sono in quattro o cinque. Così è facile picchiare le persone». «È bello». «Ma che uomo sei. Devi avere pure le palle. Lo devi picchiare. Lo becchi da solo e lo picchi. Io, la maggior parte che ho picchiato, li ho picchiati da solo. Ma perché comunque qua non c’hai grattacapi. Non c’è niente. Perché con questa gente di merda. Hai capito?».
Fruncillo ha lavorato ad Asti tredici anni. È stato l’unico a testimoniare delle torture che avvenivano nella cella di isolamento: «Quando arriva qualcuno che ha aggredito un agente, anche fuori dal carcere, non importa. Questa persona arriva già con una lettera di raccomandazioni. Questo ha sbagliato. Fino a che c’ha il processo lasciatelo stare. Poi, finite le udienze dategli una sistemata. Lo sistemavano. Lo portavano lì e prendeva botte dalla mattina alla sera. Ma quello è il minimo. Perché poi non li facevamo mangiare. Lo lasciavi pure due tre giorni senza mangiare. Gli mettevamo il piatto lì davanti alla cella. Lui non ci arrivava. E non lo facevamo mangiare. Ho assistito a tanti pestaggi. Quante volte è capitato che stavo in servizio e mi dicevano: “Andrea mi prepari una cella che stiamo portando uno”. All’entrata dell’isolamento non funzionano le telecamere. Un’anticamera davanti a una delle celle. Quando arrivavano lì venivano denudati e picchiati. Era un vanto. “Io ho fatto quella cosa lì. Io ho fatto quella cosa là”. Era un vanto. E lo è tuttora penso. Un detenuto non può fare nulla. Perché tanto non viene mai ascoltato».
Perché tanta violenza? «Quando arrivi all’esasperazioni picchi. Quando c’hai i problemi a casa. Più i problemi che ti creano in carcere. Più quello che ti rompe le scatole. Da qualche parte ti devi sfogare», spiega l’ex secondino.

Per essere ancora più chiaro, Fruncillo racconta un episodio di cui è stato testimone: «È entrato questo ragazzo. Viene messo in isolamento. Non c’era modo di avvicinarsi e di aprirgli la cella. Come aprivi la cella picchiava tutti. Perché lui si dichiarava innocente. Al che per debilitarlo era stato deciso di farlo mangiare di meno, di non dargli le razioni, in modo che gli fossero venute a mancare le energie. Il ragionamento era: “Se dobbiamo spostarlo, se arriva l’avvocato non gli possiamo dire: No, non te lo faccio uscire dalla cella”. È stato fatto così, finché non si è debilitato un po’. Una sera è stata fatta un’ordinanza per mandarlo all’ospedale psichiatrico a Reggio Emilia. A Reggio Emilia quando arrivano tipi come lui, che sono animali ti legano al letto. È tornato da noi debilitato. È stato portato in cella in carrozzella. Magro, secco come un chiodo. Non ce la faceva neanche a mangiare. Quando arrivavano il pranzo e la cena mandavamo un altro detenuto per farlo imboccare. Fino a che non lo hanno scarcerato e dopo due giorni è morto. Un giorno parlando del più e del meno con un collega si è detto: “Ve lo ricordate quel ragazzo? Ma lo sai che alla fine era innocente veramente. Lo hanno assolto”. Lo hanno trattato così perché diceva che era innocente. Non gli ha creduto nessuno. Alla fine è morto. La mamma ce lo disse. La mamma».

di Franco Fracassi, da Popoff

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