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Sardine: in barile o in mare aperto?

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L’apparizione sulla scena politica delle “sardine” ha scatenato, comprensibilmente, un denso dibattito su questo fenomeno, al momento prettamente mediatico. Per quanto ci riguarda, a noi interessa relativamente sapere chi sono le “sardine”: ci interessa molto di più sapere a chi parlano. Per capire se quanto mosso, finora più a livello di immaginario che di pratica politica, può interessarci o meno. Se possa costituire un avanzamento o un arretramento, una risorsa o un problema.

Il successo delle “sardine”, ciò che è stato capito dagli organizzatori, tutt’altro che sprovveduti o lontani dalla politica come narrati inizialmente dai giornali, è in primis l’aver colto un’esigenza. Quella della volontà di un rilancio sociale. Di un contrasto (anche nei termini più bassi ed ultra-etici possibili) alla barbarie leghista. Di un’irriducibilità ad accettare come permanente, come scontato, l’attuale trionfo ideologico della destra reazionaria.

Un tentativo dunque di voler rappresentare l’esistenza di un altro, capace anche di potersi mostrare visivamente come tale. Contrastando quel Salvini che proprio sulla potenza del numero e della sua rappresentazione visiva aveva puntato rispetto a Bologna, affermando di voler riempire il Paladozza in ogni ordine di posto. Le “sardine” hanno colto l’hype che poteva generare lanciare una “sfida di cifre,” attivando un’energia davvero imponente. Una volontà di vittoria che ha mosso tante forze – paradosso triste – proprio perchè il solo pensare di vincere qualcosa è ormai distante anni luce dal panorama desolante dell’opzione e della pratica “progressista”.

Inoltre, la chiamata alle armi ha colto perfettamente la filosofia di utilizzo del social network del mondo di oggi. Nella società dominata da Instagram, dove tutto è immagine, funziona quello che può essere riprodotto in maniera spettacolare. Che poi può essere replicabile e declinabile in diversi modi e contesti, come vediamo in queste ore con i lanci di altre mobilitazioni in tutta Italia.  In questo senso, poco c’è di differente, in termini pratici, tra l’Harlem Shake, l’Ice Bucket Challenge e le “sardine”. Le timeline durante la giornata bolognese dove hanno esordito le “sardine” erano letteralmente zeppe della stessa unica foto, quella dall’alto di piazza Maggiore per capirci. Un effetto di soddisfazione, di poter dire “io c’ero”, che si accoppia ad un altro grande elemento della società di Instagram, la ricerca del nuovo a tutti i costi.

Un nuovo che però, per costituzione, tende a diventare vecchio. Ciò che è cool martedì non lo è più mercoledì, dove qualche nuovo trend prenderà il sopravvento. E così, non si “stupirà” più come la prima volta. Col rischio della marginalizzazione una volta che la copertura della stampa diventerà meno assidua, o davanti ad una piazza deludente in un altro capoluogo regionale (vedremo che accadrà ad esempio in luoghi come Piacenza o Rimini). Noi non speriamo che questo accada, anzi. Siamo curiosi di capire come si evolverà, per durare, questa attivazione, auspicabile come ogni sasso dentro il torbido stagno di questa gelida fase politica.

E allora, di cosa stiamo parlando se vediamo verso il futuro? Esiste una potenzialità sul lungo periodo? Difficile fare previsioni ora, banchi di prova saranno senza dubbio le piazze convocate a Roma, Milano, Torino, Firenze nelle prossime settimane. Il punto è che però sono proprio queste convocazioni nei principali centri urbani che ci mostrano il problema. Problema che si colloca nella realtà di un contesto sociale in via di scongelamento, come scrivemmo in occasione delle elezioni del 2018, quelle della vittoria del neopopulismo pentastellato e del sovranismo leghista. Questo scenario di transizione, immutato anche in seguito al cambio di esecutivo, ci parla come quello di ieri della necessità di contendere l’esercizio del conflitto a Salvini. Non di ricercare una pacificazione basata sulla restaurazione di “un senso di responsabilità”, di una “dignità istituzionale” che a molti ha ricordato la retorica girotondina, che ha provocato a colpi di austerità l’attuale potenza dell’opzione sovranista su scala europea.

Se la Lega struttura il suo blocco sociale sul razzismo e sulla preferenza nazionale, è soprattutto nelle periferie che trova il suo soggetto. Nelle contraddizioni, nelle angosce esistenziali, nelle difficoltà economiche di periferie che senza dubbio sono state assenti nelle piazze di “sardine” bolognesi e modenesi. Distanti da momenti che hanno piuttosto materializzato il permanere di una “società della ztl”, vagamente rappresentata dal PD in termini elettorali (sebbene assolutamente non nella sua totalità) ma separata anni luce dai contesti marginali dove trionfa invece l’opzione leghista.

Non è sbagliato collegare al movimento delle “sardine” l’inchiesta molto discussa in cui si notava come il PD trionfi nelle località con più di 60.000 abitanti mentre la Lega spadroneggia nei piccoli comuni. Uno scenario non solo italiano, ma globale, basti pensare ai casi ormai di scuola della Brexit o delle elezioni Usa 2016.  Piuttosto, sembra abbastanza preoccupante che in una città come Bologna, dominata da decenni da un blocco sociale di granito come quello costituito da partito, sindacato, cooperative varie, capace di agire capillarmente nei luoghi di lavoro e in quelli della formazione, ci si sorprenda di fronte a diecimila persone in piazza. E’ qui che si misura la crisi di una certa sinistra, alla ricerca di un nuovo da cui trovare un’energia e una spinta che non è però in alcun modo sinonimo di radicamento.

Una crisi simboleggiata dal fatto che gli stessi esponenti politici dei PD locali siano costretti a nascondersi, ad aderire di soppiatto, a non potersi rivendicare in pieno la spinta che hanno dato alla mobilitazione. Perchè rischierebbero di depotenziarla. E’ la prova provata dell’odio sociale accumulato in questi anni nei confronti di una classe dirigente che tenta di nuovo, aiutata dalla mossa renziana, a costruirsi un profilo progressista, poi smentito alla prima prova pratica dei fatti (vedi ad esempio ridicola marcia indietro sul tema della plastic tax). Se Zingaretti spera di guadagnare qualcosa dal coccolare le piazze, dal definirle una forma di ri-generazione della politica, è anche vero che la natura stessa del PD e il carattere ancora incerto di quel che saranno le “sardine” rendono questa presa di posizione molto più una speranza che un qualcosa di tangibile.

Un altro tema è la relazione con i movimenti sociali. Da sottolineare come la crisi di una certa retorica democratica si sia manifestata anche nell’incapacità da parte degli organizzatori delle “sardine” di attaccare a mezzo stampa, puntando sulle pratiche, il corteo militante che a Bologna ha resistito agli idranti cercando di arrivare al Paladozza. Un corteo che peraltro non è stato svuotato, anzi, dalla contemporanea mobilitazione di piazza Maggiore. Facendo notare che probabilmente gli ambiti di riferimento delle due piazze, in termini di sensibilità ai diversi messaggi, non sono certo coincidenti. Inutile allora è dirsi, come fatto in passato, “come dialogare con le sardine”. Bene che ci siano, tutto qui. Piuttosto, bisogna portare a casa l’esistenza di quell’esigenza di riscatto di cui sopra, continuando ad agirla politicamente soprattutto in contesti come quelli delle mobilitazioni femministe e ecologiste dove questa volontà di riscatto ci sembra essere anche li presente.

Senza scordare che la natura “pacifista e democratica”, che finora ha caratterizzato la mobilitazione delle “sardine”, si presta al rischio di poter essere controutilizzata. Con molta intelligenza Salvini ha affermato che a Rimini andrà in piazza dalle sardine, che proverà a parlare e ad ascoltare. A quel punto che succederà? Salvini, l’uomo dei porti chiusi e dell’abbraccio al peggior fascismo nazionale ed europeo, verrà considerato come interlocutore all’interno di uno scenario “democratico” o verrà, come sarebbe doveroso fare, espulso con anche una certa determinazione dalla piazza?

E’ chiaro che nel primo caso sarebbe un problema di credibilità del movimento, nel secondo, molto auspicabile, sarebbe invece un salto di qualità. Che però minerebbe senza dubbio quell’appoggio mediatico e di certi pezzi istituzionali che ha finora avuto il movimento. Staremo a vedere.

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