Quando si crea la quarta dimensione, la dimensione calcio.
Quale dimostrazione migliore c’è di una società costruita a tavolino attorno alla mercificazione, in cui se non sei inserito nella cerchia del potere sei solo una pedina passiva la cui libertà effimera è solo un contentino per chiamare l’illusione di poter disporre della propria vita, ma in realtà è il giusto compromesso tra la macchina della riproduzione della società capitalista e l’espressione desiderante di individualità atomizzate; qual è la dimostrazione migliore di questo teatrino se non il calcio?
Nasce come sport popolare, si gioca nelle strade, nei campetti arsi dal sole dei cadenti quartieri popolari, dà l’illusione di essere una proprietà di tutti, che ognuno possa intenderlo, trasformarlo, parteciparlo, amarlo, odiarlo, la vita di tutti i giorni è intrisa di questo sport, dai giornali in tutti i bar, i servizi su ogni telegiornale, gli infiniti campi sparsi in tutte le città, i rivenditori di articoli e gadgets ovunque a portata di mano….
L’illusione che faccia parte in senso lato delle nostre vite, e facendone parte si intenda che viceversa noi facciamo parte di esso come soggetti attivi e determinanti di questa dimensione che ci pervade, viene squarciata durante il grande evento Mondiali in cui si palesa la dimensione parallela, staccata e costruita ad hoc della galassia calcio.
Una galassia impenetrabile e insolubile nella realtà, come quando si versa l’olio nell’acqua.
Che la preoccupazione fondamentale che tutti ci dobbiamo porre quando alle porte di una favelas si apre una voragine che inghiotte intere abitazioni sia se si riuscirà o meno a giocare la prossima partita e non che ne è di quelle 100 persone che hanno perso la loro casa. Quando in un moto forse anche molto istintivo di atterrare su un universo parallelo, liberando il desiderio fremente e brulicante di diventare protagonisti sul palcoscenico della partita, il Falco invade il campo da gioco, immediatamente facendo esplodere una supernova di attualità vera e cruda tra lo spettacolo magico di dribbling, gol e belle ragazze che tifano i loro colori, “#save favelas children, #ciro vive” e le porte del tunnel spazio-temporale si chiudono immediatamente, minacciando la repressione su un gesto in sé completamente innocente e disarmatamente reale.E se il dibattito in tv, nei bar, tra gli amici, i parenti, i conduttori e gli ospiti è ancora sul perché la nazionale italiana è uscita, viene da pensare che sia successo perché è stata completa espressione della spettacolarizzazione del calcio, non come sport ma come fenomeno di distrazione di massa, dove le cose importanti sono i tagli dei capelli, i selfie e le vicende amorose dei giocatori, cose a cui la realtà collettiva non partecipa se non da spettatrice.
A partire dalla censura comunicativa degli eventi di contestazione alla gestione del territorio applicata al fischio d’inizio della prima partita. Dove sono finiti gli abitanti delle favelas, gli indigeni, la popolazione in rivolta contro l’aumento dei prezzi del trasporto pubblico, contro l’immensa spesa di costruzione delle attrezzature per ospitare la coppa del mondo a discapito dei fondi per i salari e il welfare delle fasce più povere, contro l’usurpazione del territorio?
Da quello che possiamo intendere dai media sono tutti incollati alle televisioni (immaginiamo i più non possano accedere agli stadi dai biglietti costosissimi) a tifare per i loro beniamini e che abbiano lasciato perdere i futili motivi per cui scendevano in piazza, ora impegnati nel seguire qualcosa di più importante che i loro diritti fondamentali.
Poi la secchiata gelata dei premi della nazionale algerina devoluti alla causa palestinese e ancora di più ci si risveglia dal sogno incantato delle partite di pallone e si inspira a trachea contratta l’aria soffocante e amara del mondo dell’ingiustizia dell’usurpazione della povertà della guerra, dove altro che “arbitro cornuto”!
Lo spirito del calcio è ribelle e intriso di vita vissuta, quella degli abitanti delle favelas, dei ragazzi senza futuro che vedono nel calcio la possibilità di riscattarsi, di quelli che schiacciati dai tempi asfissianti di lavoro e precarietà e dalle città desertificate hanno come una delle poche possibilità di aggregazione e socialità questa passione, e a questo spettacolo si è rivoltato, punendo chi ha cercato di domarlo e annientarlo per continuare a riprodurre una società compartimentata, il divertimento staccato dalle vicende di tutti i giorni, addormentata e supina, perché pochi possano continuare indisturbati a sfilare a tanti dalle tasche la vita.
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