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Non avrai altro idolo all’infuori di me

Gianni Vacchelli, Non avrai altro idolo all’infuori di me. 50 appunti per un “esodo” dalla biocrazia capitalista, Mimesis, Milano-Udine 2023.

di Giovani Iozzoli, da Carmilla

E’ un testo difficilmente catalogabile – ricco, vitale, debordante -, questo libro di Gianni Vacchelli. Perché sfugge sapientemente all’incasellamento di genere e di stile. Partendo dalla suggestione del capitalismo come “idolo” – e della idolatria come segno prevalente della contemporaneità – l’autore dipana le sue riflessioni verso molteplici differenti direzioni. Il linguaggio è poetico e filosofico – cioè mistico: ma di un misticismo non orientato verso l’alto dei cieli, piuttosto materialisticamente fondato sull’osservazione spietata della nostra realtà. L’esercizio della critica anticapitalistica non assume un taglio arido, ideologico o economicistico: nella scrittura di Vacchelli c’è una continua tensione alla “ripoetizzazione” dello sguardo umano, della parola, della meditazione, oltre e contro il regime capitalista nella sua fase idolocratica.

In questa teologia nichilista e pervertita l’dolo, Monsieur le Capital in persona creato e generato (dal lavoro vivo, dalla vera carne, dal vivo corpo umano, dal soffio dei viventi) si presenta come dio increato, datore di vita, lavoro, benessere, e gli uomini, che in verità hanno permesso all’idolo di essere, sono sussunti, feticizzati e predati dall’idolo che si dice dio. Mentre il divino, il Mistero, la Vita (o quale il suo nome) è nel segno del dono, dell’abbondanza e dell’amore, l’idolo sta in quello della scarsità, del ricatto e della seduzione, travestiti da merito, da promozione e successo. (pag.15)

Il capitale è stato ampiamente rappresentato, da Marx in poi, come spettro, simulacro, moloch o vampiro – e altre evocazioni mortifere, gotiche o parassitarie. In questo libro Vacchelli prova a uscire dalle tenebre e rimettere al centro della critica anticapitalistica l’uomo e l’insondabile ricchezza della natura umana. Per farlo attinge ad ogni arma o strumento, filosofico, teoretico o polemico, di cui ci si può servire: e lo fa con ragionata veemenza, evitando il rimando, stucchevole o mieloso, ad una concezione disincarnata dell’umano .

Ecco allora: il nostro risveglio significa cessare di essere idolatri, smettere di scambiare l’illusorio per il reale, l’irreale per la realtà, ciò che è frammentato e alienato per l’integrità, ciò che limitato, storico e transeunte, per naturale ed eterno. Del resto mai l’idolo è realmente ciò che predica di essere! Persino spudoratamente arriva a dire: “Io sono colui che sono”. E tu gli credi, noi gli crediamo! E’ cangiante pure, seducente, ammaliante, tollerante, almeno nella sua variante consumistica e a patto che se ne onorino i comandamenti, ha aspetto benevolo, ma corpo di serpente e coda biforcuta: è anche Gerone! E poi l’idolo è sadico e abbisogna della postura prona e masochistica degli idolatri. Se arrivasse anche a dirti “non avrai altri idoli all’infuori di me”, non lo farebbe certo per sincerità, ma per sadica prepotenza. Ritrovarsi è uscire da questo sviamento, da questo incantamento per il cattivo infinito, da questo regno animale dello spirito al laccio del grosso animale, da questa passiva e in parte complice vittimizzazione! (pag. 17)

Io sono Colui che è! – dice la voce che parla a Mosè, in contemplazione del roveto ardente. E il Mercato pretende di “essere ciò che è” – coincidere, cioè, con storia e natura, sempre esistente, imperituro, immortale. Questo è il trucco “metafisico” da smascherare – dopo decenni di apologia liberista del presente: di “ciò che è”.

L’idolo capitalistico infatti non è più simulacro, non è più rappresentazione, esso è sfuggito da tempo al controllo dei suoi creatori: il Golem non si accontenta più di essere simbolo o feticcio. Si è reso autonomo e reclama il posto di Dio: a partire dal necessario sacrificio – di tempo, vita, intelligenza e lavoro che bisogna offrirgli quotidianamente per garantire la sua riproduzione. L’autore cita opportunamente Landauner, secondo cui:

Fritz Mauther ha dimostrato che la parola Dio (Got) era originariamente identica a idolo (Gotze) e che entrambe significano “metallo fuso” (Gegossene). (…) L’unico “metallo fuso”, l’unico idolo, l’unico Dio, che gli uomini hanno creato fisicamente è il denaro. Il denaro è artificiale e vivente, il denaro genera denaro, e ancora denaro su denaro, così il denaro ha soggiogato tutte le forze della terra. Chi però non vede, chi ancora oggi non riesce a vedere che il denaro, questo Dio, altro non è che lo spirito fuoriuscito dall’uomo, diventato una cosa vivente, un assurdo, il senso stesso della nostra vita trasformata in follia? (pag.17)

In un viaggio politico, filosofico e letterario, di grande profondità, l’autore intreccia spunti, profezie e suggestioni provenienti da Machiaveli, Kafka, Ivan Illich, Pasolini,Vandana Shiva, Paolo di Tarso, Ramon Panikkar, il formidabile teologo domenicano – e molti altri, per delineare un itinerario di critica e di esodo dalla Grande Impostura di questa epoca che non riusciamo a svelare:

tutto è sotto gli occhi, ma noi non vediamo. Sparisce, si naturalizza e si interiorizza il legame tra la cosiddetta innovazione tecnologica e l’aspetto economico e politico. E’ sempre una nostra abdicazione, un nostro sonno, una nostra irresponsabilità, che si nutre della nostra ipnosi, della nostra idolatria individuale e collettiva (anche indotta dal dispositivo totale e globalizzante). (pag.37)

Indagando la terribile continuità tra Auschwitz e le prassi del moderno management – e il nesso quindi tra nazismo storico e neocapitalismo; rilanciando la meditazione sulla stagione “biocratica” inaugurata dall’emergenza Covid, Gianni Vacchelli produce una riflessione di grande spessore – forse difficile da tradurre in “azione”, in prassi, in tecnica della polis – ma assolutamente necessaria. Non solo alla marxiana critica dell’economia politica ci si deve affidare per combattere l’Idolo malvagio tecno-capitalistico che si è reso Dio: ma anche alla riscoperta del mistero della vita umana e all’idea di Esodo come rivendicazione di indipendenza, di autonomia, che sarà necessario proclamare, nei prossimi anni, contro un potere dispotico e antiumano.

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