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Nibali trionfa al Tour. Se Renzi vuole un altro selfie…

 

Ma c’è dell’altro. Portare quella maglia gialla fino a Parigi significa riportarla da questa parte delle Alpi dopo sedici anni. Era il luglio 1998 quando Marco Pantani, in 47 km di attacco, demoliva Jan Ullrich sfidando la tempesta sul Galibier e su Les Deux Alpes, strappandogli quella maglia gialla che avrebbe portato fino a Parigi, bissando il successo ottenuto pochi mesi prima al Giro. La “vergogna” della squalifica di Madonna di Campiglio al Giro ’99, meno di un anno dopo, e il successivo accanimento mediatico e giudiziario, segnarono l’inizio della parabola depressiva del Pirata, fino al suo tragico epilogo. Ma quell’estate del 1998 fu gloria: una vittoria italiana nelle strade di Francia dopo 33 anni, dopo il grande Gimondi.

 

Nell’impresa di Nibali, in queste battute finali di Tour, riecheggia con ingombranza – si capisce – la Storia del ciclismo, con richiami pesanti e pieni di fascino. In molti non a caso sono già a ruota del vincitore… per sfruttarne la scia. Tolti gli scarpini dai pedali si vuole che dall’immagine del vincitore su due ruote si passi a quella del vincente, sovraccaricato di un genere di personalità non richiesta in sella e quindi così difficile da gestire per gli atleti e da conciliare con il ciclismo. Per uomini che si lasciano conoscere su una bici, quando non attraverso le rughe e le smorfie di fatica, non è mai stato facile gestire un altro modo di stare al mondo. A Marco Pantani questo spaesamento fu fatale.

Anche per questo non è casuale sia radicato in profondità nella sensibilità degli amanti del ciclismo il rifiuto di credere al volto del ciclista senza bici con la sua vicenda umana inguaiata in quella storia parallela del ciclismo che è l’antidoping; di credere che le lacrime di Merckx o la più modesta arroganza impenitente di Riccardo Riccò raccontassero anche le imprese di quegli stessi atleti.

 

Ma il potere si serve di immagini e non cerca verità. Per ciò il Premier Renzi in Nibali ha già subodorato l’affare e, noncurante degli opportuni scongiuri che vorrebbero non si annunciasse una vittoria prima di averla ottenuta per davvero, ha prenotato i festeggiamenti con Lo Squalo a Palazzo Chigi. In pieno stile “smart” il Presidente del Consiglio ha contattato il corridore tramite sms. Questo all’invito ha risposto con un imbarazzato “mi prendo almeno il tempo di vincerlo”, quasi a voler significare il disagio di sentirsi stretto tra la prudenza del voler restare sulla bici e l’impazienza di chi lo vorrebbe a disposizione come icona vincente alla quale associarsi… fuori, nel mondo distante dalle corse, al vento, come si direbbe in gergo ciclistico.

 

Non sarebbe ovviamente questo un tableaux inedito. Anzi, le vicende sportive sono costellate di una simile iconografia… chi non ricorda un Pertini naif che si aggira tra i calciatori della nazionale marcando stretta la coppa del Mondo? Allo stesso Pantani fresco della doppietta Giro-Tour, in quella storica estate 1998, si accompagnò in più occasioni Romano Prodi, allora Primo Ministro. Ma certo lo scalatore di Cesenatico era troppo schivo e il Professore troppo impacciato per sublimare quella strana coppia in un prototipo di tecnica di governo tramite l’immagine. Prodi era un cicloamatore eccessivamente impegnato a rattoppare maggioranze ballerine, troppo preoccupato a non fare il buco, per avere il giusto allungo brillante sui tempi…

Ovviamente Matteo Renzi non ha di questi impedimenti. Può puntare subito all’uscita ad effetto, vuole cogliere lo scatto giusto per gestire un “frame” narrativo vincente, una storia di affermazione della quale farsi complice e tramite la quale rappresentarsi e vendersi. Un altro pezzo di Italia che riparte, perché anche un patchwork ben aggiustato può bastare. Si tratta di un altro regime di discorso e rappresentazione politica.

Eppure il narcisismo renziano ha sempre un retrogusto improprio. C’è qualcosa di maldestro che va oltre l’aspetto della critica all’effimero e al superficiale, un osceno che rende intollerabile le pretese della rappresentazione dello spaccone di Firenze.

 

Il desiderio di apparire di Renzi sembra non distante dal comportamento degli spettatori che per tutto il Tour si sono scattati dei selfie con gli atleti sullo sfondo, causando loro diversi problemi e scatenando le proteste di molti tra i quali Teejay Van Garderen. Spalle alla corsa, disinteressandosene, ciò che conta è comparire con chi si trova in testa al gruppo: un mix pericoloso di vanità e stupidità, come lo ha definito il corridore americano della BMC.

Giuseppe Guerini, mentre s’involava a conquistare l’Alpe d’Huez nel 1999, investì frontalmente un fotografo. Renzi però vuole anche se stesso nell’inquadratura, vorrebbe un selfie con il trionfatore del Tour. Non solo il Premier ignora la corsa ma desidera un Nibali vittorioso come parte della sua narrazione tossica su un’Italia vincente, nonostante anche quest’oggi, sulle rampe di Hautacam, la maglia gialla italiana abbia assestato una bella gomitata a una tifosa, facendole volare lo smartphone che usava per fotografarsi con il leader della corsa in azione.

 

Comunque andrà questo finale di Tour e se ci sarà il preannunciato galà a Palazzo Chigi, il destino del corridore, pur nel gran turbinio del carrozzone della Grande Boucle attorno al quale ruotano grossi interessi, è quello in ultimo di affrontare le salite in solitario. È un’irriducibilità difficile da far rientrare in qualsiasi inquadratura estranea al gesto tecnico dell’atleta. Sarà per questa ragione che esiste ancora la possibilità di sentirci complici del campione, del suo slancio, nonostante qualche tifoso indesiderato provi a immortalarne per noi un’altra immagine scattando, sul ciglio della strada, con una posa scomposta, un selfie sfocato…

 

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