Se i sionisti si vestono di rosa per coprire i propri crimini
Lo sport è una macchina perfetta di produzione di consenso. Non è una novità. Il consenso si compra con lo sport e lo sport si compra con il denaro. Per quanto resti forte l’immagine romantica di uno sport dove fatica e sudore contano più del denaro anche il ciclismo è soggetto a questa regola. Sempre di più.
Il dibattito degli ultimi anni sullo strapotere tecnico del team Sky del keniano bianco Chris Froome che, grazie alle sue disponibilità economiche, comprerebbe non solo i migliori gregari in circolazione ma anche i suoi potenziali avversari ammazzando di fatto le corse per la capacità di controllarle, è il segnale di una tendenza alla globalizzazione di questo sport: più capitali, più investitori, maggiore internazionalizzazione del circuito che porta a correre i ciclisti, in barba a qualsiasi a tradizione, nelle strade del Kazakistan, della Cina, del golfo persico… per denaro. Una scelta d’altra parte abbastanza obbligata dopo la crisi di un decennio fa dove la mancanza di sponsor e finanziatori aveva sprofondato il movimento ciclistico. Insomma il denaro fa lo sport e lo sport produce denaro, credito e credibilità. Froome, in risposta alle critiche rivoltegli, ha ben sintetizzato lo spirito del tempo: “non dobbiamo diventare come i comunisti!”.
La recente notizia di pochi giorni fa della partenza del Giro d’Italia 2018 da Israele si inscrive in questo contesto. Tre tappe poi il trasferimento. È tradizione che negli ultimi anni i grand tour partano dall’estero. I paesi ospitanti pagano fior di quattrini per farsi pubblicità attraverso la corsa: questa è la prima volta che un grande giro però parte fuori dall’europa. Fino a questo momento anche ragioni tecnico-sportive avevano frenato questa ipotesi: principalmente lo stress per gli atleti di un lungo trasferimento dopo solo tre giorni di corsa. Il portafoglio israeliano deve aver convinto il gruppo RCS a superare questa difficoltà. Dopo l’annuncio alla presentazione della corsa in una conferenza stampa a Gerusalemme il ministro israeliano della cultura e dello sport Miri Regev e la sua controparte italiana Luca Lotti hanno confermato i programmi di fare partire il Giro d’Italia del prossimo anno, uno dei maggiori eventi ciclistici annuali del mondo, in Israele nel maggio 2018. La partenza della corsa è prevista a Gerusalemme, con tappe da Haifa a Tel Aviv e nel Naqab (Negev). Secondo i rappresentanti dello stato sionista la corsa celebrerebbe i 70 anni della fondazione di Israele. “La bici unisce i popoli” avrebbe detto un ingenuo Ivan Basso sfoderando la classica frase fatta da sportivo in conferenza, ma l’ex campione vincitore di due Giri d’Italia è stato subito smentito dai responsabili israeliani che hanno ribadito come Gerusalemme sia la capitale unica dello Stato israeliano, andando contro l’opinione internazionale e cancellando Gerusalemme est e 70 anni di resistenza e rivendicazioni del popolazione palestinese.
Sharaf Qutaifan, dalla Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI),ha detto: “Fare partire il Giro d’Italia in Israele premia di fatto Israele per i suoi abusi dei diritti umani contro il popolo palestinese, compresi gli atleti, che durano da decenni. Israele ha bombardato gli stadi sportivi palestinesi, detenuto, incarcerato e ucciso gli atleti palestinesi, fatto irruzioni in associazioni sportive palestinesi e distrutto campi da gioco nella totale impunità. Tenere la corsa in Israele va contro gli ideali ed i principi dello sport”. Ma qui insomma sembra esserci in ballo qualcosa in più dello sport. Israele sta sborsando una somma stimata di 12 milioni euro per l’evento, compresi 4 milioni di euro direttamente a RCS MediaGroup per i diritti di ospitalità, come parte dei suoi tentativi di migliorare la sua scarsa reputazione nell’opinione pubblica mondiale. Dietro gli sforzi per fare partire la corsa in Israele c’è l’Israel Cycling Academy (ICA), fondata appena tre anni fa e sostenuta dal miliardario canadese Sylvan Adams e partner fisso del ministero del turismo isrealiano.
Nel frattempo il movimento BDS di boicotaggio e disinvestimento di Isreale ha lanciato la campagna #relocatetherace per chiedere agli organizzatori della corsa rosa di spostare la partenza della gara a tappe.
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