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La Valsusa e l’8 dicembre con Paolo Sollier

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Premessa: trovo abbastanza inusuale tornare a parlare di un argomento come il Tav. Tutto questo perché, a più di 25 anni dall’inizio dei lavori, questa grande opera, nonostante tutte le parole spese a suo favore da determinate categorie sociali, assume sempre di più le vesti di un semplice spreco di denaro pubblico.

Purtroppo il penultimo esecutivo in carica, quello nato dal patto tra Movimento Cinque Stelle e Lega, ha messo altra carne al fuoco su questa tematica. Non a caso la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso e portato alla caduta del governo gialloverde ha cominciato a formarsi proprio sulle diverse vedute che le forze di maggioranza avevano sulla questione Tav.

Poche settimane prima della caduta dell’esecutivo il presidente del Consiglio aveva detto che, nonostante la ferma opposizione del movimento di Di Maio, «alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Insomma il Belpaese va avanti nella realizzazione della grande opera che collegherà le città di Torino e di Lione.

Dai primi anni Novanta del XX secolo però è nato anche un movimento, conosciuto con il nome di No Tav, che si è dichiarato totalmente contrario alla realizzazione della grande opera. Nel corso degli anni i suoi attivisti si sono resi protagonisti di alcune azioni di protesta esemplari.

La più famosa di tutte forse avvenne l’8 dicembre 2005, quando decine di migliaia di persone si riversarono nelle strade del paese di Venaus e riuscirono a occupare la zona dove sarebbe dovuto sorgere il cantiere Tav. Per questo motivo il medesimo cantiere dovette essere spostato in un’altra località della Val Susa.

Sono passati ben 14 anni da ciò che successe in quel giorno di fine autunno. Da allora quegli avvenimenti sono ricordati come “la presa di Venaus”.

Grazie a questa e ad altre iniziative la questione Tav è diventata un caso di portata nazionale. Purtroppo, però, tale situazione non sembra aver interessato granché l’ambito del pallone nostrano.

Uno dei pochi calciatori che hanno mostrato una certa vicinanza alla vicenda è stato Paolo Sollier, storico centrocampista del Perugia negli anni Settanta. Questo suo interessamento alla causa legata alla linea dell’Alta Velocità può essere spiegato in vari modi.

Paolo Sollier è infatti nato il 13 gennaio 1948 nel paesino della Val Susa di Chiomonte, che nel corso degli anni ha avuto più volte a che fare con questa grande opera. Proprio qui infatti, dopo i fatti di Venaus, si è deciso di realizzare il nuovo cantiere.

Lo stesso centrocampista, inoltre, è stato uno dei primi giocatori che abbiano mostrato un certo interesse per la politica. D’altronde gli anni Settanta sono stati un periodo parecchio importante per la storia politica dell’Italia contemporanea.

Militante attivo di Avanguardia Operaia, Paolo Sollier diventò famoso perché si rivolgeva ai tifosi del Perugia, che avevano idee politiche in buona parte vicine all’estrema sinistra, salutandoli con il pugno chiuso. Questa sua presa di posizione abbastanza marcata fu la causa dell’antipatia che determinate tifoserie neofasciste, in primis quella della Lazio, ebbero nei suoi confronti.

Tutto questo lato militante è stato descritto nel libro Calci e sputi e colpi di testa scritto dallo stesso trequartista. In quelle pagine viene descritta la militanza in Avanguardia Operaia e il mondo del calcio è visto da un punto di vista alternativo rispetto a quello dei colleghi.

Pochi giorni fa abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e gli abbiamo fatto alcune domande sulla situazione attuale in Val Susa e sulla vicinanza del mondo sportivo attuale a una lotta del genere.

Qual è la situazione attuale in Val Susa? Dopo il sì del governo gialloverde al Tav si sta davvero andando avanti nella cosiddetta “grande opera”?

In questo momento i lavori sono fermi, mentre è stata scavata una porzione del tunnel geognostico.

È importante sottolineare che quanto è stato fatto finora serve solo a realizzare uno studio sulla composizione delle rocce e su come comportarsi, ad esempio, per affrontare il danno di minerali pericolosi quali amianto ed elementi radioattivi. Insomma, sono lavori esplorativi e non definitivi.

Infatti i bandi per il tunnel di base non sono ancora partiti e incontrano anche alcune criticità (1). Chi dice che, siccome i lavori sono a buon punto, convenga ultimarli, mente clamorosamente. Forse è il caso anche di ricordare che l’analisi costi benefici, affidata a Marco Ponti e altri esperti, è risultata negativa, ma non è stata neppure presa in considerazione. E senza dimenticare un documento del governo, a inizio anno, che ha ammesso di aver sbagliato le previsioni sul traffico, dato in aumento progressivo e invece in diminuzione costante (2).

Inoltre, anche la sbandierata valenza ecologica del Tav appare come una presa in giro. Tenendo conto del bilancio del carbonio, le emissioni di Co2, teoricamente risparmiate quando la linea entrerà in funzione, saranno aumentate a dismisura durante i lavori di preparazione. Secondo Luca Mercalli, sarebbe come dire a un diabetico che dopo dieci anni arriverà l’insulina per curarlo e, nel frattempo, rimpinzarlo di torte. Dopo dieci anni sarà morto.

A ulteriore testimonianza, basta informarsi sulla posizione del governo francese: lavori rimandati al 2038. Lo ha stabilito il 1° febbraio 2018 il Coi (Conseil d’orientations des infrastructures), che ha escluso la tratta nazionale francese della Torino-Lione dai progetti infrastrutturali programmati fino al 2038: «Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038». Il Coi conferma, del resto, il rapporto della Commissione “Mobilité 21” che già nel 2013 aveva affermato che le opere di accesso dalla Francia alla galleria transfrontaliera non erano giudicate prioritarie (3).

Cosa ha rappresentato per voi valsusini la cosiddetta presa di Venaus dell’8 dicembre 2005? Si può dire che vi sono due fasi della lotta, prima e dopo ciò che accadde quel giorno?

La presa di Venaus è stata la prima vittoria, dunque rimane un prezioso valore identitario, ma, come sappiamo, nel 2011 il progetto Tav è stato rinnovato con l’apertura del cantiere alla base della val Clarea, nel comune di Chiomonte, dove sono cominciati gli scavi e le relative, indomabili, contestazioni del movimento No Tav. Ci sono state negli anni manifestazioni con una partecipazione incredibile e un’ammirevole coscienza collettiva.

E poi anche disordini, certo, e ribellione ai divieti, ma anche comportamenti delle forze dell’ordine assai violenti e raramente sanzionati, mentre la magistratura si è accanita spesso contro i manifestanti, come dimostrano processi e condanne distribuiti con evidenti forzature.

Tornando a Venaus, da alcuni anni, nel mese luglio, si tiene il festival dell’Alta Felicità, con incontri, dibattiti, spettacoli, proprio per rinnovare l’identità culturale e la voglia di confrontarsi che, dall’inizio, accompagnano le ragioni del movimento nella radicale opposizione al Tav Torino-Lione.

Vi è stato un contributo dato dall’ambito sportivo popolare torinese alla lotta No Tav? Se sì, in quale forma?

Ricordo alcuni eventi sportivi, come tornei o amichevoli di calcio e rugby, ma certamente marginali nel contesto di cui si parla. Non ho invece notizia di prese di posizione a favore del Movimento di sportivi importanti.

Alla base della lotta No Tav, così come nell’ambito del calcio popolare, vi sono alcuni ideali militanti come quello di resistenza. Non pensi che esso possa essere un ulteriore collante tra i due?

Che nello sport la resistenza, la testa dura e la voglia di migliorarsi siano essenziali è scontato. E, in effetti, ogni iniziativa del movimento No Tav ha anche un grande senso agonistico. Basta pensare alle lunghe marce o alla capacità di resistere alle cariche, spesso provocatorie, della polizia. Importante è poi soffermarsi sulle qualità quasi atletiche degli studiosi che accompagnano il movimento, impegnati quotidianamente a smontare le palle dei promotori dell’opera. Il lavoro intellettuale diventa in questo caso una vera competizione, dove sbugiardare la narrazione ufficiale diventa un pensiero muscolare.

Quale contributo potrà ancora portare lo sport popolare alla lotta contro il Tav in Val Susa?

Intendo lo sport popolare come partecipazione e reciproco sostegno. Ma qui andiamo su quelle che sono le idee ed opinioni personali. Uno sportivo impara subito a lottare, ma, appunto, credo che ci siano sportivi anche favorevoli al Tav, dunque anche qui si scende in campo per battere l’avversario, l’importante è farlo con lealtà e correttezza, qualità non troppo di moda al giorno d’oggi.

La militanza e il calcio sono due ambiti che, da parecchio tempo, si cerca di tenere separati. Tutto questo in maniera abbastanza difficile visti anche alcuni avvenimenti recenti. Lei cosa pensa al riguardo? Un giorno si potranno sciogliere definitivamente questi due ambiti o rimarranno, sempre, legati in qualche modo tra loro?

Ho sempre visto il calcio e gli altri sport come una delle espressioni delle persone, dunque dipende dal modo in cui ognuno imposta vita, valori e priorità. Penso, come dimostra la mia esperienza calcistica, che chiunque dovrebbe esprimere, in ogni ambito della propria esistenza, le sue posizioni e relative scelte, sia in campo sportivo che sul terreno politico e culturale, confermandole coerentemente nei rapporti personali.

Per chi volesse approfondire, Paolo Sollier ci ha consigliato tre link di articoli che vi mettiamo di seguito in chiusura del pezzo:

1) https://torino.pro-natura.it/appalto-tunnel-base-violazione-accordi/

2) https://www.dinamopress.it/news/valsusa-governo-senza-pudore-le-previsioni-crescita-traffico-errate/

3) http://www.giannibarbacetto.it/2019/03/08/tav-la-francia-ha-congelato-i-suoi-lavori-intanto-paga-litalia/.

Roberto Consiglio

da sportpopolare

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