Sport, forza e “comuni”
Riceviamo e pubblichiamo volentieri da Torino Classe Contro…
Un’introduzione
«La cultura è malleabile, dopo tutto, e come ogni altra cosa diventa un terreno di continuo conflitto di classe. La cultura fisica è quindi internamente divisa, pendendo sia a destra sia a sinistra […]. Se al momento sembra che il campo stia cadendo verso l’estrema destra, non dobbiamo concludere che il campo stesso sia fascista. Ma non è nemmeno neutrale. È un terreno, con i suoi contorni.»
In questa citazione crediamo che risieda il significato più profondo di questo articolo che abbiamo deciso di tradurre e diffondere dal blog Ultra. Seppur i riferimenti più attuali del testo sembrano lontani nel tempo (l’articolo è stato infatti scritto nel bel mezzo del governo Trump e della golden era dei gruppi razzisti paramilitari statunitensi) pensiamo sia importante contribuire a diffondere riflessioni come quelle che gli autori sviluppano, per spazzare il campo da incomprensioni e letture distorte, sia quelle che vedono nella cultura fisica un richiamo naturale a teorie di sopraffazione ed esclusione sia a quelle liberal che vedono nello sviluppo della forza fisica un’espressione della rozza barbarie del popolino.
Critiche, queste, che non si riferiscono solo allo spettro politico della società a stelle e strisce. L’omicidio di Willy Monteiro a Colleferro del settembre 2020 è esemplificativo a riguardo: dal razzismo ai selfie con gli addominali scolpiti degli assassini, fino alla demonizzazione delle MMA diffusa da una parte consistente della sinistra italiana.
Riappropriarsi, come sottolineano gli autori del testo, del significato “intimo” delle arti marziali e degli sport da combattimento ripercorrendo la loro storia ed evidenziando come l’interpretazione delle regole sociali della cultura fisica siano di volta in volta speculari all’andamento della lotta delle classi, ci sembra ancor più opportuno in un momento come quello attuale.
Dal mondo ci arrivano segnali potenti di possibili guerre civili, dal Sud America in fermento all’assalto di Capitol Hill e Brasilia. Come giustamente viene evidenziato nel testo, la fine dei cicli di accumulazione porta con sé una forte instabilità che dà forza e legittimità a ipotesi fasciste e controrivoluzionarie. Anche nel nostro paese, tra fascisti dichiarati al governo e una guerra sempre più vicina, stabilire dei punti analitici fermi e far calare sul “nostro” campo la cultura fisica diventa una scelta strategica che non possiamo esitare a intraprendere.
Crediamo che uno sforzo collettivo in questo senso debba essere volto a una riappropriazione, sia semantica che effettiva, di un discorso complessivo sul concetto di forza. È necessario, quanto più in questo presente, sia assumere posizione rispetto alle vuote e semplicistiche critiche di sinistra nei confronti di una cultura fisica intrinsecamente fascista e alla diffusione della retorica dominante del culto della debolezza, sia smantellare i discorsi escludenti sull’uso della violenza e la falsa equazione tra cultura fisica e mascolinità.
Un ricentramento di significato che non è puro vezzo intellettualistico, bensì una bussola per l’agire: «Combattere, soffrire e diventare più forti insieme non fa che rafforzare il nostro desiderio intuitivo di reinventare il comune, poiché fornisce il più rudimentale assaggio di un mondo al di là della vasta devastazione sociale ed emotiva a cui siamo abituati».
Costruire spudoratamente forza e creare comuni.
Torino Classe Contro, Febbraio 2023
Imperium
L’impero era già caduto molto prima che crollasse. Èlite corrotte governavano da lontano, l’industria si frammentava al rallentatore, depredata dai ricchi e fatta a pezzi lentamente dalla concorrenza straniera. Per un comune cittadino, la possibilità di condurre una vita stabile piano piano svanì. Lo stesso futuro sembrava ritirarsi in un’impenetrabile oscurità, denso del suono di un caos ancora mai visto che striscia verso il presente. Il divario tra la luce fioca della vita quotidiana e quella notte in rapido avvicinamento fu colmato da una follia profonda. La tradizione marcì dal di dentro, gli oppiacei silenziarono la miseria della disoccupazione in continua espansione e i disordini fiorirono in mille forme. Sette religiose sorsero nel cuore del paese. Sulle coste, le città sovraccariche e sottofinanziate proliferarono verso l’esterno, anche se i loro centri erano inondati da una ricchezza senza precedenti. Le baraccopoli si snodarono in un frattale spiraliforme attorno a porti scintillanti. Le potenze straniere mettevano pressione verso l’interno da distanza, l’esercito era sovraccarico e inefficiente. Eserciti più deboli combatterono guerre asimmetriche contro l’impero sui suoi confini. Ufficiali corrotti furono assassinati in pieno giorno. Le milizie crebbero molto nelle aree rurali, piene di giovani uomini senza futuro che speravano di cacciare gli stranieri e rendere una grande nazione di nuovo forte.
In un certo senso, questa storia descrive ogni epoca di declino imperiale, o forse solo il generale ambiente di dilagante collasso sociale. Nello specifico, ha una notevole somiglianza con le attuali condizioni degli Stati Uniti o forse, almeno, quelle condizioni presunte dai più come imminenti. Questa somiglianza ha certamente un fondo di verità ma l’immagine riportata non è un’illustrazione dell’America di Trump. È invece un’istantanea della tarda dinastia Qing nel secolo successivo alle guerre dell’oppio, quando l’impero più forte del mondo si trovò completamente destituito dal controllo del potere globale. La sconfitta per mano di stranieri “inferiori”, unita alla dilagante dipendenza da oppiacei, alla corruzione politica e a generazioni di crescente disuguaglianza economica, hanno contribuito a definire quell’epoca come un’epoca di “umiliazione nazionale”.
Secondo i riformatori tardo imperiali e primi repubblicani, il “midollo della nazione” si era indebolito. Questa prima spinta a make the Qing great again si presentò quindi in forma apertamente marziale. Dopo le guerre dell’oppio e la successiva ribellione dei Taiping, l’esercito si era frammentato e le sue funzioni erano state distribuite tra élite locali incaricate di reprimere nuove rivolte o inviate a mantenere la pace al confine. Un risultato di questo fu la proliferazione di sette marziali ed eserciti privati. Alcuni furono finanziati dalla nobiltà locale, altri emersero dalle comunità di difesa e organizzazioni di crop-watching (guardiani delle coltivazioni) e molti si ritrovarono ad allearsi a culti religiosi. Queste sette assorbirono giovani arrabbiati e disoccupati che cercavano un’alternativa a una vita di lavoro manuale seguita dalla tossicodipendenza. Il loro programma era simultaneamente uno di auto-aiuto e ringiovanimento nazionale. Rendendosi fisicamente forti e difendendo fanaticamente i simboli della tradizione, questi giovani cercavano di ripristinare la forza della nazione dal basso.
Dal loro punto di vista, raddrizzare la morale avrebbe contribuito a dare vita a un nuovo periodo di ringiovanimento sociale, che avrebbe avuto inizio con un sollevamento popolare diffuso contro i simboli di debolezza, decadenza e influenza straniere. Decenni dopo, questi temi sarebbero diventati comuni nell’ala destra della politica cinese, sistematizzati da fazioni fasciste dentro partiti come le “Camice Blu” e la “Cricca CC” e avrebbero assunto un carattere di massa nel New Life Movement del decennio di Nanjing, che cercò di ripristinare il moribondo “spirito nazionale” della nazione attraverso fiaccolate e imprigionamenti di massa.
Ma tutte le caratteristiche di questo fascismo autoctono iniziarono la loro lenta e rudimentale gestazione all’interno del sistema tardo-imperiale. Se c’è stato un momento in cui si è potuto dire che tutti questi elementi si sono combinati per la prima volta nell’era moderna, è stato in quella che è stata chiamata “Ribellione dei Boxer”. Questo nome, tuttavia, è per molti versi un termine improprio. Le qualità marziali della “ribellione”, ad esempio, erano sempre legate a un revivalismo folkloristico-religioso definito da elementi quali la possessione di spiriti e i rituali di invulnerabilità. A livello locale, l’interesse per le arti marziali è cresciuto insieme al collasso sociale ed ecologico negli anni successivi alle Guerre dell’Oppio. Mentre un tempo coloro che praticavano arti marziali erano stati associati al banditismo itinerante e alle bische, la rinnovata necessità di gruppi di autodifesa locale e di organizzazioni per la sorveglianza dei raccolti riportò di nuovo la pratica marziale all’interno della comunità. [1] Anche se certamente ancora rilevanti a livello locale, le abilità marziali erano sempre più obsolete nelle battaglie su larga scala e alla fine dell’epoca Qing persino molti gruppi di banditi portavano armi da fuoco rudimentali. La pratica marziale dunque si legò saldamente a supplementi superstiziosi volti a compensare le asimmetrie di una guerra sempre più meccanizzata. Queste arti rese nuovamente popolari assunsero così sempre più caratteristiche dalla cultura popolare, in particolare i miti, i rituali e le altre pratiche tratte dall’opera del folklore, che servivano come interfaccia principale per la maggior parte dei contadini con le narrazioni ufficiali dell’identità nazionale. Questo “revival” delle arti apparentemente “antiche” era quindi anche una reinvenzione, che rispondeva alle nuove priorità di un Impero che si trovava ad affrontare la concorrenza sempre più pericolosa dei “barbari” occidentali all’estero e delle potenti sette ribelli all’interno. Fuso con varianti del taoismo, pratiche religiose popolari e metafisica neoconfuciana, il ruolo mitico del combattente di arti marziali aumentò a dismisura, ben oltre la concretezza pratica.
Nel frattempo, la “ribellione” si delineava non come una rivolta contro il governo, ma piuttosto come una sua strenua difesa. All’epoca, lo Stato Qing si alleò con i “ribelli” contro gli stranieri, il cui motto era “Sostenere i Qing, distruggere gli stranieri”. Fu solo dopo la sconfitta da parte delle forze internazionali che lo Stato, nel tentativo di salvarsi la faccia, ridefinì il movimento come una “ribellione” anti-governativa. [2] Pertanto, l’evento si può comprendere meglio come il gonfiarsi di una nuova ondata di fanatismo tradizionalista cresciuta all’interno della cultura popolare durante un periodo di “umiliazione nazionale”. È notevole in quanto prefigura molti temi delle ribellioni successive, ma il rapporto ufficiale dello Stato con il movimento fu di tacito sostegno seguito da un pragmatico disconoscimento, non dissimile dal rapporto tra l’amministrazione Trump e l’estrema destra di oggi.
La ribellione dei Boxer è stata molto significativa, quindi, non come risorgimento interrotto ma piuttosto come punto di riferimento ampiamente negativo per i futuri riformatori e rivoluzionari. In termini sia politici che culturali, essa rappresentò il simbolo del tradizionalismo ingenuo di fronte a un mondo cambiato. Allo stesso tempo, come momento di una lunga serie di movimenti popolari che risalgono alla ribellione Taiping, ha anche segnalato la crescente disponibilità della popolazione al cambiamento rivoluzionario. I Boxer sono significativi perché sia per l’ala destra che per quella sinistra della politica cinese del XX secolo hanno rappresentato l’ascesa prematura di un nuovo nazionalismo. Per l’estrema destra, si trattava di una base su cui costruire.
Teorici fascisti come Dai Jitao, Chen Guofu e Chen Lifu avrebbero in seguito sostenuto la necessità di ricostruire la pratica marziale, di renderla concreta e di fonderla con una moderna filosofia nazionalista-militare (come sarebbe avvenuto in Giappone nello stesso periodo) [3]. Ciò avrebbe permesso di ringiovanire lo “spirito eterno” della nazione attraverso un’esibizione ritualizzata e gerarchica di coltivazione della morale e del fisico.
Per l’estrema sinistra, i Boxer presagivano la minaccia di un tradizionalismo rozzo che cercava di rifiutare del tutto il cambiamento e la riforma, garantendo la stagnazione culturale e il sostegno di classi sociali decrepite. Tuttavia, la sinistra vide anche il potenziale offerto dalla base di massa dei Boxer, i cui aderenti dimostrarono un desiderio popolare di regimi di autodisciplina e della costruzione di un potere capace di resistere all’intromissione straniera. Quando la sinistra iniziò la propria ascesa, prima nella forma di uno dei più grandi movimenti anarchici del mondo e, successivamente, sotto forma di Partito Comunista Cinese, abbracciò anche la cultura fisica e le arti marziali. Gran parte della crescita del movimento, del resto, era da ricercarsi nella sua capacità di costruire forza tra coloro che in precedenza erano stati impotenti. L’ascesa della cultura marziale fu una parte importante di questo processo: gli anarchici e i comunisti cinesi spesso reclutavano attivamente dai gruppi di banditi, dalle società segrete e dai club di arti marziali locali. Tuttavia, essi divergevano dalla destra nella loro percezione della cultura fisica come strumento per il rafforzamento non solo della “nazione”, ma del proletariato globale nella sua costruzione verso la rivoluzione mondiale.
I Barbari
Anche se la rilevanza più diretta dei Boxer potrebbe essere più chiara per coloro che ne hanno ereditato i risultati, la loro storia offre anche una lezione più generale sul rapporto tra cultura fisica e dinamiche politiche. Negli anni che seguirono l’ultima crisi, gli USA hanno visto una rapida ripresa dell’estrema destra, inclusa la crescita molto ampia di un nuovo movimento paramilitare e la fondazione di piccoli culti religiosi che praticano arti marziali, i quali ricordano non poco quelli dell’era dei “Boxer”. Questi movimenti tendono a esaltare un’estetica combattiva e “tattica”, combinando un livello minimo di addestramento al combattimento con un più sostanziale e ostentato culto di una mascolinità “sudore e proiettili”. Come i Boxer, le loro attività marziali possono essere intese solo come ancillari a una cultura fisica molto più ampia, quasi religiosa, che ha trovato la sua base più facilmente proprio nelle aree più abbandonate dalle lontane macchinazioni di quel tetro demiurgo che chiamiamo “economia”.
Questa nuova era di cultura fisica ha totalmente pervaso l’ormai tetro e apocalittico orizzonte della cultura popolare in generale. Da una parte, vediamo statunitensi smagriti e stralunati che frugano tra le rovine di questo mondo ormai devastato in modi terribili e che dipendono per la loro sopravvivenza da mera fortuna e una minima forza marziale. Il nuovo mondo è definito da improvvise raffiche provenienti da luoghi invisibili, combattimento corpo a corpo contro bande di motociclisti e corpi putrefatti.
Dall’altra parte ci sono i supereroi più famosi, la “grande opera fascista dei nostri tempi”. Masse di criminali che aumentano all’infinito vengono spazzate via con una forza marziale così imponente da ridurre il combattimento stesso a nient’altro che l’immagine di pugni madidi di sudore che colpiscono all’infinito una massa di glitter che, ci viene detto, è il Nemico.
Contemporaneamente, tornei di arti marziali popolari come l’Ultimate Fighting Championship (UFC) sono rapidamente passati da essere club di lotta senza regole da mercato grigio a essere tra gli eventi più seguiti nella storia delle tv a pagamento. L’ascesa della UFC è stata accompagnata da una crescente attenzione alle arti marziali (qui pubblicizzate come “reale” forma di combattimento, in contrasto con quella più edulcorata, cinematografica e non realistica dei film di kung-fu) e da un enorme aumento del numero di persone che andavano in cerca di una qualsiasi forma di addestramento al combattimento. Questa situazione ricorda più la fine del XIX secolo che quella del XX: vi è infatti più probabilità, rispetto alle passate generazioni, che una qualsiasi persona incrociata per la strada abbia ricevuto qualche forma di addestramento nel combattimento corpo a corpo.
Come in molti casi, è una questione geografica. La crescita dell’estrema destra è stata più forte nell’entroterra statunitense, in particolare nelle aree rurali che meno hanno beneficiato del boom finanziario degli anni Bush e che più hanno sofferto durante la crisi economica, trovandosi poi escluse dai piani di “ripresa”. [4] Queste sono aree come ad esempio Josephine County (OR), dove le carenze di bilancio sono talmente gravi che l’ufficio dello sceriffo non può offrire servizi di emergenza oltre certi orari e solo a zone limitate, e lo sceriffo stesso suggerisce alle persone a rischio di violenza domestica di trasferirsi semplicemente in aree meglio finanziate. In risposta, i locali Oath Keepers (ora noti come “Citizen Patriots of Josephine County”) si sono mossi per sopperire a queste mancanze offrendo la loro milizia in sostituzione della polizia, tenendo corsi sulla gestione delle emergenze e impegnandosi in una serie di campagne elettorali minori e progetti di sensibilizzazione della comunità.
Gli Oath Keepers, che a Josephine e in altri luoghi reclutano principalmente tra i veterani e il personale di primo soccorso, sono parte un’organizzazione-ombrello all’interno di un molto più ampio “Patriot Movement (Movimento Patriota), termine che indica le nuove milizie e le rispettive organizzazioni. Sebbene sempre più associati all’ “Alt-Right”, i Patriots precedono di diversi anni ciò che viene indicato con questo neologismo e tendono ad avere una capacità organizzativa e aggregativa ben oltre quella che si rinviene in altri gruppi categorizzati sotto la stessa etichetta. Il movimento stesso è diversificato al suo interno, con fusioni di libertarismo tradizionale con residuati del vecchio movimento militante degli anni ’90 e con nuovi gruppi islamofobi. Esso opera sulla base di un modello organizzativo “inside-outside” [NdT: la strategia inside/outside (IOS) è un approccio all’organizzazione e alla costruzione del movimento che enfatizza l’apprendimento e il coordinamento con i movimenti di resistenza e le posizioni politiche con cui non si è completamente d’accordo], impegnandosi sia in campagne elettorali formali dal basso (in gran parte tentativi di entrare nel governo locale o eleggere rappresentati minori nel partito repubblicano), sia nell’organizzazione extra-statale di milizie e campagne di assistenzialismo alla comunità.
Gran parte della palese convinzione nella supremazia bianca riscontrata nei movimenti miliziani dei decenni precedenti è stata abbandonata a favore di un’enfasi sul conflitto di classe con le élite “globaliste” delle città costiere, combinata a un’islamofobia aperta e militarista e un razzismo attenuato e velato nei confronti del sottoproletariato più eterogeneo delle aree urbane, che viene visto come in combutta con le élite attraverso i meccanismi clientelari dell’apparato del partito democratico.
I gruppi di Patriots sono cresciuti con notevole velocità durante gli anni dell’amministrazione Obama, superando nella maggior parte dei casi le organizzazioni suprematiste più tradizionali come il KKK ed essendo di gran lunga più numerosi di ogni fazione maggioritaria che compone l’Alt Right. Secondo il “Southern Poverty Law Center” il movimento è cresciuto da appena 129 gruppi Patriots nel 2008 a 1274 nel 2011 (rispetto a 334 gruppi paramilitari non facenti parte del Patriot Movement e a un totale di 1018 gruppi xenofobi identificati nello stesso anno). Nel frattempo, significativi scontri a fuoco tra le organizzazioni dei Patriots e il governo federale (in particolare con il “Bureau of Land Management”) al Bundy Ranch nel 2014 e al Malheur Wildlife Refuge nel 2016 hanno lanciato il movimento nel panorama mainstream. Al suo picco, questo movimento in senso ampio, incluse le sue propaggini religiose (come il mormonismo di estrema destra della famiglia Bundy), aveva un’adesione nazionale attiva nell’ordine delle migliaia di membri, con una decina di migliaia di sostenitori “nominali” o “secondari”, il tutto amplificato da un’ampia campagna social media. [5] I gruppi militanti come questo sono soliti avere un picco sotto presidenze democratiche e nonostante la crescita dei gruppi Patriots si sia interrotta sotto l’amministrazione Trump, è tuttavia diventata più istituzionalizzata, con politici Patriots eletti e proposte di legge volte a devolvere il controllo delle terre federali ai governi locali attraverso disegni legge presentati al congresso.
Sebbene i Patriots si vantino della loro estetica “tattica”, mandando perfino reclute a pattugliare i confini dove possono imparare le procedure militari di base, sono per molti aspetti semplicemente un’organizzazione di guerrieri della domenica, spesso provenienti da zone periferiche benestanti. Nella maggior parte dei casi i loro appelli in difesa della “libertà” e del “popolo” contro la tirannia del governo federale sono in realtà azioni intraprese per proteggere la Dinastia Carhartt di proprietari terrieri e di industriali locali nelle zone poco al di fuori delle aree rurali statunitensi dell’ovest. Sebbene facciano mobilitazione e qualche reclutamento tra le popolazioni più povere delle zone rurali, le loro azioni molto raramente difendono gli interessi di coloro che si trovano al fondo alle gerarchie di classe nelle campagne; il supporto per i lavoratori migranti è evidentemente assente, ma in generale non vi è neanche supporto effettivo per le persone bianche povere di quelle aree. Tutte le loro maggiori campagne puntavano a proteggere i diritti dei proprietari terrieri e dei piccoli capitalisti da onerosi tributi richiesti dallo stato. Quando questi riescono a reclutare tra il sottoproletariato bianco, questi nuovi militanti vengono poi assunti al servizio delle élite locali che a loro volta sono spesso in opposizione alle élite globaliste urbane. Questi gruppi paramilitari, alla loro massima efficacia, hanno semplicemente agito come braccio particolarmente aggressivo di certe fazioni della classe capitalista.
Sebbene esaltino certe idee militari, la cultura fisica gioca un ruolo meno ovvio nelle pratiche quotidiane dei Patriots. Al contrario altri gruppi emergenti di estrema destra hanno assunto questa cultura fisica come fondamentale. Il più importante è probabilmente quello dei Wolves of Vinland, un culto tribalista neopagano, organizzato come una banda di motociclisti e basato su un progetto fondiario che chiamano “Ulfheim” vicino a Lynchburg, in Virginia, dove hanno finanziato in crowdfunding la costruzione di una tradizionale casa vichinga. Molto meno numerosi dei Patriots, i Wolves hanno tre sezioni principali organizzate centralmente in Virginia, “the Mountain States” e “the Pacific Northwest” cosi come una grossa area di propaganda chiamata “Operation Werewolf” a cui partecipano gruppi più piccoli a livello nazionale. La maggior parte dei loro materiali si distingue da un’estetica sottoculturale ben progettata con grafiche pulite rappresentanti foto dall’aspetto professionale di uomini bianchi muscolosi fieri intorno al fuoco, le loro facce dipinte con rune e le loro spalle coperte da pelliccia animale, il tutto accompagnato da coincisi slogan ben confezionati da pubblicare sui social media.
Tralasciando l’estetica i Wolves hanno reso la cultura fisica il fondamento delle loro attività quotidiane, aumentando la loro attrattiva verso nuovi membri. Promuovono gli ingressi nelle palestre locali e tengono regolarmente incontri corpo a corpo in stile MMA durante i loro raduni. Hanno inoltre guadagnato attenzione attraverso contatti con importanti figure negli ambienti di sollevamento pesi e di arti marziali.
Jack Donovan, il capo della sezione dela Pacifico del Nord-Ovest dei Wolves, ha fatto sì che il gruppo acquisisse fama grazie alla sua affiliazione con una nota palestra di powerlifting nell’area di Portland [6], parlando nel popolare podcast del proprietario e postando foto su Instagram con l’autore di Fight Club Chuck Palahniuk. Più in generale i punti principali argomentati da Donovan sulla mascolinità e sul “diventare un barbaro” sono tratti da un’ampia corrente culturale che si estende ben oltre i Wolves stessi, incarnata in tutta quella serie di fenomeni che va dalle teorie del complotto di Alex Jones al noto podcast di Joe Rogan che pubblicizza abbigliamento sportivo e integratori alimentari. Fenomeni in egual misura caratterizzati da appariscente fascismo à la “Alt-right”, popolarizzato da celebri troll di internet, e di nazionalismo “casereccio e militare” bianco. Questa corrente non è limitata solo agli USA. Donovan ha viaggiato per parlare durante eventi di estrema destra in Europa, dove fa leva su un’identità “tribale” o “indigena” che è una parte essenziale dei nazionalismi locali. Nel frattempo, in Italia, il comico di destra Beppe Grillo, capo del populista Movimento Cinque Stelle, ha elogiato le elezioni di Trump in termini simili a quelle di Donovan: “sono quelli che osano, gli ostinati, i barbari, che porteranno avanti il mondo. E noi siamo barbari!”.
Trump Country
Guardando fuori dalle ricche città costiere, il liberale medio vede poco più di una crescente barbarie. La cultura sembra essersi atrofizzata, sostituita dalla bigotteria neanche troppo nascosta di persone “aggrappate alle armi e alla religione”. Di fronte a una crescente ondata di paura nelle periferie di tutto il mondo, il “sempre-civile” cittadino cerca semplicemente di rinforzare le mura del palazzo da difendere – magari chiedendo anche una sovvenzione per dipingere un graffito contro i confini sul muro stesso o per vivere nel palazzo del potere come poeta in residenza – ma alla fine si rifugia nella speranza che l’inevitabile ritorno alla ragione arrivi velocemente. Aspetta la fine della tempesta, dicono, con le loro voci calme ed educate. Hillary è un fatto inevitabile. Ma se si lascia che il grande e violento rumore dell’uragano politico silenzi queste voci quiete e si strizza invece l’occhio verso l’alto, seguendo quel muro nella sua lunghezza fino a dove termina tra pioggia e tuoni, si possono scorgere altri barbari che pattugliano il perimetro, con le loro forme massicce che delimitano il confine del palazzo urbano stesso.
Perché la verità è che lo sviluppo della barbarie è una tendenza comune a tutti gli imperi tradizionali: l’impero attira combattenti dalle zone marginali più vicine per difendersi dalla minaccia interna e dall’invasione straniera. Quando la scelta sembra essere, come sempre, comunismo o barbarie, il liberale sceglie ogni volta la barbarie. La scelta viene ogni volta legittimata dalla necessità di difendersi da barbarie ancora più grandi che incombono, ma in realtà ne costituisce il fondamento. A breve termine, i poliziotti possono dalle periferie sbiancate che hanno eletto Trump per pattugliare il distretto finanziario o reprimere le rivolte nelle baraccopoli suburbane dell’anello interno. A lungo termine, il burocrate tende a coltivare un tribalismo militante che minaccia la stabilità del potere dinastico.
Da questo distante punto di vista, quella vasta terra incognita chiamata “Trump Country” tende a essere intesa più che come conseguenza di una serie di crisi, come una sorta di diffuso fallimento morale nel quale le idee sbagliate tra i bianchi poveri hanno, a loro volta, alimentato le stesse crisi con le elezioni di alcuni Repubblicani anti-tasse. Il totale collasso della struttura industriale (e quindi della base imponibile effettiva in tali zone) è stato così rimosso. Dunque diventa anche possibile attribuire fin troppo facilmente eventi come l’elezione di Trump a un singolo gruppo demografico: quella leggendariamente omogenea “classe operaia bianca”. L’esistenza di ampie fasce di popolazione non bianca che vive in condizioni di povertà nelle zone rurali (in Nord e Sud Dakota, nel delta del fiume Mississippi, attraverso il sud-ovest) viene semplicemente ignorata e gli effetti della crisi vissuti dall’attuale popolazione povera bianca che vive in zone rurali (che come altrove sono: disoccupazione persistentemente alta, redditi bassi , presenza di ampi mercati neri e grigi, aumento dei tassi di incarcerazione, aumento della mortalità e tossicodipendenza) sono visti come fallimenti morali proprio perché la politica del privilegio liberale estrapola erroneamente le caratteristiche individuali dalle tendenze statistiche generali nella distribuzione razzista del potere.
In breve: poiché i bianchi generalmente esercitano un potere politico, economico e culturale sproporzionato, i bianchi poveri sono visti come privi di buone scuse per essere poveri. L’unica spiegazione sembra essere che devono aver fallito a livello personale nell’approfittare del loro “privilegio”, anche se, ad esempio, la persona in questione è un giovane disoccupato che si prende cura di familiari dipendenti da oppiacei nella contea di McDowell, West Virginia, dove l’aspettativa di vita si abbassa tra i tassi medi che si registrano in Nepal (per gli uomini) e Nicaragua (per le donne). Questo è essenzialmente l’equivalente liberale del conservatore irriducibile, che vive in una casa comprata con una cospicua eredità lamentandosi di come le “minoranze” sperperino tutti quei soldi che il governo presumibilmente gli regala. Ma la “classe operaia bianca” è un antagonista fatto ad hoc (o protagonista per alcuni dei gruppi socialisti ascendenti) creato dalla vaga nostalgia dei conservatori per il breve compromesso industriale del dopoguerra. Come in tutte le forme di nostalgia, l’immaginazione racconta il passato in maniera distorta in nome di un presente offuscato. L’ironia qui è duplice: in primo luogo, sta nel fatto che gli unici lavoratori che si avvicinano a vivere le condizioni nostalgicamente associate a questa “classe operaia bianca” nel dopoguerra sono, a tutti gli effetti, i lavoratori urbani occupati in servizi di alto livello, nella tecnologia dell’informazione e in un piccolo numero di rimanenti aziende manifatturiere fordiste (ora altamente meccanizzate) come la Boeing – in breve, uno dei dati demografici di base per il liberalismo stesso. In secondo luogo, c’è dell’ironia nel fatto che questa manciata di lavoratori che vivono le condizioni più simili a quella della storica “classe operaia bianca” sono proprio quelli che hanno maggiori probabilità di demonizzare i bianchi poveri, che per lo più non votano, per aver catapultato Trump alla presidenza. Invece, tutte le prove indicano il fatto che Trump è stato eletto con una base di sostegno più diversificata di quanto inizialmente sospettato e che i bianchi a reddito più alto hanno composto una parte sostanziale di questa base. Pertanto, il miraggio di una “classe operaia bianca” come avanguardia del trumpismo tende a oscurare sia la stratificazione di classe all’interno della popolazione bianca sia le condizioni effettive vissute da coloro che si trovano ai gradini inferiori del proletariato bianco, storicamente derisi come “spazzatura bianca”.
Il sorgere di una nuova cultura dell’allenamento fisico nel mezzo di una crisi tanto dilagante tende, per il liberale, ad assumere le stesse caratteristiche barbariche associate a questa sottoclasse. L’ascesa della MMA ne è un esempio calzante. Quando nacque l’UFC, che era in larga parte deriso come un barbaro sport sanguinario, il suo pubblico formato da “white trash” proveniva dalle parti del paese più obsolete dal punto di vista industriale e culturalmente arretrate e il suo approccio al combattimento era privo di qualsiasi arte o integrità culturale. Ciò è l’esatto opposto, in un certo senso, del curioso cittadino urbanizzato che impara a conoscere la “cultura orientale” praticando Tai Chi, Taekwondo o scherma giapponese. Nella cultura popolare, l’idea era opportunamente apocalittica: qualsiasi film ambientato in un futuro distopico include scene di combattenti in gabbia che sputano sangue sul pubblico in una bettola cyberpunk mentre la folla applaude e i corpi nudi delle spogliarelliste si contorcono dietro il fumo illuminato dai neon.
Questa immagine di barbarie da “white trash” è in qualche modo evocata nonostante le origini internazionali dell’UFC (il torneo è nato anche dalla famiglia Gracie, patriarchi del Brasilian Jiu-Jitsu) e la diversità del cast di combattenti. Il primissimo incontro di UFC 1, nel 1993, ha visto il karateka e kickboxer olandese Gerard Gordeau affrontare il gigantesco lottatore di sumo samoano Teila Tuli. Senza alcuna classe di peso, il combattimento è stato uno dei più impari nella storia dell’UFC, con Gordeau che pesava circa 90 chili e Tuli 190. Tuttavia, il match terminò in meno di trenta secondi, Gordeau sferrò un calcio in faccia che fece volare uno dei denti di Tuli verso il pubblico come una cometa dalla coda insanguinata. Quando il dente atterrò, colpì un nervo scoperto nella folla, una cometa che portava una sorta di esasperante presagio del futuro. Erano i primi anni ’90, gli anni di Terminator 2 e Judge Dredd, quando una Los Angeles piena di smog e crivellata di proiettili sembrava prefigurare qualcosa appena oltre l’orizzonte. In un’immagine speculare della distopica bettola, gli applausi del pubblico insanguinato hanno sovrastato la decisione del giudice di aggiudicare la vittoria a Gordeau. Ed è stato senza dubbio il pubblico a dare al campionato, fin dalla nascita, questa sua aria di barbarie da bifolchi, più che il suo eterogeneo cast di combattenti.
A volte, sembrava che il campionato reclutasse i combattenti direttamente da questo pubblico. Due anni dopo, UFC 5 è stato inaugurato con un ormai famigerato combattimento tra John Hess e Andy Anderson. Lo stesso Anderson è stato uno dei primi fan di questo sport, visibile tra il pubblico nelle registrazioni VHS dei primi tornei prima di apparire miracolosamente sul ring con un record chiaramente falsificato (86-0). Entrambi i combattenti erano l’immagine stessa della condizione della “white working class” intorno al 1990: con le stesse panze da birra e “crew cuts” (NdT: tipico taglio di capelli a spazzola, con lati corti e top più lungo, che ricorda il taglio militare), Hess, un “maestro” del proprio stile di combattimento, “Scientific Aggressive Fighting Technology of America” (SAFTA – Tecnologia di Combattimento Scientifico Aggressivo d’America) e Anderson, un dozzinale combattente di arti marziali che indossa una canotta decorata con le parole “Kick Ass” e che ha ottenuto il suo posto nel combattimento fornendo le ragazze immagine dell’evento, dipendenti della sua “Totally Nude Steakhouse” nella contea di Gregg, in Texas. L’incontro, se così si può chiamare, è stato simile a una sleale rissa da bar tra due operai edili disinvoltamente razzisti e sessisti. Entrambi gli uomini hanno scagliato maldestre raffiche di pugni senza preoccuparsi di dove colpissero, scambiando i takedown del wrestling per dei contrasti di football da ubriachi e infrangendo anche quelle poche regole che venivano rispettato agli albori del torneo. Hess ha cavato l’occhio di Anderson (facendolo uscire dall’orbita e provocandogli danni permanenti), gli ha tirato i capelli, gli ha morso pezzi della mano e ha concluso il combattimento con una serie di calci al corpo prostrato del suo avversario. Lo stesso Hess ne è uscito troppo infortunato per continuare il torneo e ha avuto solo un altro incontro nella sua carriera di MMA – contro un diciannovenne Vitor Belfort, un vero artista marziale misto (ora ampiamente considerato uno dei migliori ad aver mai gareggiato) che sconfisse Hess in pochi secondi. Sebbene Anderson non abbia mai combattuto di nuovo, è rimasto fedele alla sua immagine pubblica, in seguito si è unito alla Fratellanza Ariana ed è stato condannato a trent’anni di prigione per riciclaggio di denaro e cospirazione per spaccio di metanfetamina.
Sebbene spesso brutali, il trattamento di questi primi incontri come poco più di un barbaro sport sanguinario è di per sé un buon caso di studio sull’odio di classe che si cela dietro questa apparente compassione liberale. Allo stesso modo in cui la sicurezza del ricco cittadino dipende da un incondizionato affidamento su questi stessi barbari (nella forma del vasto apparato militare, di polizia e carcerario) che egli stesso deride, anche il disprezzo culturale rivolto ai “rednecks” armati è pregno della stessa contraddittorietà. I deliranti articoli d’opinione liberali riguardo l’abitudine di voto nelle campagne, l’odio degli hipster contro la facciata eteronormativa della “Bible Belt” [NdT: letteralmente “cintura della Bibbia”, è un’area culturale degli Stati Uniti, corrispondente all’incirca agli stati meridionali e agli ex stati confederati, così denominata per la presenza di una grande percentuale di persone che professano religioni del protestantesimo cristiano, per lo più appartenenti al movimento evangelico], lo scherno dei professori verso coloro che credono alle scie chimiche o a qualsivoglia cospirazione – tutto ciò si basa sui vecchi stereotipi associati al sottoproletariato bianco per velare un più diffuso disprezzo verso le classi inferiori. La barbaria dei bianchi è l’unica politicamente corretta e consentita a dispetto della barbaria del proletariato. Non è un caso che i bianchi poveri siano sempre più l’oggetto del disprezzo per le loro idee sbagliate riguardo razza, genere o scienza nel momento in cui le ricche élite costiere continuano a concentrare in maniera sempre più aggressiva l’attività economica in una manciata di sontuosi complessi urbani. Il disdegno culturale è semplicemente un abbellimento per nascondere questo furto materiale. La derisione liberale verso i nuclei conservatori tra le persone povere si fonde con un disprezzo dei conservatori nei confronti del sottoproletariato locale in una modalità nella quale entrambe le fazioni dei ricchi, quando unite, danno vita ad un odio totalizzante contro la classe più povera in generale.
Questo odio si diffonde nell’ideologia popolare tramite la critica della cultura. Dalla parte dei conservatori, si tratta principalmente di una critica alla “cultura della povertà”. Per la parte più liberale della classe dirigente, la critica riguarda i poveri che sono tali a causa della loro mancanza di cultura. In un discorso di premiazione ampiamente pubblicizzato dopo l’elezione di Donald Trump, l’attrice Meryl Streep ha così descritto l’orizzonte culturale apocalittico prefigurato dalle elezioni: “Hollywood brulica di outsider e stranieri e se li cacciamo tutti via non avrete altro da guardare se non football americano e MMA”. In risposta, il presidente dell’UFC Dana White, insieme a molti fan e combattenti di arti marziali, hanno portato su internet l’attacco a Streep, Hilary Clinton e lo status quo liberale che rappresentano. Gli stessi commenti di White erano un misto di insulti personali e semplici osservazioni sul fatto che l’UFC e le arti marziali più in generale sono caratterizzate dalla loro eterogeneità e attirano combattenti da tutto il mondo. Allo stesso tempo, White stesso aveva parlato alla convention nazionale repubblicana attingendo a metafore marziali per sostenere Trump: “Sono stato nel mondo dei combattimenti per tutta la vita. Conosco i combattenti.
Signore e signori, Donald Trump è un combattente e so che combatterà per questo paese”.
Per l’establishment liberale la cultura marziale è un’irriconoscibile degenerazione dell’“arte” e simbolo di un futuro distopico – una distopia che deriva non dalla disoccupazione di massa, dalla crisi economica e della crescente precarietà, ma dall’assenza delle cose più raffinate. Il discorso di Streep era essenzialmente un elogio alla bella menzogna goduta dai liberali negli anni di Obama: il mito secondo cui, finché esistono una superficiale diversità e la continua produzione culturale di una cosiddetta “classe creativa”, tutte le efferatezze dell’attualità possono essere felicemente ignorate nella speranza che le cose stiano migliorando. Per il sostenitore di Trump, nel mentre, lo scontro fisico è di per sé una metafora di una pratica politica. Il portamento patetico di un presidente flaccido come Donald Trump viene in qualche modo tramutato in una forza in grado di combattere il vetusto sistema liberale per conto della gente comune.
Debolezze
La ribellione dei Boxer è nata da una lunga stirpe di culti millenari ma fu unica nella sua abilità di fondere attività militari, sport da combattimento e supporto dello stato in una maniera che, almeno in quel momento, sembrava in grado di rinvigorire piuttosto che rovesciare la struttura amministrativa della dinastia Qing al collasso. Nel periodo precedente alla ribellione, alcune parti della provincia dello Shandong erano state occupate da stranieri (in particolare da Tedeschi, in risposta agli attacchi locali ai missionari) e il governo della provincia era in uno stato di perenne crisi fiscale. In queste condizioni molti cittadini comuni si erano dati al brigantaggio e, in risposta, le élite locali formarono grandi milizie per difendere i loro clienti e le loro proprietà. Nonostante reclutassero dalle classi subalterne, i Boxer non erano un culto religioso egalitario come quello guidato da Hong Xiuquan nella ribellione di Taiping. Erano invece estremamente legati ai resti della dinastia Qing e alla nobiltà locale. Nello stesso modo in cui il Patriot Movement è solito difendere gli interessi dei proprietari terrieri e dei piccoli industriali negli stati dell’Ovest anche se si incastonati in un’estetica da classe operaia, così i Boxer, sebbene composti da giovani poveri, hanno cercato di rinvigorire i Qing di fronte alla minaccia straniera, con il supporto diretto di alcune fazioni dello stato stesso.
Ma questo patrocinio statale non era l’unica fonte di relativa popolarità del movimento. I Boxer furono in grado di accendere un più ampio movimento anti straniero grazie alla loro enfasi sul ricostruire una forza contro una crescente debolezza della nazione. Che gli aderenti locali fossero o meno d’accordo con il loro programma politico era irrilevante. I Boxer infatti non avevano quasi per nulla un programma politico. Loro erano una forza conservatrice in gran parte pre-politica, la loro ideologia era notevolmente simile a quel pattume da paleoconservatorismo e occultismo memetico che unisce l’estrema destra contemporanea. I Boxer erano uniti solamente da dimostrazioni di forza fisica, una vaga convinzione di aver ereditato rituali antichi ed esoterici e dal semplice mito di un’indefinita identità nazionale, il tutto racchiuso nel loro slogan “sostenere i Qing”. I loro sostenitori erano attratti principalmente dalle stesse dimostrazioni di forza– la semplice idea che fosse finalmente arrivata una potenza abbastanza forte da dare potere a chi non ne ha. Con la loro sconfitta per mano dell’esercito dell’alleanza delle otto nazioni, questa illusione fu stata spazzata via. Ma il fulcro di quel desiderio è sopravvissuto.
Probabilmente la comprensione più errata dell’ascesa della cultura fisica in epoche di collasso economico è anche una delle interpretazioni più comuni, in particolare a sinistra. Le radici di questa critica provengono dai ceppi profondamente conservatori del mondo accademico della Guerra Fredda sorti nell’Occidente del dopoguerra. Attingendo a letture specifiche della Scuola di Francoforte, molti di questi scrittori e teorici – spesso affiliati a gruppi di facciata della CIA come la Farfield Foundation, che è stata parte integrante della vasta diffusione dei programmi di scrittura creativa in tutto il Paese – si sono definiti in base all’opposizione alla “modernità”, incarnata dai doppi “totalitarismi” dell’Europa fascista e dell’Unione Sovietica. Secondo questa visione, la reinvenzione moderna dell’uomo era definita dall’ossessione per la gerarchia, il dominio e la potenza fisica e industriale. Sia i fascisti che i comunisti erano stati ossessionati da un Uomo Nuovo, rappresentato invariabilmente in forma statuaria, armato di muscoli e che manovrava macchinari pesanti: la fusione perfetta tra Stato, industria e società. La versione più completa di questa tesi è stata enunciata da Susan Sontag, la quale sosteneva che il comunismo era semplicemente “una variante, che ha avuto più successo, del fascismo. Un fascismo dal volto umano”.
L’affermazione di Sontag è particolarmente importante, poiché il suo saggio Fascinating Fascism è servito come una sorta di schematica per le critiche di sinistra alla cultura fisica. Il nocciolo dell’argomentazione è stato ripetuto ad infinitum, spesso da chi sembra non avere alcuna familiarità con l’originale: si tratta, ovviamente, di una caratteristica comune a tutto ciò che si accorda con l’ideologia di una determinata epoca, la cui logica di base è riprodotta dalle condizioni culturali ambientali, indipendentemente da qualsiasi discendenza diretta. Il saggio di Sontag si concentra su un libro di fotografie prodotto da Leni Riefenstahl, l’artista più importante della Germania nazista, nota per le sue spettacolari immagini di corpi umani impegnati in faticosi lavori fisici. La conclusione di base di Sontag è semplicemente che questo tipo di attenzione alla forza in quanto tale è un’attività intrinsecamente fascista. Conclusioni simili sono state recentemente riprodotte in un saggio pubblicato sulla rivista d’arte e moda Refigural. Sebbene il saggio in sé non sia di particolare rilievo è significativo, in primo luogo, come caso di studio della ricapitolazione di tropi standard, riformulati in una polemica contro l’ascesa del salutista dark e dei tagli di capelli dall’aspetto fascista, e, in secondo luogo, per il fatto che è stato ampiamente distribuito nel mondo degli artisti vagamente comunisti, offrendo un esempio più contemporaneo del fenomeno generale.
Ciò che tende a unificare questo tipo di critica, attraverso le sue numerose manifestazioni locali, è il tentativo di separare le questioni culturali ed estetiche dai fatti materiali del conflitto di classe incarnati in un determinato momento storico. La cosa più notevole di queste polemiche sciatte contro cose risibili come indossare Adidas o tagliarsi i capelli troppo corti non è l’ineleganza o la pura stupidità da scuola d’arte delle loro argomentazioni, ma piuttosto la loro spinta delirante a ignorare il mondo così come esiste, fingendo invece che il “discorso”, l'”estetica” o le tendenze della moda di un’estate siano circuiti culturali a ciclo chiuso, in cui il pensiero genera arte e viceversa. In un certo senso, questo è un riassunto dell’abissale “svolta culturale” in generale – e l’ironia è che l’ascesa della cultura fisica è essa stessa una sorta di risposta popolare di massa a questo isolato circuito di merda dell’arte e del mondo accademico che si suppone rappresenti la “resistenza” in un’epoca di guerre eterne e di declino economico trentennale.
Sontag ci dice, facendo eco a Streep, che le radici della cultura fisica e della sua estetica correlata sono facilmente identificabili: “Per un pubblico tedesco poco sofisticato, il fascino dell’arte nazista risiedeva forse nel suo carattere di arte semplice, figurativa, emotiva, non intellettuale”, un tipo di arte che offre alla gente comune “un sollievo rispetto alle complessità sempre più esigenti dell’arte modernista”. Questo è il riassunto della sua spiegazione di come un tale movimento culturale sia salito alla ribalta, la diagnosi è poco più che un’invettiva appena velata contro la stupidità e la passione sfrenata dell’orda proletaria, incapace di comprendere la vera arte. Allo stesso modo, il recente saggio di Refigural si limita a gettare un’ampia rete di vaghe associazioni alla classica maniera dell’articolo d’opinione, in questo caso guarnito con un po’ di altezzosità da scuola d’arte. Ma in tutto ciò, l’argomentazione si limita a considerare la crescente importanza della cultura fisica e dei suoi correlati estetici come a priori fascista, una tesi “dimostrata” dal semplice fatto che tanti militanti di estrema destra sembrano essere attratti da pistole e muscoli e che ai ragazzi delle confraternite piace anche, di fatto, l’abbigliamento sportivo – che grande sorpresa, cazzo!
Tuttavia, nessuna dei due testi contiene un approccio rigoroso alla storia. Per Sontag la brutalità proletaria è sufficiente. Non c’è motivo di scavare nell’intricata storia della cultura fisica tedesca, che affonda le radici nella fine del XIX secolo ed è spesso profondamente legata ai primi nazionalismi e all’ascesa del movimento operaio. Non c’è nemmeno motivo di tracciare il trasferimento di questo particolare ceppo di cultura fisica negli Stati Uniti attraverso la migrazione di lavoratori e radicali tedeschi nella classe operaia statunitense. Non c’è alcuna analisi del ruolo che l’allenamento fisico ha svolto nei circoli ricreativi del primo movimento operaio. Né, soprattutto, si fa cenno ai modi in cui la cultura fisica è stata direttamente usata contro la crescente minaccia nazista, come nel caso dei gruppi di lottatori di strada comunisti o di Imi Lichtenfeld e della sua banda di lottatori e pugili ebrei che difendevano il loro quartiere nel bel mezzo di rivolte antisemite. Questo perché, per Sontag, la particolare adozione della cultura fisica da parte dell’estrema destra all’interno del nazismo è simmetrica al ruolo che ha svolto all’interno del più ampio movimento operaio da cui esso è emerso. Se il comunismo è semplicemente la “variante di maggior successo” del fascismo, non c’è alcuna differenza tra le Olimpiadi naziste e una palestra della classe operaia dove imparare le abilità necessarie per combattere chi attacca gli scioperi sui posti di lavoro o le bande razziste per strada.
Separate da questa storia, dunque, queste analisi svolgono un ruolo puramente ideologico. Queste critiche vengono portate avanti in un momento storico in cui la carne del pianeta viene ridotta in poltiglia, in cui i vecchi movimenti emancipatori sono stati sconfitti in un bagno di sangue lungo un secolo e in cui i poveri di oggi vivono sempre più spesso una vita che sembra consistere in poco più di un raggomitolarsi in posizione fetale mentre vengono costantemente calpestati sotto gli stivali di un milione di corpi di polizia diversi – e di fronte a questo il nostro brillante uomo di sinistra dichiara “beh, in realtà” il vostro desiderio di forza è intrinsecamente fascista. L’unico momento in cui il liberale scende dai marciapiedi e va in strada, dopo tutto, è per separare il fascista e l’anarchico che si affrontano in mezzo al labirinto del traffico, con il suo intelletto che riecheggia dell’acculturata e ottundente rivelazione: “sei cattivo quanto loro!”.
Il fascismo in carne e ossa
Sia in Germania che in Cina, l’ascesa della cultura fisica fu il prodotto della frammentazione politica e dell’immiserimento economico. Sorgendo in nazioni relativamente poco sviluppate e frammentate dal punto di vista territoriale, ma comunque legate da un certo grado di condivisione della lingua e della cultura, non sorprende che i primi movimenti abbiano assunto caratteristiche contemporaneamente nazionaliste e proletarie. La cultura fisica dell’epoca dei Boxer in Cina era, nel suo vago nazionalismo e nella sua politica confusa, notevolmente simile alla cultura fisica della Germania della metà del XIX secolo. Allora perché quest’ultima sembra racchiudere il nucleo stesso del fascismo come spettacolo fisico, mentre la prima non merita mai di essere menzionata?
Il problema è una sorta di fallacia del senno di poi. Conoscendo la conclusione fascista della prima sequenza del nazionalismo tedesco, ogni elemento della cultura (fisica o meno) mobilitato dai nazisti viene, a posteriori, rivisto come fascismo nella sua forma germinale. Questo nonostante il fatto che il fascismo, per sua natura, cresca attraverso la cooptazione delle caratteristiche più efficaci e popolari di movimenti emancipatori preesistenti, mobilitandoli in una difesa fanatica dello status quo, re-immaginato come una lotta per la restaurazione nazionale o il ritorno a un ordine naturale salvifico. In ogni caso, i movimenti fascisti rubano le loro tattiche e la loro estetica alla sinistra, mescolano simboli esoterici e immagini tratte da una tradizione “perduta”, e poi competono con quella stessa sinistra per l’influenza tra la più ampia classe operaia. La loro mobilitazione della cultura fisica in questo senso non è, in sostanza, diversa dall’uso dell’arte realista o delle dimostrazioni di forza collettive. Ma conoscendo il risultato di questa storia, si è portati a fraintendere il fascismo come una sorta di contagio culturale, capace di infettare attraverso il semplice contatto con una qualsiasi delle sue forme larvali. Il vostro taglio di capelli alla moda non è un semplice taglio di capelli, ma un parassita fascista attaccato al vostro cranio, che vi trasforma lentamente in un nazista. Il sollevamento pesi è una droga di passaggio, che sposta la vostra vita su un percorso che termina con una blitzkrieg anfetaminica contro i francesi decadenti.
Il motivo per cui le caratteristiche chiave della cultura fisica cinese non sono percepite allo stesso modo è, anche in questo caso, causato dal senno di poi. Non vediamo il Kung Fu come intrinsecamente fascista solo perché i Boxer persero miseramente e il tentativo nazionalista più sviluppato di resuscitare la cultura fisica fu sconfitto dai comunisti sia in campo militare che culturale. Lo stesso non avvenne nel vicino Giappone, dove la tradizione dei samurai sarebbe stata a lungo macchiata dall’associazione con i soldati che massacravano civili disarmati con la katana in luoghi come Nanchino. La cultura fisica giapponese poteva essere recuperata solo sotto la supervisione dell’esercito statunitense. Questo recupero prese la forma sia di una rinascita interna – uno dei tanti tentativi fatti per promuovere le reinvenzioni in tempo di pace delle pratiche culturali locali, accompagnato da generosi aiuti economici e da una completa occupazione militare – sia dell’internazionalizzazione delle tecniche giapponesi attraverso la cultura statunitense. I soldati stranieri che occupavano il Giappone iniziarono ad apprendere gli stili di combattimento armato e disarmato dei nativi, facendoli entrare nella sfera culturale occidentale al loro ritorno e fornendo così le basi necessarie per la prima grande rinascita dell’interesse per le arti marziali negli Stati Uniti. Centri militari come quelli nelle Hawaii sarebbero stati tra i primi luoghi a vedere una nuova serie di sfide tra stili, con il conseguente sviluppo di nuovi “stili” liberamente combinati come il Kajukenbo, che prefigura le moderne MMA.
Gli esiti storici divergenti di Cina, Giappone e Germania segnalano che il fascismo non è contenuto in forma germinale nei suoi precedenti significati culturali, ma che queste pratiche culturali sono esse stesse campi di lotta di classe altamente contingenti. Sontag e altri critici sono genericamente corretti nel delineare l’ossessione filosofica di fondo del fascismo per la forza in nome della forza, l’affermazione della vita pura, la fede in un ordine naturale salvifico ordinato attraverso imprese di violenza spettacolare, ecc. Questa corretta e incisiva anatomia della filosofia fascista è proprio il motivo per cui tali critiche sembrano inizialmente fornire una solida base per la comprensione del fascismo in quanto tale. Ma il fascismo non è solo un sistema filosofico, e gli approcci puramente estetici o teorici ad esso tenderanno a mascherare la loro mancanza di basi storiche sostanziali con diagnosi psicologiche sempre più estese – alla fine c’è qualcuno davvero così sorpreso di scoprire che l’ordinata estetica nazista contiene un erotismo appena mascherato, l’esibizione della forza un feticcio ipersessualizzato per il dominio, l’enfasi per una vita sana accompagnato da un uso dilagante di droghe e sesso illecito? Queste conclusioni sono offerte a cascata, infinitamente, con ogni epifania da psicologo dilettante che illumina meno della precedente. Alla fine, non riusciamo a capire come o perché queste caratteristiche culturali cooptate si siano combinate in questo modo per creare questa forma mentis peculiarmente fascista.
Ma se dalla psicologia passiamo alla storia, il fatto è che non c’era nulla che garantisse che la cultura fisica tedesca finisse nel fascismo. Dopotutto, era radicata nello stesso terreno storico e culturale che ha prodotto il movimento comunista in quanto tale – e questo è senza dubbio il motivo per cui Sontag finisce per equiparare le due cose in modo così diretto. Friedrich Ludwig Jahn, fondatore del “movimento Turner” composto da una rete di club di ginnastica (Turnvereine), era un nazionalista tedesco della prima ora la cui filosofia era simile a quella dei revival delle arti marziali dell’epoca dei Boxer in Cina, un centinaio di anni dopo. Sosteneva un nazionalismo vago e semi-moderno, definito dall’invito a rovesciare la dominazione straniera (nel caso di Jahn, l’invasione francese della Germania sotto Napoleone). Il suo pensiero sarebbe stato poi adottato dai nazisti, dove fu filtrato attraverso il lavoro di studiosi secondari che enfatizzarono il suo nazionalismo vagamente definito e fecero un’equazione diretta tra lo sviluppo del corpo fisico e lo sviluppo del Volk in quanto tale.
Ma anche la filosofia di Jahn, sebbene spesso romantica, nazionalista e anti-straniera, era decisamente più ambigua. Considerato una minaccia dallo Stato tedesco per le sue idee populiste, fu imprigionato nel 1819 ed esiliato per un breve periodo alla fine degli anni Venti del XIX secolo; i suoi club ginnici furono spesso chiusi con la giustificazione che erano centri di organizzazione per radicali politici. Inoltre molti dei Turneriti di prima e seconda generazione parteciparono effettivamente alla rivoluzione del 1848, spalla a spalla con i primi comunisti, tra cui Marx ed Engels. Quando la rivoluzione fu stroncata, i Turneriti più a sinistra furono esiliati insieme ai radicali. La cultura fisica tedesca fu così introdotta in America attraverso le stesse rotte migratorie che avrebbero inondato le città statunitensi di lavoratori manuali europei politicizzati. Ciò costituì la base del primo movimento operaio statunitense, con la sua spina dorsale di circoli ricreativi fondati da comunità di immigrati che producevano letteratura radicale nella loro lingua madre (specialmente tedesco e yiddish) e fornivano spazi per alcune attività comunitarie di base. [7]
Tra queste attività c’erano i club di ginnastica, fondati dai Turner, molti dei quali avrebbero combattuto per l’Unione nella Guerra Civile e poi avrebbero assunto posizioni di primo piano nel movimento operaio del tardo XIX secolo. August Spies, un anarchico di spicco, noto soprattutto come uno dei martiri giustiziati dopo l’attentato di Haymarket, era anche un membro dell’Aurora Turnverein di Chicago. L’esecuzione di Spies segnò l’apice dell’attività radicale tra i Turner, mentre le spaccature interne tra i Turneriti più conservatori e borghesi e l’ala socialista e operaia del movimento videro lentamente i conservatori guadagnare terreno, man mano che la generazione originaria dei Forty-Eighters si estingueva. [8] Ma l’esperienza del Turnerismo statunitense, incarnata da figure come Spies, dimostra che la filosofia della cultura fisica di Jahn poteva tendere a sinistra con la stessa facilità con cui sarebbe stata recuperata dalla destra.
Kung Fu e guerra di classe
La stessa contingenza fondamentale può essere vista nel costante tira e molla all’interno della cultura fisica cinese dopo la ribellione dei Boxer. Gli sforzi per far rivivere e modernizzare le arti marziali riacquistarono popolarità sia prima che dopo il movimento del 4 maggio, diffondendosi ampiamente all’interno del primo movimento nazionalista di sinistra (incentrato sul Tongmenghui di Sun Yat-sen, con membri tratti dalle società segrete) e all’interno del mal definito movimento anarchico. La politica in questo periodo era amorfa, con tendenze di breve durata che si formavano, si evolvevano, si fondevano e si estinguevano, i cui membri si distribuivano alla fine nei successivi partiti nazionalista o comunista. Questa prima sovrapposizione si verificò tanto nei circoli marziali quanto in quelli intellettuali, che si divisero in fazioni distinte solo molto più tardi. [9] I rudimenti di una cultura fisica pienamente nativista e fascista si possono rintracciare in questo periodo, incarnati nel movimento New Life del decennio di Nanchino, simili nel carattere a quelli che si sarebbero affermati nella comunità delle arti marziali giapponesi. Ma contro questa tendenza c’era una forma di cultura fisica internazionalista altrettanto potente, che nasceva tra gli anarchici e si diffondeva nel Partito Comunista che gli succedeva.
Il movimento anarchico in Cina era più forte nelle città costiere cosmopolite, dove assunse una forma ampiamente copiata dalle sue controparti francesi, giapponesi e statunitensi. I programmi di scambio di studenti e lavoratori furono fondamentali per la sua prima formazione, stabilendo un contatto diretto tra gli anarchici cinesi e noti teorici e organizzatori del movimento globale. Le opere di Bakunin e Kropotkin furono ampiamente tradotte e pubblicate su giornali anarchici popolari. La letteratura anarchica era così pervasiva che persino i primi membri del Partito Comunista Cinese (PCC) avrebbero avuto una familiarità molto più diretta con i classici anarchici che con le opere di Marx o Lenin.
Nel frattempo, sia i primi gruppi anarchici che il Tongmenghui avevano già assorbito un certo livello di attenzione marziale dalla loro affiliazione a società segrete radicali e dal loro coinvolgimento in importanti assassinii durante gli ultimi anni della dinastia Qing. Liu Shifu, uno dei principali esponenti del circolo anarco-sindacalista di Guangzhou, era stato originariamente un membro del Corpo di Assassinio Cinese, ispirato a gruppi simili in Russia (Volontà Popolare) e nell’Europa orientale (Mano Nera). Sebbene gli assassinii di questi gruppi abbiano probabilmente giocato un ruolo chiave nella caduta dei Qing, le loro attività isolate furono presto soppiantate da una serie di rivolte di massa che culminarono nella Rivoluzione Xinhai del 1911. Molti leader del movimento, Liu compreso, spostarono quindi la loro attenzione dai gruppi insurrezionali isolati all’organizzazione di massa. Ma l’elemento marziale della loro organizzazione non scomparve senza lasciare traccia.
Il Circolo anarchico di Guangzhou fonderà i primi sindacati moderni in Cina, sul modello dei sindacati francesi. [10] Tuttavia, come in Europa, Giappone e Stati Uniti, le organizzazioni sindacali da sole non rappresentavano la portata dell’organizzazione anarchica. Il gruppo gestiva anche dei giornali e i luoghi di incontro prima segreti delle società anti-Qing divennero centri pubblici per conferenze, dibattiti e altri eventi sociali. I club di arti marziali e di ginnastica diventeranno una caratteristica importante di questa prima fase urbana del conflitto di classe in Cina. Le tradizioni marziali ereditate, sotto forma di bande, sette religiose e società segrete (spesso sovrapposte), si combinano con i tentativi di “modernizzare” le arti marziali e di incorporare più elementi della scienza e della ginnastica occidentali (molte delle quali erano lontanamente legate al Turnerismo attraverso l’influenza sia dei radicali sia di gruppi più conservatori come l’YMCA).
Durante questo processo, le fazioni anarchiche (e, più tardi, comuniste) nella guerra di classe urbana dell’inizio del XX secolo furono coerenti sostenitori di una visione internazionalista sia della politica che della cultura. Liu parlava avidamente l’esperanto e si assicurava che il movimento operaio di Guangzhou avesse un rifornimento costante di scritti appena tradotti e di docenti stranieri. I programmi di scambio aiutarono i radicali locali a recarsi in Francia e in Giappone, dove lavorarono con gli organizzatori del lavoro e videro l’ampia gamma di servizi forniti dai movimenti sindacalisti o socialdemocratici. Al loro ritorno, cercarono di combinare ciò che avevano visto con la varietà di organizzazioni rivoluzionarie rudimentali ereditate dalla caduta dei Qing.
Queste stesse città costiere divennero anche le sedi delle prime scuole di arti marziali moderne, inizialmente gestite in gran parte dall’associazione riformista Jingwu, che introdusse il modello di sostentamento attraverso un’iscrizione a pagamento, separando così le arti marziali dalle loro radici militari, religiose o di società segrete di villaggio. [11] L’associazione mirava non solo a preservare e sintetizzare le arti marziali, ma anche a distinguerle chiaramente dalle pratiche superstiziose e arretrate associate alla fallita ribellione dei Boxer. Per questo motivo pubblicizzava gli aspetti pratici del combattimento e gli effetti positivi dell’esercizio fisico sulla salute piuttosto che invocare rituali esoterici o le storie mitiche di guerrieri buddisti e immortali taoisti inventate nella letteratura pulp dell’epoca. [12] Fu anche una delle prime organizzazioni a consentire pubblicamente la partecipazione delle donne, molte delle quali divennero simboli di spicco della nuova cultura fisica del periodo repubblicano.
L’Associazione Jingwu era una variante più moderata dei club marziali combattivi che si sarebbero presto formati con la polarizzazione delle correnti politiche post-Xinhai in fazioni nazionaliste e comuniste, entrambe sfidate dai signori della guerra locali. Ma la visione di base dell’associazione conservava il nazionalismo più morbido del Tongmenghui, cercando di sfatare l’immagine dei cinesi come “uomini malati dell’Asia orientale” e creando invece un “nuovo cittadino cinese”, che sarebbe stato “orgoglioso, ben istruito, fisicamente in forma, moralmente retto e in grado di affrontare prove fisiche di qualsiasi natura […]” [13] Secondo il mito fondativo dell’organizzazione, il patriarca del suo programma di arti marziali, Huo Yuanjia, aveva sconfitto pubblicamente un lottatore europeo che sosteneva di poter sconfiggere qualsiasi cinese. Ma Huo morì poco dopo la fondazione dell’organizzazione: il mito vuole che sia stato ucciso da un “malvagio medico giapponese” che aveva avvelenato il suo cibo. Nonostante il fascino di queste storie, l’approccio dell’associazione alle arti marziali era molto razionale. I fondatori del Jingwu cercarono di incorporare “le idee moderne (e occidentali) della scienza dello sport, della medicina e della nutrizione nelle arti marziali cinesi” e di eliminare le numerose pratiche superstiziose e spesso malsane che le varie arti avevano accumulato. [14]
Il Jingwu rappresentò anche il primo grande tentativo di combinare i vari sistemi marziali che si erano evoluti attraverso le pratiche militari locali dei villaggi, spesso segmentate per etnia e dialetto locale, in un sistema coerente di arti marziali “cinesi”. In realtà, l’associazione fu in grado di attingere solo agli stili della Cina centro-settentrionale (più omogenea dal punto di vista etnico), senza mai incorporare completamente la lotta mongola o uno qualsiasi dei diversi stili della Cina meridionale. [15]
Con la sua organizzazione principale situata a Shanghai, l’associazione era anche circondata da praticanti di pugilato e lotta occidentali, nonché di arti marziali giapponesi, e probabilmente attinse ad alcune di queste pratiche nel suo tentativo di creare uno stile cinese “autentico”. [16] Questa influenza straniera era evidente nel programma regolare di sollevamento pesi dell’associazione, che emulava la tradizione occidentale degli strong men al punto che i suoi membri muscolosi posavano persino per le foto indossando stivali da wrestling e bizzarre tute leopardate del XIX secolo. [17]
Durante le turbolenze economiche degli anni Venti, le principali fonti di finanziamento dell’associazione si esaurirono e l’associazione chiuse i battenti. Ma non fu la fine del revival marziale. Nel corso di questo tumultuoso decennio, la cultura fisica avrebbe assunto un ruolo più esplicitamente politico. Nelle città del Delta del Fiume delle Perle, Foshan e Guangzhou, le vecchie arti marziali a conduzione familiare vennero convertite in scuole pubbliche e spesso reclutate ampiamente dalla crescente classe di lavoratori migranti delle città. I club marziali erano particolarmente attraenti per i lavoratori più poveri che non potevano aderire ai clan o alle gilde. Ciò è evidente nell’esperienza della scuola Hung Sing di Choy Li Fut, che iniziò a espandersi a Foshan all’inizio del secolo, reclutando un gran numero di adepti tra la crescente classe operaia della città, esclusa dalle “gilde dei maestri” che servivano i lavoratori qualificati. [18] L’Hung Sing colmava quindi la stessa lacuna dei sindacati anarco-sindacalisti di Liu nella vicina Guangzhou e, negli anni Venti, la scuola aveva iniziato a “svolgere un ruolo innegabilmente importante nell’evoluzione del movimento operaio locale e del Partito Comunista a Foshan”. [19]
Ma i club marziali non erano utilizzati solo dalla sinistra. Il nazionalismo soft dell’Associazione Jingwu – con un’utenza di classe medio-alta, guidata e finanziata principalmente da tre uomini d’affari che gestivano un’azienda commerciale [20] – lasciò infine il posto sia a interpretazioni nazionaliste più escludenti delle arti marziali sia alla mobilitazione dei club marziali per il crumiraggio contro gli scioperi, la sicurezza di fabbriche e banche e gli scontri di strada a sfondo politico. A Foshan, questo culminò in battaglie tra la scuola Hung Sing Choy Li Fut e la Zhong Yi Martial Arts Athletic Association (Zhong Yi Guang), che insegnava Hung Gar e Wing Chun. Entrambi erano stili familiari, inizialmente sviluppati e trasmessi all’interno dei clan di ricchi proprietari terrieri, a differenza del Choy Li Fut, che era diventato uno stile relativamente eclettico, plasmato dall’uso nelle precedenti ribellioni anti-Qing.
Negli anni Venti, l’affiliazione della scuola Hung Sing ai comunisti fu formalizzata: due dei quattro membri della task force del PCC di Foshan (finalizzata alla creazione di una cellula comunista attiva in città) provenivano dall’organizzazione. Nel frattempo, le scuole Yi si allinearono con le imprese locali, i sindacati “gialli” e la destra della leadership provinciale della GMD [nazionalista]. Si scontrarono ripetutamente con l’Associazione Hung Sing per i vari scioperi e picchetti promossi dall’organizzazione di sinistra. Sembra che le scuole Yi siano state utilizzate come qualcosa di simile agli scioperanti per tutto l’instabile decennio. [21]
Mentre l’Hung Sing era più grande (con circa 3.000 membri) e composta principalmente da lavoratori meno qualificati, lo Zhong Yi era più piccolo (molto probabilmente circa 1000 membri), più esclusivo e più eterogeneo, comprendendo “lavoratori ordinari, uomini d’affari, personale militare [sic], politici locali e commercianti”. [22] Ma questa “eterogeneità” era chiaramente un’alleanza tra forze di estrema destra e un sottoinsieme di lavoratori conservatori incaricati di reprimere la volatilità della prima classe operaia del Delta del Fiume delle Perle.
Questa rinascita e politicizzazione su larga scala della cultura fisica scemò in una sconfitta e un’ossificazione simultanee. Durante l’ascesa dei nazionalisti negli anni Trenta, si tentò di riconfigurare gli obiettivi originari dell’associazione Jingwu sotto la bandiera del Guoshu (Arti Nazionali). Come Guoshu, le arti marziali vennero rielaborate alla maniera della cultura fisica di estrema destra in luoghi come la Germania e il Giappone. Il programma Guoshu tentava di “creare un programma nazionale e standardizzato di arti marziali”, enfatizzando al contempo il ruolo della pratica marziale nella trasmissione della cultura cinese “tradizionale”, in larga parte un’invenzione recente. [23] L’esperimento Guoshu soffriva del fatto che la tradizione marziale cinese non conteneva le stesse dimensioni intensamente gerarchiche e militaristiche della sua controparte giapponese e i tentativi di riformarla in questa direzione furono interrotti dallo scoppio della guerra civile e dalla sconfitta finale dei nazionalisti.
D’altra parte, le arti marziali tendevano a ossificarsi sotto il PCC dopo la sua sconfitta nelle città (a seguito del Massacro di Shanghai del 1927) e a spostarsi nelle campagne. Sebbene il PCC continuasse a reclutare artisti marziali e a impiegarli nell’organizzazione rurale, il passaggio alle campagne portò con sé una crescente militarizzazione del progetto rivoluzionario nel suo complesso.
L’internazionalismo dei primi movimenti comunisti e anarchici fu sempre più sostituito da un populismo rurale di stampo nazionalista e gli ampi programmi culturali e sociali dei primi anni furono sacrificati in nome dell’efficienza militare. I combattimenti ravvicinati in città lasciarono il posto alla guerriglia rurale, rendendo i metodi del corpo a corpo largamente irrilevanti. L’addestramento militare sostituì lentamente i più diversi regimi fisici delle arti marziali.
Dopo la guerra, i gruppi di arti marziali furono trattati con sospetto, essendo il nuovo Stato ben consapevole della loro capacità di organizzare ribellioni (particolarmente pericolose nella Cina meridionale, l’ultima area conquistata dai nazionalisti, ancora adiacente alla Hong Kong coloniale e alla Taiwan controllata dai nazionalisti). Sebbene sia stata loro concessa un’esistenza marginale, non ci fu un vero tentativo di tornare e modernizzare il lato marziale della cultura fisica. Al contrario, il governo avviò il programma Wushu al posto del fallimentare Guoshu dei nazionalisti. Il Wushu (tradotto semplicemente come Arti Marziali) ha spogliato le pratiche delle loro effettive applicazioni combattive, trasformandole in forme prestabilite, aggiungendo aspetti ginnici e creando un sistema di competizione basato non sullo sparring ma sulle caratteristiche formali. Piuttosto che un sistema di combattimento, il Wushu moderno è più un “tipo di danza popolare o di ginnastica a terra fisicamente impegnativa, con movimenti derivati dai sistemi tradizionali delle arti marziali cinesi”. [24] La cultura fisica si è quindi ossificata durante l’era socialista e solo di recente è stata ripresa in Cina, quando il Sanda/Sanshou (uno sport di kickboxing con regole simili alla Muay Thai) è emerso dalle sue radici militari per conquistare un pubblico di massa e le MMA hanno iniziato a crescere in popolarità.
Sapateiro
Sebbene molte pratiche culturali che nascono in un periodo di guerra intensa, frammentazione politica e collasso economico tendano inizialmente ad assumere caratteristiche di escatologia o conservazione nazionalistica, queste non sono chiaramente la totalità delle pratiche. La cultura è malleabile, dopo tutto, e come ogni altra cosa diventa un terreno di continuo conflitto di classe. La cultura fisica è quindi internamente divisa, pendendo sia a destra sia a sinistra, ed è particolarmente indeterminata nei primi anni della sua ascesa. Se al momento sembra che il campo stia cadendo verso l’estrema destra, non dobbiamo concludere che il campo stesso sia fascista. Ma non è nemmeno neutrale. È un terreno, con i suoi contorni.
A volte questo conflitto assume la forma di un fascismo statunitense combattivo e melenso. Padri panzoni e dai pugni lentissimi tracannano integratori che hanno visto pubblicizzati sul Joe Rogan Experience, si procurano un adesivo del Punitore e hanno un vago sogno di un mondo in cui possano tornare a essere uomini. Se li guardate negli occhi, noterete che sono acquosi, tremolanti pozzetti di gelatina con un bagliore sepolto da qualche parte in profondità, come un fuoco affamato di ossigeno. Le loro controparti più giovani, invece, cercano di bilanciare l’effettiva abilità marziale con la perfetta coltivazione di muscoli da esibire nei loro profili Tinder, immancabilmente buffi. Hanno quasi sempre gli occhi fanatici da tossici, come se avessero visto cose che non si possono non vedere. Il loro fisico è l’incarnazione della loro politica: il circolo vizioso dell’ipertrofia muscolare a scapito della forza funzionale, la vecchia battaglia tra il culturista e l’atleta di forza.
È un rituale che raggiunge rapidamente l’apice, lasciando in eredità ai suoi praticanti muscoli pesanti e affamati di ossigeno e una scarsa tecnica marziale. La crisi del capitale incarnata.
Accanto a tutto questo, naturalmente, c’è una popolazione sempre più numerosa di stronzi di contorno. Sono le persone che gestiscono le pagine dei meme dell’alt-right o che si accalcano con le loro bandiere del KEK dietro gli skinhead alla manifestazione anti-antifa. Si gloriano di esaltare la debolezza della sinistra e di proclamare la propria superiorità espansiva. Mettono la sicura alle porte delle auto quando attraversano i quartieri neri, ma, a differenza dei loro nonni, lo fanno “con ironia”. E in realtà mettono la sicura anche nei quartieri poveri dei bianchi. Vengono dalle periferie. Il conservatorismo è la nuova controcultura, dicono, svapando a casa della mamma. In realtà vogliono solo che le porte abbiano sempre la sicura inserita. Vogliono solo rimanere in macchina, ok?
Ma il conflitto di classe opera in modi più sottili. Altrove abbiamo descritto la mobilitazione del Crossfit a favore degli interessi di classe dei professionisti urbani. E la teoria del Crossfit sulla cultura fisica sembra fornire prove di caratteristiche particolarmente fasciste che scalano la gerarchia di classe, fornendo alle élite urbane la loro peculiare forma di performance “primordiale”.
“[…] Il crossfit sfrutta la nostalgia per un passato più semplice e la combina con la romanticizzazione di ciò che è naturale per creare una visione comprensibile del presente che abbraccia la precarietà, essendo preparato a tutto. Non si tratta però di un’ingenua fantasia che anticipa una visione del mondo come “caduta dalla grazia”.. L’idilliaco e selvaggio “primordiale” è abbinato alla scienza moderna nel tentativo di ricreare un umano rinato che si specializza nel non specializzato. Così come il lean management obbliga tutti i dipendenti a essere flessibili negli orari di lavoro e nelle competenze, il Crossfit esige lo stesso dai suoi praticanti. Il Crossfit è la produzione snella del corpo, sia in senso metaforico che letterale.”
Questo “deperimento” della cultura fisica, assunta dai gradini più bassi della classe superiore, è il punto in cui risiede la minaccia più grande, perché pone la possibilità di una futura unione tra la triade fascista: il fascismo tossico (persona paranoica e per lo più sovra stimolata da varie sostanze) insito della popolazione eccedente; i ragazzi delle confraternite universitarie, gli introversi delle periferie e altri prìncipini del capitale; e le classi professionali e dirigenziali urbane che i primi attualmente disprezzano.
I primi due hanno già iniziato una fusione lenta, misera e incompleta, affamata di risorse e priva di qualsiasi carattere di massa, risultando in una condizione di “fascisti senza fascismo“. Ma con l’aumento dell’instabilità, la minaccia rappresentata dai diseredati della società aumenta – e in realtà il liberale urbano (bianco o meno) è altrettanto preoccupato dalle rivolte che hanno generato Black Lives Matter quanto il conservatore di periferia, un fatto chiaramente visibile quando l’intero apparato politico dei democratici neri si è mobilitato per spegnere le rivolte di Baltimora. Il liberale dalla mano morbida sarà lieto di placare i barbari fino alla caduta della corte stessa. Il liberale snello, invece, alla fine si unirà ai fascisti, scoprendo un certo gusto nel puro potere “primordiale” di tanti corpi che accelerati all’unisono. Il futurista e il decadente urbano facevano parte del fascismo storico tanto quanto l’operaio che si muoveva per strada, dopotutto.
Ma, di nuovo, la lotta di classe non si muove solo in una direzione. Una volta che la polarizzazione politica ha raggiunto una certa intensità, gli Hung Sing possono impegnarsi in imponenti battaglie di strada contro gli Zhong Yi, ma prima di ciò le sfide si svolgono in modo più sottile. Per fare un esempio: nella scena delle arti marziali brasiliane della metà del secolo scorso, le scuole di Jiu-Jitsu d’élite della famiglia Gracie, situate nei quartieri urbani più ricchi di Rio de Janeiro, erano costantemente sfidate dai combattenti più poveri della Luta Livre e dai dojo di Jiu-Jitsu rinnegati situati nei quartieri poveri della periferia. Tutte queste sfide assunsero un profondo carattere razziale e di classe, i cui contorni possono ancora essere percepiti nelle moderne MMA. Ma le radici della divisione all’interno del Jiu-Jitsu stesso risalgono all’introduzione dell’arte in Brasile nel 1910.
Mitsuyo Maeda è stato il judoka giapponese più integro nella formazione del Jiu-Jitsu brasiliano, noto soprattutto come insegnante di Carlos Gracie, fratello maggiore di Helio e primo della stirpe Gracie a imparare l’arte. Carlos e Helio provenivano da una famiglia benestante con ampi interessi commerciali e il loro primo contatto con l’arte avvenne poiché il padre era un investitore in un’importante compagnia circense, che aveva ingaggiato Maeda per esibirsi. Quando alcuni anni dopo iniziarono a insegnare il “Gracie Jiu-Jitsu”, si rivolsero prevalentemente a professionisti della classe media e alta, mantenendo spesso un sottoinsieme di tecniche “segrete” a coloro che appartenevano alla loro famiglia.
Ma Carlos Gracie non fu l’unico studente brasiliano di Maeda. Più o meno nello stesso periodo in cui Carlos iniziò a studiare con Maeda, Luis França era già stato allievo di Maeda per quasi un anno. Mentre Carlos avrebbe insegnato l’arte al fratello minore Helio, fondando insieme il lignaggio che in seguito sarebbe stato considerato sinonimo di Jiu-Jitsu brasiliano, França passò a insegnare a Oswaldo Fadda, un uomo povero delle favelas di Rio. Fadda iniziò a insegnare il Jiu-Jitsu agli abitanti delle favelas attraverso lezioni gratuite o a basso costo in luoghi pubblici. Non avendo molti soldi per la promozione, pubblicava annunci nella sezione dei necrologi. Questa pratica lo rese un emarginato all’interno della nascente scena del Jiu-Jitsu del Paese e questa rivalità si concretizzò in un famigerato torneo di sfida del 1951 tra gli studenti di Fadda e la scuola Gracie.
Sia i Gracie che Fadda avevano sviluppato e reinventato in modo selettivo l’arte appresa da Maeda. Ma mentre i Gracie (all’epoca) mantenevano un sottoinsieme di tecniche “segrete” all’interno della famiglia, Fadda insegnava apertamente e ne abbracciava una gamma più ampia. Alla fine, il torneo fu deciso proprio da questa varietà di gamma. La squadra di Fadda vinse in modo schiacciante, aggiudicandosi diciannove dei venti incontri disputati, secondo la maggior parte dei resoconti. [25] La stragrande maggioranza fu vinta con leglocks (una presa alle ginocchia), le quali venivano derise dai Gracie come “inferiori”, una tecnica “suburbana” associata agli studenti più poveri e con la pelle più scura delle scuole della favela. Ogni volta che un incontro veniva vinto in questo modo, gli studenti Gracie più ricchi urlavano sapateiro (ciabattino) agli studenti di Fadda, in gran parte appartenenti alla classe operaia, un insulto che difficilmente cercava di nascondere le sue implicazioni di classe e razziali.
Ancora oggi, si dice che le proibizioni contro il “knee-reaping” (posizione in cui si mette in forte tensione l’articolazione del ginocchio avversaria) nel regolamento ufficiale (fondato da Gracie) dell’IBJJF per il Jiu-Jitsu sportivo abbiano origine da questa sfida di metà secolo, dove i liberali urbani caddero uno alla volta contro gli abitanti dei bassifondi che applicavano queste tecniche alle gambe. [26]
Forza
Oggi è di nuovo un’epoca di barbarie. Gli schermi lampeggiano sopra folle ubriache. Il sangue viene sparso sull’Ottagono come una leggera pioggia. E in Cina sono tornate le stesse vecchie questioni di classe, crisi e tradizione, come in ogni altro luogo. È una vecchia storia raccontata attraverso una sfida: questa volta non tra stranieri e stilisti autoctoni, ma tra un combattente cinese autodidatta di MMA di nome Xu Xiaodong e Wei Lei, un “maestro” di Tai Chi. Il risultato è prevedibile. La tecnica di Xu è scarsa, apparentemente appresa in parte guardando incontri di MMA online. Oltrepassa il bersaglio, esplodendo in avanti in un modo che porterebbe a un rapido takedown o a un KO anche contro un combattente di livello medio. I suoi pugni si collocano a metà strada tra i ganci veri e propri e i montanti da ubriaco. Ma nonostante tutto, riesce a sottomettere Wei in meno di quindici secondi.
Alla fine, nessuno dei difetti di Xu ha importanza contro Wei, che semplicemente non sa combattere. Il “maestro” pratica uno stile di Tai Chi (di sua invenzione, ma discendente dalla più ampia scuola Yang) che da tempo ha eliminato qualsiasi applicazione in combattimento. É noto soprattutto, non per le sue abilità marziali, ma per le sue presunte capacità magiche. Ha raggiunto la fama con un’apparizione in un documentario della CCTV, in cui ha reso un uccello incapace di lasciare la sua mano usando il suo “chi” per creare un campo di forza intorno ad esso. Xu l’ha definito un impostore, a quanto pare un produttore del programma gli ha detto che l’intero episodio era una messa in scena e che l’uccello era stato incollato al palmo della mano di Wei con del nastro adesivo. Lo stesso Wei, si scoprì in seguito, era stato un massaggiatore prima di diventare un “maestro” di kung fu. Le polemiche scambiate nel cyberspazio si sono poi evolute nella sfida di Chengdu, che è diventata rapidamente virale.
Per molti versi, l’attacco di Xu alle arti “tradizionali” corrotte rispecchia la prima ascesa delle MMA negli Stati Uniti e non solo, basata su sanguinosi incontri di sfida sostenuti da profonde divisioni di classe. Xu era spinto non tanto dall’odio per la “tradizione”, quanto dalla volontà di sradicare con la violenza la decadenza e la corruzione della nuova struttura di classe cinese. Wei Lei era un’incarnazione disponibile di quella corruzione all’interno della cultura fisica – e non è difficile immaginarlo come una controfigura di un qualsiasi numero di uomini d’affari o funzionari governativi corrotti. Infatti, nel giro di una settimana dalla diffusione del video, sia l’Associazione Pugilistica Cinese che l’Associazione Statale di Wushu hanno condannato l’incontro, lasciando intendere che potesse essere illegale, e un importante miliardario del Guangdong ha offerto due milioni di dollari a chiunque fosse riuscito a battere Xu. Di fronte all’intensa opposizione dei ricchi e dei potenti, lo stesso Xu ha ritrattato e si è nascosto, temendo potenziali rappresaglie. Sembra che in futuro non si potranno tenere sfide di questo tipo, o almeno rischieranno una seria repressione. [27]
Anche se inserita in un contesto culturale diverso, la campagna anti-corruzione di Xu ha colpito la comunità mondiale delle MMA. Xu stesso ha dichiarato il suo obiettivo in modo semplice: “[Io] ci vado pesante contro le cose false, perché sono false. Le cose false devono essere eliminate. Non c’è dubbio”. Questo sentimento risuona con la marea montante della politica populista, basata non tanto su un’analisi dell’economia globale o sulla coscienza di classe, quanto sul riconoscimento diretto del fatto che la crescente disuguaglianza, guidata dalle “false” industrie della finanza e dell’informatica, ha creato due mondi molto diversi: uno incentrato sull’ascesa “creativa” delle ricche città costiere e l’altro sul vasto entroterra globale in decadenza, caratterizzato da disoccupazione, malattie dilaganti, uso di droghe e lavoro a basso salario nei mercati neri e grigi. Xu, quindi, è l’immagine stessa di quel “barbaro” sostenuto dall’estrema destra: una figura di guerriero in grado di trascinare il “maestro” di Tai Chi dalle mani morbide – che rappresenta ogni creativo urbano, finanziatore capitalista “clientelare” e funzionario governativo – fuori dalla bolla liberale e sul tappeto. I dieci secondi di pestaggio di Wei possono quindi essere intesi come un atto di iconoclastia populista, in cui il guerriero distrugge le molte illusioni che fondano il falso senso di progresso dei liberali all’interno di un’economia stagnante: la rinascita urbanistica, le industrie hi-tech e la tecnocrazia vagamente progressista, tutte costruite su falsità semplici come un uccello incollato al palmo di un massaggiatore trasformato in maestro di kung-fu.
Di fronte a queste condizioni, è troppo facile osservare l’ascesa dell’estrema destra e perdersi d’animo per la sua apparente inevitabilità. Certo, se si aderisce a una teoria del fascismo per contagio culturale, potrebbe sembrare che ci troviamo sull’orlo di un’imminente pandemia, il cui contagio è visibile nella diffusione di abbigliamento sportivo e tagli di capelli a spazzola in tutta la popolazione. Un’immagine davvero distopica per la sinistra radical chic. Ma anche se la marea sembra scivolare verso destra, la ribellione dei Boxer e le sue conseguenze dovrebbero ricordarci che la storia ha un arco più lungo.
Nonostante numerosi articoli di critica tentino di equiparare l’America di Trump alla Germania del tardo Weimar o all’Italia degli anni Venti, il fatto è che in entrambi i casi europei il fascismo è sorto dal cadavere di un movimento di sinistra diffuso e ben sviluppato che aveva fallito nei suoi numerosi obiettivi.
Oggi gli Stati Uniti non si trovano in una posizione simile. Al contrario, sotto quasi tutti gli aspetti, la situazione attuale assomiglia di più a quella della Cina della fine dei Qing, in cui nessuna politica di sinistra era stata in grado di coagularsi all’interno del corpo dell’egemone in decadenza, e invece una destra superstiziosa e vagamente populista è salita al potere in sua assenza. Ma la sua ascesa è stata prematura. La sequenza storica si è quindi invertita: la sinistra stessa ha costruito la sua forza sul fallimento del tentativo della destra populista di prendere il potere. Nonostante la sua definitiva militarizzazione attraverso la guerra civile e la successiva discesa nella gestione di un regime di sviluppo, il movimento comunista cinese dimostra che la fusione tra populismo e cultura fisica dell’estrema destra può, di fatto, essere messa in discussione.
Alla fine nessuna analogia storica fornisce un quadro veramente accurato del presente e il più delle volte l’analogia storica prende il posto di un’analisi rigorosa delle condizioni realmente esistenti, distorcendole accuratamente per produrre un campo di battaglia preferenziale per argomentazioni gridate nelle sale vuote dell’Internet. Ma ciò che questa storia dimostra è semplicemente che la forza non viene sconfitta dalla rielaborazione della debolezza. Nella sua derisione della cultura fisica, nel suo stile politico quasi esclusivamente accademico e nella sua enfasi sulla correzione del linguaggio, dell’immaginazione e delle più microscopiche interazioni interpersonali, la maggior parte della sinistra statunitense non è oggi dissimile dallo stesso Wei Lei – che, va notato, era assolutamente convinto di trattenere il suo vero potere per paura di uccidere il suo avversario. La debolezza è essa stessa consacrata come una sorta di comandamento fondativo. La strategia politica della sinistra, basata sull’istigazione di un magico cambiamento di paradigma mentale-spirituale-culturale-elettorale, è al tempo stesso diretta e ridicola come un campo di forza fatto di “chi”. Questo culto della debolezza percepisce gli enormi differenziali di potere del capitalismo contemporaneo e suggerisce di rispondere alla forza esterna dello Stato, della polizia e del datore di lavoro con la forza interna della virtù superiore. Legato agli interessi delle élite liberali, il culto della debolezza della sinistra è, in ultima analisi, un costrutto ideologico progettato per mantenere una comprensione intellettuale del capitalismo e delle atrocità che ne derivano isolata da qualsiasi movimento popolare che potrebbe essere in grado di costruire una forza sufficiente per sfidarlo. Un risultato di questo culto operativo è la monopolizzazione della cultura fisica da parte dell’estrema destra.
Tutto ciò non accade nel vuoto. Viviamo le nostre vite su orbite misere, passando dalle numerose e noiose miserie del lavoro alla patetica e fugace eccitazione del consumo, per poi tornare di nuovo ai nostri piccoli e costosi affitti, meticolosamente riempiti con un’abbuffata di Netflix della nostra sofferenza accuratamente coltivata. Ogni legamento vitale è tagliato fuori dalla carne, spogliato delle sue funzioni e astratto attraverso il mercato fino a quando l’intera orbita della vita sembra curvare verso nient’altro che una tempesta stomachevole di acquisti e vendite e debiti e crediti, in qualche modo terminando, in fin dei conti, sempre con un po’ meno. In queste condizioni di alienazione di massa, è evidente che le persone in generale comincino a cercare, a livello intuitivo, la creazione di un nuovo corpo comunitario. Le dimensioni politiche di questo desiderio non sono ancora visibili. Si tratta invece di una risposta puramente prometeica alla terrificante Terra che il mercato ci ha lasciato in eredità, umida e salmastra. Come ha detto più semplicemente un amico: ” Ovunque, le persone stanno cercando le loro anime, setacciando la terra in cerca di strumenti e cercando in un milione di modi di reinventare ciò che significa essere umani e abitare sulla terra”.
La cultura fisica è uno di questi strumenti, che offre la promessa di una letterale trasformazione da debolezza vulnerabile e indifesa a forza resiliente e reinventata, in grado di sopravvivere al mondo futuro. Allo stesso tempo, fornisce una forma di esperienza comunitaria su piccola scala che agisce come balsamo temporaneo per gli effetti devastanti dell’alienazione. Ciò è particolarmente vero per le forme di cultura fisica combattiva, i cui effetti immediati tendono a contrastare molte delle piaghe minori della società capitalista: diminuiscono lo stress e l’ansia, migliorano la salute mentale e l’immagine di sé in generale e riducono l’aggressività. Combattere, soffrire e diventare più forti insieme non fa che rafforzare il nostro desiderio intuitivo di reinventare il comune, poiché fornisce il più rudimentale assaggio di un mondo al di là della vasta devastazione sociale ed emotiva a cui ci siamo abituati.
L’origine del fascismo non va ricercata nelle caratteristiche formali della cultura fisica, e nemmeno nelle forme marziali della cultura fisica, perché il fascismo non è una sorta di virus coltivato da particolari pratiche culturali. È invece una risposta politica ampia alla devastazione materiale offerta dallo status quo atonale, una devastazione che arriva fino al corpo umano, visibile in una vasta marea di morbilità e mortalità in aumento nell’entroterra americano. Qualsiasi comunismo degno di questo nome deve rispondere alla stessa devastazione. La caratteristica distintiva della soluzione fascista, quindi, non è semplicemente il riconoscimento di questa debolezza e il tentativo di trasformare il corpo per sopravvivere, ma piuttosto il suo approccio alla natura comunitaria di tali pratiche. Il fascista prende il desiderio di comunità espresso in questi spazi e cerca semplicemente di estendere queste piccole affinità pre-politiche, riducendo il desiderio di comunità in quanto tale al desiderio di una salvezza essenzialmente tribale e comunitaristica. È una risposta millenarista all’impersonale assenza di mondo del mercato, reazionaria nella sua promessa mitica di ripristinare una sorta di ordine comunitarista perduto, promessa che alla fine è semplicemente un velo sublime steso sulle mostruosità necessarie a preservare la spinta fondamentale del capitalismo.
Nei termini tribalisti di qualcuno come Jack Donovan, questo è un appello a “far ripartire il mondo”. Ma “il mondo” è, per l’estrema destra, più precisamente un amalgama di mondi, piccoli e separati l’uno dall’altro, spesso annidati in attente gerarchie. Il coinvolgimento dell’estrema destra nella cultura fisica, quindi, è intrinsecamente anticomunista non perché sia fisico o combattivo, ma perché cerca di sostenere una definizione escludente di comunità, equiparando l’universale in quanto tale al tiepido individualismo di mercato dell’ordine liberale. Il nuovo corpo del fascista è il corpo della tribù, della polarità nazionale, del sangue della comunità – tutto incarnato nella costruzione di forme di forza delimitate per funzioni sociali meticolosamente controllate, il corpo umano stesso immaginato come una sorta di muscolo da esposizione iperallenato, ipertrofico, inflessibile e difficile da mantenere. Il fascista maschera così una debolezza profonda sotto l’esibizione di un culto della forza, diametralmente opposto alla decadenza liberale.
Un approccio comunista è quello che rifiuta questa soluzione comunitarista, rifiutando di “fondare il mondo” o di far risorgere ordini mitici. È invece un tentativo di inventare un futuro universale, spingendo il desiderio di comunione oltre i limiti attuali attraverso una serie di strumenti, tra cui la cultura fisica. La cultura fisica stessa dovrebbe essere vista come intrinsecamente sincretica e flessibile, il suo sviluppo elabora ed espande la natura della comune futura. Le affinità prepolitiche (il raggruppamento tribale della palestra o della squadra) non sono semplicemente estese ma trasformate, le loro dimensioni politiche sono rese visibili quando le loro affinità si collegano a quelle di altri gruppi simili. Nel frattempo, la forza costruita in questi spazi è una forza tecnica e flessibile al servizio di una maggiore soggettività. Nella sua dimensione mitica, questa forza immagina la forma umana come un corpo prometeico in continua costruzione, capace di liberarsi del suo carattere proletario una volta per tutte, distruggendo così le coordinate fisse di tribù, nazione e comunità.
Al contempo, l’equazione tra cultura fisica e mascolinità in quanto tale è semplicemente falsa. Significherebbe adottare una posizione intrinsecamente misogina che è, di fatto, identica a quella sostenuta da uomini come Donovan. Sebbene sia evidente che molti di questi spazi e pratiche tendano, in una società patriarcale, a essere maggiormente accessibili agli uomini e socialmente codificati come maschili, questo è ancora una volta un prodotto di conflitti storici di genere e di classe piuttosto che l’espressione di un ordine primordiale. Una concezione fascista della cultura fisica cerca di rafforzare le dinamiche di potere ereditate che si celano dietro l’apparente affinità organica della “tribù”, definendo tali spazi per esclusione. L’approccio comunista è quello di renderli più inclusivi, con l’obiettivo di contrastare tali gerarchie ereditate. Questo è di per sé un riconoscimento del fatto che tali spazi non sono intrinsecamente neutrali. Ovviamente, qualsiasi impegno su larga scala in forme combattive di cultura fisica comporta il rischio di militarizzazione – di fatto, la figura del guerrigliero armato di culto tende esemplifica questo errore, sia che si tratti dei Weather Underground, disperatamente autoflagellanti, sia che si tratti della deliziosamente folle Armata Rossa Unita giapponese. Ma ogni terreno della guerra civile latente comporta dei rischi e questi rischi non sono un motivo per cedere il campo alla destra.
La risposta della sinistra all’ascesa dell’estrema destra, tuttavia, è stata in gran parte un gioco a chi può cedere di più. Questo perché la teoria del fascismo come una sorta di contagio ambientale presuppone che il terreno stesso possa, e di fatto sia stato, corrotto in modo irreversibile. Essere “antifascisti”, quindi, non vuol dire contro-organizzarsi contro il fascismo su questo terreno, ma invece sradicare meticolosamente ogni significante culturale a rischio di essere “infettato” dal proprio stile di vita e da quello di tutti coloro che si trovano a distanza di sicurezza. Per alcuni, questo fa il paio con le battaglie di strada sempre più spettacolari tra gli antifa e l’ultima accozzaglia di estremismo pazzoide dell’alt-right (in combutta, ovviamente, con la polizia). Molti attivisti in via di guarigione, amareggiati, deridono questi spettacoli come in qualche modo controproducenti (danno attenzione a gruppi marginali di destra, distraggono dall’azione “reale”, ecc.), ma si tratta in gran parte di meschinità post-sinistra, di urla contro i bambini sul prato. Non c’è contraddizione tra il riconoscere l’utilità o almeno la non pericolosità degli scontri di strada antifascisti e il riconoscere contemporaneamente la mancanza di una risposta organizzativa più profonda sotto questi spettacoli, per non parlare della persistente assenza di lotte di massa in grado di radicare la destra o la sinistra nella nostra epoca di pervasiva atomizzazione.
Le critiche all’abbigliamento sportivo sono quindi poco più che un sottile mantello di spandex steso su un vuoto politico annoiato. Il fatto è che la maggior parte della folla della scuola d’arte, così come la maggior parte della scena “radicale” di una qualsiasi città costiera, siede ben all’interno delle mura del palazzo, immaginandosi lontana da quella popolazione vettore che temono possa trasmettere il patogeno. Guardando alle molte specie di liberali che punteggiano le torri color smeraldo del centro finanziario o del distretto universitario, queste persone possono sentirsi fondamentalmente diverse perché scelgono di combattere la migliore delle battaglie perdenti contro la grande classe di gentrificatori-amministratori. Ma, al di là delle mura, la loro visione è in gran parte in accordo con quella dei liberali: il vasto hinterland è poco più di un grande mare di barbarie. Alcuni potrebbero avventurarsi fino al confine della città o a un ghetto della rust belt [NdT: letteralmente “cintura di ruggine”, un’espressione che indica la regione compresa tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo cuore dell’industria pesante statunitense] ancora da demolire – dopotutto, di solito sono gli sbandati e gli anarchici a marcare un quartiere per la “riqualificazione” anni prima degli hipster – ma pochi si insedierebbero volentieri in un luogo come l’Oregon meridionale rurale, dove si sono svolte le campagne di reclutamento più attive dei Patriots, e il disprezzo culturale per i “sobborghi” li ha tenuti in gran parte al di fuori dei nuovi anelli di insediamenti di baraccopoli che circondano molte città statunitensi. L’ironia della sorte è che, man mano che i muri si estendono, si aggravano e si costruiscono sempre più in alto, le condizioni materiali che generano il fascismo (che non è, dopo tutto, un agente patogeno o una preferenza di stile di vita) si approfondiscono. La stratificazione sociale aumenta e i tentativi degli abitanti delle città di difendersi dalle orde sottostanti iniziano a coordinare sempre più strettamente tutti gli elementi della triade fascista.
Ma, alla fine, gli unici comunisti degni di questo nome sono quelli che vogliono spudoratamente costruire la forza. Poiché il fascismo non è né un agente patogeno né una scelta di vita, non può essere sconfitto attraverso la quarantena, il richiamo o persino la difesa spettacolare di The Bay, la Mecca della sinistra statunitense. Dovremmo invece riconoscere che non esiste ancora una base di massa per il fascismo e qualsiasi tentativo di sconfiggerlo deve quindi concentrarsi sulla contro-organizzazione non solo contro una piccola sottocultura di fascisti attivi, ma anche tra quei proletari che, in assenza di qualsiasi alternativa, sarebbero probabilmente reclutati all’ultimo stadio se questo fascismo dovesse iniziare a formare una base popolare.
Distruggere il fascismo in modo decisivo significa impedirne la capacità di ammassarsi in primo luogo. L’ascesa prematura dell’estrema destra non deve quindi essere vista come un ostacolo insormontabile da affrontare con disperazione, ma piuttosto come un’opportunità essenziale. È un pestaggio necessario come lo spietato ground-and-pound [NdT: in MMA, la fase del combattimento a terra durante la quale il combattente in posizione dominante colpisce ripetutamente il proprio avversario] di Xu, privo di tecnica ma comunque efficace contro la totale debolezza dell’establishment liberale. L’importante è ciò che viene dopo: e qui va notato che Xu, come i pugili prima di lui e i populisti di destra gonfi di birra di oggi, difficilmente reggerebbe a una vera sfida. Esagera con i pugni e predilige i ganci per lo spettacolo e la potenza a scapito della tecnica sul ring. Scatta in avanti con le spalle ingobbite, i ganci mancati mettono a nudo la schiena, la postura espone il collo e i piedi si incastrano mentre cerca di recuperare la posizione. L’approccio più sicuro in un incontro del genere sarebbe quello di contrastare il suo gancio eccessivo con un takedown a doppia gamba o semplicemente con una presa da dietroin stile wrestling verso un suplex, smorzando la potenza dei colpi di Xu e costringendolo a un combattimento tecnico a terra. Ma l’approccio sicuro non è sempre il più soddisfacente, e un po’ di avventurismo fa sempre scatenare la folla, tanto nei combattimenti in gabbia quanto nelle insurrezioni. Allora perché non trasformare il gancio eccessivo in una presa al colletto, sfruttare la postura ingobbita di Xu per spostarsi in una presa alla testa frontale, farlo cadere a quattro zampe e usare il controllo della testa per passare alla ghigliottina, il massimo del piacere per il pubblico. Abbiamo sentito che sta tornando in auge, dopotutto.
Seattle Ultras
[1]. Questo è un ciclo che veniva spesso a ripetersi in periodi d’instabilità imperiale, così che la sequenza delle “epoche d’oro” delle arti marziali tende a correlare con i periodi di collasso dinastico e ribellione diffusa.
[2]. Questa argomentazione, così come la panoramica generale delle caratteristiche e degli eventi della ribellione, deriva in gran parte da: Joseph W. Esherick, The Origins of the Boxer Uprising, University of California Press, 1987. p. xiv
[3]. Per il carattere generale del fascismo cinese, si veda: Maggie Clinton, Revolutionary Nativism: Fascism and Culture in China, 1925-1937, Duke University Press, 2017. E per il ruolo specifico delle arti marziali e del genere letterario wuxia all’interno del movimento fascista, si veda: Wen-hsin Yeh “Dai Li and the Liu Geqing Affair: Heroism in the Chinese Secret Service During the War of Resistance”, The Journal of Asian Studies, Volume 48, Issue 3, Agosto 1989, pp.545-562.
[4] Per i dati più dettagliati sulle tendenze economiche negli Stati Uniti non metropolitani, si vedano i dati sull’economia e la popolazione rurale dell’USDA Economic Research Service, compresi i rapporti “Rural America at a Glance”, disponibili qui: <https://www.ers.usda.gov/topics/rural-economy-population/>
[5]. Per un resoconto più dettagliato sull’ascesa del movimento, si veda Up in Arms: A Guide to the Patriot Movement del Rural Organizing Project, disponibile qui: <http://www.rop.org/up-in-arms/>
[6] Da allora ha rotto i rapporti con la palestra dopo la pubblicità negativa legata al suo coinvolgimento.
[7] Si veda: Paul Buhle, Marxism in the United States: A History of the American Left, Verso, 2013.
[8] Il ruolo di questi club di fitness e arti marziali nella storia della sinistra radicale rimane un fenomeno poco studiato. Ne offriamo qui un abbozzo sulla base dei dati disponibili, ma molti dettagli sono andati perduti o dimenticati e costituiscono quindi un campo fertile per ulteriori ricerche storiche.
[9] Per saperne di più su questo movimento anarchico cinese, si veda: Arif Dirlik, Anarchism in the Chinese Revolution, University of California Press, 1991. Per un approfondimento sulla corrente fascista all’interno del movimento nazionalista, si veda Clinton 2017.
[10] C’è stato anche un livello di contatto (gravemente sottostimato) tra l’ala statunitense dell’IWW, che comprendeva alcuni lavoratori migranti cinesi, e i gruppi anarchici cinesi.
[11] Brian Kennedy e Elizabeth Guo, Jingwu: The School that Transformed Kung Fu. Blue Snake Books, 2010.
[12] Per il ruolo effettivo, relativamente minimo, svolto dall’establishment buddista nelle arti marziali storiche, si veda: Meir Shahar, The Shaolin Monastery: History, Religion and the Chinese Martial Arts. University of Hawai’i Press, 2008.
[13] Kennedy and Guo 2010, pp.10-11
[14] Ibid, p.13
[15] Ibid, pp.68-70
[16] Ibid, pp.45-46
[17] Ibid, pp.53-54
[18] Benjamin N. Judkins e Jon Nielson, The Creation of Wing Chun: A Social History of the Southern Chinese Martial Arts (Storia sociale delle arti marziali della Cina meridionale), SUNY Press, 2015, pagg. 98-101.
[19] Ibid, p.102
[20] Kennedy and Guo 2010, p.16
[21] Judkins and Nielson, 2015, pp.120-121
[22] Ibid, p.121
[23] Kennedy and Guo 2010, pp.3-4
[24] Ibid, p.4 32
[25] Come in tutte le storie di questo tipo, i numeri esatti e l’esito sono un po’ ambigui. Entrambe le parti rivendicarono in seguito la vittoria, e secondo alcuni il numero di partite effettive fu di 14, invece delle 20 inizialmente proposte.
[26] Questa mappatura metaforica delle gerarchie di classe sui diversi stili o direttamente sul corpo è una caratteristica comune a molte tradizioni marziali. I club occidentali di pugilato e scherma per “gentiluomini”, fondati da figure come il colonnello Thomas Monstery, generalmente deridevano le forme di combattimento “rude e tumultuoso” che si trovavano tra le classi inferiori rurali e spesso equiparavano gli stili di combattimento dei popoli conquistati o ridotti in schiavitù al combattimento tra animali – come fa lo stesso Monstery nella sua documentazione delle “testate dei negri”. Lo stesso si riscontra nella tradizione delle arti marziali cinesi, che a tutt’oggi non ha sviluppato alcuna tecnica di combattimento a terra, poiché la lotta a terra è equiparata all’inciviltà. Quando l’Associazione Jingwu cercò di rompere in modo decisivo con la superstizione e la vergogna portate alle arti marziali dal ricordo della ribellione dei Boxer, omise in gran parte la lotta a terra, senza dubbio anche a causa delle sue associazioni “barbariche”.
[27] Nella notizia più recente, Xu è di nuovo nei guai con le autorità per aver tentato di organizzare un combattimento quattro contro quattro tra maestri di Tai Chi e lottatori di MMA. Il combattimento è stato interrotto dalla polizia prima che potesse iniziare e Xu ha accusato uno dei maestri di Tai Chi di aver tentato di “intrappolarlo” facendo chiamare le autorità da un parente per organizzare un’incursione.
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