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Sui fatti di Fornofilia: Alma Mater, codice etico e censura

 

A gennaio si alzò il coro unanime in difesa della libertà d’espressione, ghiotta occasione per lavare pubblicamente tante facce e mani sporche di censura, e diritti negati. Ci ricordiamo la testa del corteo di Parigi, quel carnevale di Stato, i carnefici “incordonati” e col costume delle vittime. Anche l’Alma Mater il giorno dopo l’attentato invitò Renzi e si raccolse intorno a lui per un minuto di silenzio. Che la maschera sarebbe caduta lo sapevamo e già l’abbiamo sperimentato. Ma quanto accaduto nei giorni scorsi riconferma l’ipocrisia. Nicoletti ha vietato l’uscita di una vignetta raffigurante sesso e simboli religiosi perché ledono l’immagine dell’università. Ecco la cattiva coscienza, la sua laicità di facciata. Gli studenti non possono fare ironia sulle religioni o forse è un po’ di sano autoerotismo che fa sussultare i chierichetti in senato accademico? Dal canto nostro, entrando nel merito, ci saremmo riservati di contestare che niente c’è di offensivo o infamante nell’essere puttana, e che altra era l’ingenuità di Charb (che ben si impegnava perché si capisse che quello era Maometto).

 

Del resto questo è il codice etico, la garanzia Unibo contro la libertà studentesca. Non è la prima volta che la scusa dell’immagine viene usata contro gli studenti. Alle richieste dell’autogestione al 38, si rispose con la criminalizzazione (la nostra libertà vera, conquistata perché nessuno e niente la garantiva, diventava barbarie di contro alla libertà-per- loro, che è silenzio, accondiscendenza, cioè regime). La minaccia di sospensione degli studenti occupanti ieri è stata ricalcata dall’ultimatum di Nicoletti a Fornofilia: togliete le vignette o vi tolgo i finanziamenti.

 

Tutto ciò conferma quanto diciamo da anni: l’unico contesto vero di libertà nell’Alma Mater è l’autorganizzazione studentesca, solo gli spazi liberati ed autogestiti garantiscono vera libertà e vera critica tra le mura dell’Unibo. Attraverso la retorica discriminante tra rispetto e libertà lesiva, l’università costruisce il piccolo recinto in cui studenti e studentesse dovrebbero esprimersi, una piccola discontinuità che garantisca la continuità nell’esercizio del controllo come potere accademico. Cos’è il rispetto? 6 euro per un pasto completo in mensa, 1.400 di tasse, prezzi stellari per accedere alla cultura? A loro chiediamo, ci rispettate? Rispettate la nostra indigenza, la crisi che si fa sacrificio e rinunce e angustia sulla nostra pelle? No! Perciò accusare il rettore delle proprie colpe non ne lede l’immagine già sporca da 5 anni di gestione aziendalistica. E un prete che si masturba è soltanto un pretesto per nascondersi dietro il dito dello scandalo e rafforzare, applicandoli, i meccanismi di incasellamento e controllo.

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