Pianificazione della reazione all’aggressione dei dazi
All’inizio della guerra dei dazi le dichiarazioni di Trump lasciavano intendere che le merci soggette a dazi sarebbero state scelte oculatamente per colpire presunti furti di proprietà intellettuale da parte di Pechino ma in realtà mirava grossolanamente a colpire le filiere individuate da Xi come cuore del programma “Made in China 2025”, un piano decennale di trasformazione epocale volto a innovare l’intera industria cinese: robotica, aerospaziale (di questi giorni il rientro rocambolesco di un satellite geostazionario cinese), tecnologie di comunicazione, che gradualmente stanno evolvendo, da settori di supporto alla produzione che erano (e forse in quel caso ancora basate sulla copia di prodotti stranieri), in settori di traino globale, esportati e di supporto allo studio della Intelligenza artificiale e dei BigData: insomma l’industrializzazione 4.0, come ci raccona Simone Pieranni in un articolo comparso su “eastwest.eu”.
Trump si è mosso con il solito misto di insolente prosopopea e presunzione arrogante, però è illusorio pensare che la Cina non abbia pianificato da tempo le sue chirurgiche risposte, quindi ci è sembrato più composita l’analisi del conflitto in corso dal lato cinese a cominciare da un articolo di Simone Pieranni che qualche giorno fa valutava la prima risposta del colosso asiatico alla provocazione statunitense: apparentemente una blanda reazione che colpiva i maiali dell’Iowa, oltretutto un comparto ben conosciuto da Xi in persona. Si trattava di un segnale molto simbolico, valutato in soli 3 miliardi di sanzioni daziarie verso gli Usa, un buffetto rispetto all’intervento di Trump, ma che conteneva un messaggio chiaro su come la risposta sarebbe stata nell’ottica di ritorsione dell’intento iniziale di Trump: colpire il cuore della produzione americana, in particolare quella che ha sostenuto Trump nella sua corsa alla Casa Bianca. Appunto: gli allevatori di maiali dell’Iowa gettati sul piatto della trattativa.
Simone,concludendo il suo articolo del 3 aprile alludeva alla possibilità di colpire la soia, un prodotto centrale nell’economia cinese, producendo un ammanco alla casse statunitensi di 14 miliardi di dollari: «Tutta un’altra storia». Ecco, la trattativa non ha portato alla soluzione e sono arrivati i dazi su 106 prodotti americani, tra cui la soia, volti dunque a indebolire un altro mercato caro ai sostenitori di Trump. In questo caso si evidenziano in un articolo di Gabriele Battaglia su l’Internazionale le conseguenze esterne alla lotta commerciale, quelle sull’ambiente, altrettanto disastrose, perché la decisione di fare a meno della soia americana significa che la Cina sa di poter contare in una maggiore produzione da parte di Brasile e Argentina ch eaccentueranno in seguito a questa richiesta le coltivazioni di ogm, dunque allargando il coinvolgimento globale della guerra dei dazi, perché la Cina consuma il 60 per cento della soia mondiale e quindi determina il suo costo, influendo quindi anche sul comparto della carne.
Nonostante questi sconvolgimenti costosi evidentemente la dirigenza cinese ha valutato che il fine politico di far male a Trump vale la pena di avvitare una spirale di ritorsioni che possono sconvolgere gli equilibri economici e commerciali mondiali, quando il concorrente ameriano rilancia raddoppiando il valore dei dazi imposti sui prodotti cinesi arrivando oggi alla cifra di 100 miliardi di aggravi.
Per capire meglio questi passaggi, abbiamo invitato a un’analisi della complessa strategia che sta dietro alla Guerra dei Dazi sino-statunitense rivolgendoci a Simone Pieranni per avere qualche lume per orientarci:
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