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Lettera di Davide Grasso a ‘Una montagna di libri contro il Tav’

vi ringrazio per aver aggiunto i miei racconti su New York alla montagna di libri contro il Tav, che vede in questi giorni la sua seconda edizione: è un gesto che mi ha fatto davvero piacere. L’altro giorno una mia amica, ridendo di gusto, mi ha detto: “La cosa che mi diverte di più è che tu adesso sia diventato, all’improvviso, uno ‘scrittore’…”. In effetti il primo istinto che ho avuto, quando ho visto che sui giornali mi chiamavano così, è stato quello di diffidarli pubblicamente dal rivolgermi quell’appellativo. Essere definito “scrittore” mi dà come la sensazione di avere una pistola puntata alla tempia, accompagnata da una voce che dice: “Tu ora sei uno scrittore, quindi vedi di comportarti di conseguenza…”. E, ciò che è peggio, non so esattamente quale sarebbe il comportamento conseguente. Forse assumere un certo atteggiamento, darmi un tono, fare l’intelligente, approfittare di ogni occasione per dire, magari, che la cosa più importante nella vita è il dialogo. Non so: quel che è certo, è che il potere sa bene come irreggimentare e depotenziare le nostre capacità creative, affidandoci inutili etichette, nel momento stesso in cui riesce a estrarre da noi un valore; e si badi che, proprio come il valore, questa strana irreggimentazione appare inesistente o innocua perché è impalpabile.

La presenza del movimento alla presentazione del mio libro al Salone, in ogni caso, mi ha salvato ben presto da ogni preoccupazione, mettendomi subito a mio agio: appena qualcuno di voi ha preso la parola, i giornalisti hanno tirato una croce, sui loro taccuini, sopra la parola “scrittore”, e l’hanno sostituita con “terroristi”. Questa definizione è molto più appropriata perché, a ben vedere, la partecipazione di alcuni di voi alla fiera del libro ha costituito un piccolo episodio di terrorismo letterario; non a caso i funzionari dello stand, i loro superiori, e l’editore stesso, hanno mostrato di essere terribilmente angosciati dal fatto che si menzionasse “qualcosa che non c’entrava” con il libro, ossia – lupus in fabula – il suo autore. E dire che ero diventato uno scrittore, una persona rispettabile, un tizio importante! Se fossi stato assente per un’influenza, o se mi fossi presentato a piede libero, magari dicendo che tutto ciò che può salvare il mondo è il dialogo (insisto perché da quando sono nato sento gli scrittori ripetere sempre e soltanto questa frase) tutto sarebbe andato per il meglio; invece, dato che ero costretto a far mia una presenza per così dire fantasmatica, occorreva tirar dritto e far finta di niente, a costo di sembrare comparse di un qualche vecchio film di Bunuel.

La vostra presenza ha costituito un attentato contro un certo muro di ipocrisia e imbarazzo pusillanime tipico del mondo culturale, e ve ne ringrazio. C’è, tuttavia, una lezione che possiamo trarre da questa vicenda. In primo luogo – ma lo sapevamo già – il movimento è incredibilmente in grado di infilarsi ovunque, di affermare in mille direzioni che “finché li cerchiamo noi, i latitanti sono loro”, e che quando diciamo “sarà il vostro Vietnam” riusciamo a immaginarci – non certo al primo posto, sia chiaro – persino una giungla fatta di pile di libri e montagne di parole (parole come dialogo, legalità, cultura, democrazia, ecc.). In secondo luogo la conseguenza è che, se per vostra disgrazia dovessi scrivere ancora qualcosa, sarò costretto a chiedere di nuovo il vostro intervento, affinché non sia possibile declassarmi a scrittore dopo che ci ho messo anni a guadagnarmi il ben più invidiabile status di delinquente comunista. E uno “scrittore” (questo è il trucco!) può ben essere comunista o quel che crede, ma non “delinquente”: non può rivendicare autonomia dalla produzione letteraria in ultima analisi dirimente, quella del codice penale, dei divieti, delle sentenze.

Eppure la scrittura esercita un ruolo, da sempre, di eccezionale sprone all’azione, soprattutto a quella che infrange le norme già scritte della vita. In questo senso lo scombussolamento di un evento letterario invera, anziché negare, la forza vivente dell’opera che sembra offuscare; e non a caso non c’è grande movimento sociale che non si accompagni alla produzione e diffusione di scritture in molteplici forme. Le montagne di libri contro il Tav permettono a tutti noi di essere informati, di avere consapevolezza, e lo stesso ruolo hanno i mille piccoli giornali, comunicati, volantini, e i tanti testi che pubblichiamo sul web; e la lettura aiuta anche chi, tra noi, attraversa momenti difficili. Le compagne e i compagni che sono stati in carcere, ai domiciliari, all’ospedale hanno letto e talvolta scritto, e le loro lettere sono tra le cose più belle che abbiamo avuto sotto gli occhi in questi ultimi anni. Io stesso, che pure non devo sopportare ferite o restrizioni, approfitto di ogni rimasuglio di tempo per leggere, e mi rendo conto che leggo molto di più in questo periodo. Se un giorno i miei racconti si aggiungeranno alle letture che accompagneranno i vostri momenti di lotta, o allevieranno le traversie di chi tra noi pagherà ancora il prezzo della sua coerenza, mi considererò – allora sì – un privilegiato nel regno delle lettere; e questo, in qualche modo fatalmente, senza essere mai diventato ciò che essi definiscono uno “scrittore”.

Un saluto a tutt*!

Davide

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