Twitter antigas
L’uccellino di Twitter con il becco coperto da una maschera antigas: questo è il simbolo che hanno adottato i compagni turchi di piazza Taksim. Molti hanno criticato questo simbolo perché consumista o perché evidenzierebbe una mania per i social network, sostenendo che poiché la rete appartiene al capitale allora il suo uso non può che essere controproducente per noi.
Tuttavia l’espropriazione non può mai essere totale: il rapporto di espropriazione che costituisce il capitale è sempre, come ogni rapporto di potere, un rapporto conflittuale tra antagonisti. Anche se le macchine appartengono al padrone, chi deve e sa utilizzarle è sempre il lavoratore associato. Anche se le reti e i linguaggi e i saperi che circolano attraverso la rete appartengono giuridicamente al capitale, diventano produttivi solo quando vengono riempiti dal lavoro vivo.
Il capitalismo ha sempre funzionato così, trattenendo la potenza produttiva comune. Anche nelle sue fasi più primitive, quelle di cui parla Marx nel capitolo del Capitale dedicato alla Cooperazione. Il fatto è che il comunismo ben lungi dall’essere un’utopia, è al contrario la struttura stessa della società. Oggi questo «sequestro» della potenza produttiva sociale è ancora più evidente, ora che il capitale fisso più importante è costituito dalla conoscenza e dalla cooperazione che sono inseparabili dal lavoro vivo. Nella società della conoscenza il capitale si rivela inutile e parassitario. I rapporti sociali capitalistici sono rapporti feudali.
La maschera antigas evoca allora il procedere mascherato del comunismo, il passaggio dei rapporti e delle reti immaginarie attraverso le relazioni di potere capitaliste e statuali. Ed è solo dall’interno di questo complesso ideologico e di questo insieme di relazioni sociali che ci attanagliano – e nelle quali però si esprime anche la nostra potenza – che sarà possibile una trasformazione radicale, uscire dal capitalismo. Marx, diversamente da molti marxisti di oggi, aveva ben chiara questa necessità di attraversare il sistema dalle sue stesse viscere, perché questo, e non un utopico mondo del dover essere, è il mondo che noi abitiamo.
«Ma nell’ambito della società borghese fondata sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare. (Una massa di forme antitetiche dell’unità sociale il cui carattere antitetico tuttavia non può essere mai fatto saltare attraverso una pacifica metamorfosi. D’altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com’è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi)». [Marx, Grundrisse, vol. 1, p.101].
In questo testo Marx parla di una violenza necessaria e ha ragione, è la violenza del comunismo nel tessuto del capitale: la solidarietà, lo sviluppo del comune, l’estensione del comunismo dentro il corpo sociale del capitale, tutto questo è violenza perché costituisce una minaccia mortale per il capitale. «Larvatus prodeo» era il motto di Cartesio: per sfuggire alla censura si mantenne sempre su posizioni «prudenti» e «ragionevoli», finendo però per farsi assorbire da queste.
Anche l’uccellino di Twitter mascherato corre questo rischio, sempre presente: che la proprietà finisca per prevalere sul comune. Ma non dimentichiamoci che anche la falce e il martello, simboli del grano mietuto e del ferro battuto per il padrone, a un certo punto hanno cambiato di segno trasformandosi in un’arma brandita contro il padrone. La rivoluzione è immanente: si fa dall’interno dei rapporti sociali capitalistici e contro di loro. Dentro e contro, questo è il motto di una politica materialista di liberazione.
Traduzione di Nicolas Martino
Juan Domingo Sánchez Estop
L’uccellino di Twitter con il becco coperto da una maschera antigas: questo è il simbolo che hanno adottato i compagni turchi di piazza Taksim. Molti hanno criticato questo simbolo perché consumista o perché evidenzierebbe una mania per i social network, sostenendo che poiché la rete appartiene al capitale allora il suo uso non può che essere controproducente per noi.
Tuttavia in un contesto capitalista quello che succede con Twitter, che, non dimentichiamolo, è uno strumento di lavoro, è quello che succede con tutti gli altri strumenti. Sono capitale fisso, lavoro morto: sono allo stesso tempo qualcosa che appartiene al lavoratore (il prolungamento delle sue membra e dei suoi organi, una protesi), sia qualcosa che gli è stato espropriato. Ecco perché tutti gli strumenti hanno questo carattere ambivalente: sono la potenza collettiva dei lavoratori, ma formalmente questa potenza appartiene a qualcun altro.
Tuttavia l’espropriazione non può mai essere totale: il rapporto di espropriazione che costituisce il capitale è sempre, come ogni rapporto di potere, un rapporto conflittuale tra antagonisti. Anche se le macchine appartengono al padrone, chi deve e sa utilizzarle è sempre il lavoratore associato. Anche se le reti e i linguaggi e i saperi che circolano attraverso la rete appartengono giuridicamente al capitale, diventano produttivi solo quando vengono riempiti dal lavoro vivo.
Il capitalismo ha sempre funzionato così, trattenendo la potenza produttiva comune. Anche nelle sue fasi più primitive, quelle di cui parla Marx nel capitolo del Capitale dedicato alla Cooperazione. Il fatto è che il comunismo ben lungi dall’essere un’utopia, è al contrario la struttura stessa della società. Oggi questo «sequestro» della potenza produttiva sociale è ancora più evidente, ora che il capitale fisso più importante è costituito dalla conoscenza e dalla cooperazione che sono inseparabili dal lavoro vivo. Nella società della conoscenza il capitale si rivela inutile e parassitario. I rapporti sociali capitalistici sono rapporti feudali.
La maschera antigas evoca allora il procedere mascherato del comunismo, il passaggio dei rapporti e delle reti immaginarie attraverso le relazioni di potere capitaliste e statuali. Ed è solo dall’interno di questo complesso ideologico e di questo insieme di relazioni sociali che ci attanagliano – e nelle quali però si esprime anche la nostra potenza – che sarà possibile una trasformazione radicale, uscire dal capitalismo. Marx, diversamente da molti marxisti di oggi, aveva ben chiara questa necessità di attraversare il sistema dalle sue stesse viscere, perché questo, e non un utopico mondo del dover essere, è il mondo che noi abitiamo.
«Ma nell’ambito della società borghese fondata sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare. (Una massa di forme antitetiche dell’unità sociale il cui carattere antitetico tuttavia non può essere mai fatto saltare attraverso una pacifica metamorfosi. D’altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com’è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi)». [Marx, Grundrisse, vol. 1, p.101]
In questo testo Marx parla di una violenza necessaria e ha ragione, è la violenza del comunismo nel tessuto del capitale: la solidarietà, lo sviluppo del comune, l’estensione del comunismo dentro il corpo sociale del capitale, tutto questo è violenza perché costituisce una minaccia mortale per il capitale. «Larvatus prodeo» era il motto di Cartesio: per sfuggire alla censura si mantenne sempre su posizioni «prudenti» e «ragionevoli», finendo però per farsi assorbire da queste.
Anche l’uccellino di Twitter mascherato corre questo rischio, sempre presente: che la proprietà finisca per prevalere sul comune. Ma non dimentichiamoci che anche la falce e il martello, simboli del grano mietuto e del ferro battuto per il padrone, a un certo punto hanno cambiato di segno trasformandosi in un’arma brandita contro il padrone. La rivoluzione è immanente: si fa dall’interno dei rapporti sociali capitalistici e contro di loro. Dentro e contro, questo è il motto di una politica materialista di liberazione.
Traduzione di Nicolas Martino
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uan Domingo Sánchez Estop
L’uccellino di Twitter con il becco coperto da una maschera antigas: questo è il simbolo che hanno adottato i compagni turchi di piazza Taksim. Molti hanno criticato questo simbolo perché consumista o perché evidenzierebbe una mania per i social network, sostenendo che poiché la rete appartiene al capitale allora il suo uso non può che essere controproducente per noi.
Tuttavia in un contesto capitalista quello che succede con Twitter, che, non dimentichiamolo, è uno strumento di lavoro, è quello che succede con tutti gli altri strumenti. Sono capitale fisso, lavoro morto: sono allo stesso tempo qualcosa che appartiene al lavoratore (il prolungamento delle sue membra e dei suoi organi, una protesi), sia qualcosa che gli è stato espropriato. Ecco perché tutti gli strumenti hanno questo carattere ambivalente: sono la potenza collettiva dei lavoratori, ma formalmente questa potenza appartiene a qualcun altro.
Tuttavia l’espropriazione non può mai essere totale: il rapporto di espropriazione che costituisce il capitale è sempre, come ogni rapporto di potere, un rapporto conflittuale tra antagonisti. Anche se le macchine appartengono al padrone, chi deve e sa utilizzarle è sempre il lavoratore associato. Anche se le reti e i linguaggi e i saperi che circolano attraverso la rete appartengono giuridicamente al capitale, diventano produttivi solo quando vengono riempiti dal lavoro vivo.
Il capitalismo ha sempre funzionato così, trattenendo la potenza produttiva comune. Anche nelle sue fasi più primitive, quelle di cui parla Marx nel capitolo del Capitale dedicato alla Cooperazione. Il fatto è che il comunismo ben lungi dall’essere un’utopia, è al contrario la struttura stessa della società. Oggi questo «sequestro» della potenza produttiva sociale è ancora più evidente, ora che il capitale fisso più importante è costituito dalla conoscenza e dalla cooperazione che sono inseparabili dal lavoro vivo. Nella società della conoscenza il capitale si rivela inutile e parassitario. I rapporti sociali capitalistici sono rapporti feudali.
La maschera antigas evoca allora il procedere mascherato del comunismo, il passaggio dei rapporti e delle reti immaginarie attraverso le relazioni di potere capitaliste e statuali. Ed è solo dall’interno di questo complesso ideologico e di questo insieme di relazioni sociali che ci attanagliano – e nelle quali però si esprime anche la nostra potenza – che sarà possibile una trasformazione radicale, uscire dal capitalismo. Marx, diversamente da molti marxisti di oggi, aveva ben chiara questa necessità di attraversare il sistema dalle sue stesse viscere, perché questo, e non un utopico mondo del dover essere, è il mondo che noi abitiamo.
«Ma nell’ambito della società borghese fondata sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare. (Una massa di forme antitetiche dell’unità sociale il cui carattere antitetico tuttavia non può essere mai fatto saltare attraverso una pacifica metamorfosi. D’altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com’è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi)». [Marx, Grundrisse, vol. 1, p.101]
In questo testo Marx parla di una violenza necessaria e ha ragione, è la violenza del comunismo nel tessuto del capitale: la solidarietà, lo sviluppo del comune, l’estensione del comunismo dentro il corpo sociale del capitale, tutto questo è violenza perché costituisce una minaccia mortale per il capitale. «Larvatus prodeo» era il motto di Cartesio: per sfuggire alla censura si mantenne sempre su posizioni «prudenti» e «ragionevoli», finendo però per farsi assorbire da queste.
Anche l’uccellino di Twitter mascherato corre questo rischio, sempre presente: che la proprietà finisca per prevalere sul comune. Ma non dimentichiamoci che anche la falce e il martello, simboli del grano mietuto e del ferro battuto per il padrone, a un certo punto hanno cambiato di segno trasformandosi in un’arma brandita contro il padrone. La rivoluzione è immanente: si fa dall’interno dei rapporti sociali capitalistici e contro di loro. Dentro e contro, questo è il motto di una politica materialista di liberazione.
Traduzione di Nicolas Martino
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