Taranto: “Daspo fuori contesto” per i supporters dell’Ardita Due Mari
“Daspo fuori contesto” per i supporters dell’Ardita Due Mari che lo scorso febbraio avevano contestato la visita di Salvini a Taranto. Tali decreti, adottati dalla digos di Taranto, vanno a colpire dritto al portafoglio dei denunciati.
Erano i primi giorni di febbraio, quando il leader della Lega Matteo Salvini continuava il suo continuo tour elettorale. «Vado in Puglia a parlare di lavoro, infrastrutture e Xylella». Così, a Potenza, il leader della Lega, Matteo Salvini, rispondendo a una domanda sulla scelta del candidato per le Regionali pugliesi.
«Non ho titoli io per andare a promuovere o bocciare qualcuno: per quello che riguarda i nomi e i cognomi dei candidati della squadra si tratta di avere qualche giorno di pazienza e poi ci arriviamo. L’importante sarà mandare a casa Emiliano che ne ha combinate di cotte e di crude».
L’arrivo a Taranto è stato caratterizzato, come nella maggior parte delle città del Sud d’Italia, da un’accoglienza non propriamente benevola. Centinaia di attivisti e attiviste il 19 febbraio si sono dati appuntamento in centro città per far sentire al leader quanto leghista quanto non fosse ben accetto a Taranto. Nonostante la militarizzazione della città tante e tanti sono scese in strada. Durante la serata si sono registrati scontri con le forze dell’ordine. Un mese dopo sono arrivate, puntuali le denunce.
Qualche giorno fa, a sorpresa, sono arrivate delle misure alquanto bizzarre: 5 daspo “fuori contesto” per altrettanti supporters dell’Ardita Due Mari di Taranto. Ancora una volta il mondo dello sport popolare viene colpito dalla repressione.
Di seguito pubblichiamo il comunicato dell’Ardita Due Mari.
«Era il 15 febbraio quando allo Spazio Yashin parlavamo del tema repressione e giustizia sociale con compagni e compagne di Napoli, Torino, Catania, Melendugno.
Quella sera il dibattito cadde inevitabilmente sulle misure repressive adottate dai decreti sicurezza. Da Minniti a Salvini abbiamo assistito ad una progressiva e pericolosa militarizzazione dei territori e criminalizzazione dei dissensi. Inasprendo l’efficacia di misure amministrative come il Daspo.
Dopo solo 4 giorni, il 19 febbraio, il capo dei leghisti si è presentato a Taranto. Immagini e cronache di quel giorno ci restituiscono un clima surreale da G8: un tratto di città – arteria che collega anche l’ospedale al centro cittadino – completamente bloccato transennato e presidiato da un dispiegamento di forze dell’ordine che non si vedeva da anni. Il tutto per permettere ad un senatore di poter fare la sua passerella tra una caserma dei Carabinieri e un hotel con pochi sostenitori al seguito.
Quel giorno, nonostante la militarizzazione del territorio, la città ha risposto presente, opponendo da subito una presenza stabile nei pressi dell’hotel e subendo diversi fermi preventivi oltre che inviti poco amichevoli a lasciare la zona.
All’uscita dall’hotel del leghista, tutti i presenti e solidali hanno provato a cacciare dalla città l’esponente maggiore del partito che da sempre ci denigra, e che ha detenuto fior di mila euro di azioni di ArcelorMittal SpA.
Il resoconto di quella giornata di lotta, allo stato attuale ci restituisce 5 daspo “fuori contesto”.
In un momento difficoltoso economicamente e socialmente come questo, tali decreti, adottati dalla digos di Taranto, vanno a colpire dritto al portafoglio dei denunciati. È palese infatti l’utilizzo strumentale di una sanzione amministrativa e preventiva come il daspo – specie se fuori contesto.
Simbolico il fatto che mentre ai compagni venivano notificati i primi avvisi di avvio del procedimento, proprio il procuratore di Taranto, Capristo, sia finito al centro di una inchiesta giudiziaria per corruzione.
O lo stesso Salvini che con i suoi decreti criminalizza il dissenso, ma sulla questione Open Arms si fa salvare sfuggendo a quella giustizia che tanto difende.
Resta la soddisfazione di aver dimostrato che Taranto non si Lega e che non ci sarà mai accoglienza diversa per i leghisti che vorranno venire a fare qui campagna elettorale.
Che la nostra azione sia stata doverosa oltre che legittimata da anni di abusi e soprusi subiti.
Il 19 febbraio c’eravamo tutte e tutti».
Davide Drago
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