Il caso Hasib Omerovic e la polizia “parallela”
L’ordinanza del giudice istruttore Ezio Damizia che ha portato all’arresto dell’agente Andrea Pellegrini e alla notifica di avvisi di garanzia per i reati di falso ideologico e depistaggio nei confronti di altri quattro agenti del commissariato di Primavalle non giunge inaspettata.
di Germano Monti da Diogene
Sin da quando la notizia della “caduta” di Hasib Omerovic da una finestra della sua abitazione mentre era in corso un controllo di polizia è comparsa sui media (a quasi due mesi di distanza dai fatti e solo dopo un’interrogazione parlamentare del deputato Riccardo Magi), la vicenda ha mostrato molti punti oscuri e le dichiarazioni degli agenti coinvolti non apparivano per niente credibili.
Ora, è nero su bianco in un’ordinanza di un magistrato che Hasib Omerovic è stato torturato e che la sua “caduta” da quasi nove metri di altezza è stata causata dai comportamenti bestialmente violenti di un agente della Polizia di Stato ed è scritto anche che i suoi colleghi presenti al fatto hanno tentato di occultare quanto realmente accaduto, fornendo agli inquirenti e alla stampa versioni menzognere.
Che il 25 luglio scorso, in un appartamento del quartiere di Primavalle, le cose non fossero andate come sostenevano gli agenti del commissariato di Primavalle, era apparso subito: un controllo non predisposto, né autorizzato da un magistrato, motivato da un post su una pagina Facebook di quartiere e diretto verso un disabile colpevole di presunte molestie ai danni di alcune ragazze, fra le quali si è detto esserci anche la nipote di uno dei poliziotti coinvolti.
Un controllo terminato con un volo dalla finestra di un appartamento il cui ingresso è situato al piano terra, ma il cui retro – quello su cui affaccia quella finestra – versa su un dislivello di nove metri di altezza. Una situazione che aveva indotto il questore Mario Della Cioppa a rimuovere immediatamente il dirigente del commissariato Andrea Sarnari e la vicedirigente Laura Buia, “al fine di ristabilire un clima adeguato in commissariato”, si era detto. Il PM incaricato delle indagini, Stefano Luciani, aveva formulato l’accusa di tentato omicidio, sia pure contro ignoti.
Nell’appartamento, al momento del “controllo”, era presente la sorella di Hasib, Sonita, affetta da disabilità cognitiva. Sonita aveva parlato da subito di violenze dei poliziotti contro il fratello, fino al punto di afferrarlo per i piedi e gettarlo dalla finestra. Dopo questi fatti, la famiglia Omerovic aveva lasciato l’appartamento di Primavalle, dormendo per mesi in automobile, fino a quando il Comune di Roma non gli assegnava un altro appartamento, in un’altra zona della città. Hasib non è mai stato dimesso dall’ospedale dove è stato ricoverato dopo il “controllo” e versa tuttora in gravi condizioni.
La tenacia dei famigliari di Hasib, del deputato Riccardo Magi, di Carlo Stasolla dell’Associazione “21 luglio” e degli avvocati Arturo Salerni e Susanna Zorzi ha impedito che il caso, per settimane completamente ignorato dai media, cadesse nel dimenticatoio. Fra l’altro, a loro si deve anche la denuncia, in una seconda conferenza stampa, della misteriosa scomparsa degli abiti che Omerovic indossava al momento della “caduta” e del successivo trasporto al Policlinico A. Gemelli: ai famigliari, infatti, sono stati restituiti dall’ospedale vestiti e scarpe diversi, che non gli appartengono, cosa che non può non far pensare a qualche complicità interna al nosocomio in un tentativo di inquinamento delle indagini, inquinamento teso ad impedire la prova del DNA sugli abiti di Hasib.
Ora che l’inchiesta condotta dal PM Luciani è sfociata nell’ordinanza del giudice istruttore Damizia, emergono altri particolari inquietanti, come una chat fra due ispettori di polizia nella quale uno invita l’altro a “pararsi il c…”. Il quadro di insieme restituisce l’immagine desolante di agenti delle forze dell’ordine della Repubblica Italiana nel 2022 che agiscono come mafiosi o come squadristi del Cile o dell’Argentina degli anni 70 e si rendono protagonisti di una spedizione punitiva finita male, tentando poi di farla passare come un normale controllo e poi ancora di depistare le indagini, il tutto potendo contare su una rete di omertà e complicità all’interno del loro commissariato e, probabilmente, nell’ospedale in cui è ancora ricoverata la loro vittima.
Un quadro reso ancora più sconfortante dal silenzio delle istituzioni e della politica: le interrogazioni parlamentari del deputato Magi non hanno mai avuto risposta, né dal ministro Lamorgese, né dal suo successore Piantedosi e sull’accaduto non si è sentita una sola parola dal sindaco di Roma Gualtieri o da parte di qualche altro esponente politico. Questo silenzio, nel Paese che ha conosciuto per anni vicende di abusi polizieschi, dal “malore attivo” di Pino Pinelli all’assassinio di Stefano Cucchi, è qualcosa che preoccupa e spaventa.
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