21/12 assemblea nazionale a Milano. Report dell’incontro di Abitare nella crisi
Molti interventi, a partire dall’introduzione dei fiorentini, si sono soffermati sulle dinamiche repressive e le pratiche di delegittimazione messe in atto sia con gli sgomberi che con l’aggressione mediatica, sul continuo soffiare sul fuoco del razzismo e sull’attacco del governo Renzi verso chi si organizza collettivamente ma anche individualmente contro le politiche di austerity. L’articolo 3 del decreto Lupi mette infatti mano violentemente alla dismissione delle case popolari, producendo forti tensioni soprattutto nelle periferie e ci obbliga a comprendere come stare dentro queste contraddizioni per allargare il conflitto e la rivolta nei confronti di questa guerra di classe, dall’alto contro i ceti popolari. Del resto non hanno soluzione di continuità le resistenze territoriali che hanno conosciuto nuove pagine di lotta con le vicende di Genova e Carrara, dove la rabbiosa reazione ha saputo individuare responsabilità precise nei disastri e nelle vittime. Solo la decisa e totale critica alle istituzioni e il protagonismo diretto, anche meticcio, degli abitanti sono in grado di generare importanti processi di autonomia nel conflitto.
Da Milano sono arrivati, in uno spirito unitario, differenti contributi dalle resistenze che i quartieri stanno producendo. San Siro ha raccontato delle oltre diecimila case sfitte del Comune e della Regione, del proclama dei 200 sgomberi e del ruolo della stampa nell’aggressione ai movimenti, a partire dal Corriere della Sera che ha parlato di immobiliare rossa e nera, utilizzando in maniera distorta e strumentale la questione del racket. Dentro una Milano dove la torta dell’Expo se la sono già spartita e mangiata e dove Lega e Casapound provano a raccogliere consensi. Invece la dimensione del consenso delle colazioni antisfratto e della resistenza degli abitanti contro gli sgomberi ha espulso polizia ed ALER, affrontandole come corpo estraneo ai territori, mentre intorno alla questione della vendita del patrimonio pubblico i comitati, prima sotto attacco, oggi iniziano a percepire una solidarietà diffusa.
Anche dal Giambellino sono arrivati racconti interessanti su come, a partire dalle ronde antiabusivi che inizialmente sembravano prendere piede anche con l’aiuto dei media, tra gli abitanti delle case popolari e gli altri residenti, tra migranti e autoctoni, spesso soggetti impolitici si sta sviluppando un meccanismo di solidarietà. Al Corvetto si sta dispiegando una resistenza importante, dove il protagonismo degli abitanti sta producendo un conflitto reale dalle molteplici forme, anche molto radicali, consegnandoci l’immagine di una città complessa dentro uno scenario dove la rendita immobiliare viene contrastata da un’intelligenza collettiva in grado di produrre coordinamento e scompaginamento nella capacità di gestione del blocco dei flussi, mentre avviene uno sgombero. Un’agitazione diffusa non simulata ma reale, che ferma la mobilità in più punti, genera consensi, ottiene risultati.
Nel merito delle iniziative Milano ha lanciato un weekend lungo che inizia il 4 dicembre con la mobilitazione dei comitati, prosegue il 6 dicembre con la proposta anche di un’iniziativa nazionale dislocata, per finire il 7 con la mobilitazione in occasione dell’inaugurazione della stagione della Scala. Le mobilitazioni intorno all’uso del patrimonio pubblico, all’autorecupero, alla sanatoria vanno declinate dentro percorsi e processi che siano in grado di costruire anticorpi e punti di riferimento stabili contro xenofobia e fascio-leghismo. In questo senso si giudica molto peggiorato l’aggregato sociale che si sta addensando intorno alla giornata del 5 dicembre promossa dai forconi. Mentre dentro la giornata del 12 dicembre, anniversario della strage di stato di piazza Fontana, si proverà a declinare un ragionamento sulle nuove strategie della tensione.
Bologna si è soffermata sull’esito del voto in Emilia-Romagna e sul ruolo del Pd nella sua funzione di comando, di riorganizzazione della città basata su nuove cementificazioni e profitti per la rendita, ma anche di gestione dei conflitti attraverso formule di mediazione con le quali i movimenti si devono misurare, incassando risultati per rilanciare le lotte. Spiegando il protocollo Bologna come forma di “requisizione morbida”, i compagni intervenuti hanno raccontato l’impatto e le preoccupazioni che le occupazioni abitative e le lotte sono oramai in grado di produrre, come minaccia concreta, nei confronti dell’amministrazione comunale, al tempo del piano casa e dell’articolo 5. Abbiamo generato, a partire da percorsi materiali e vivi, aspettative e desideri in grado di tenere insieme una tensione verso il possibile, con la spinta verso la sovversione di un presente e di un futuro che vorrebbero già scritti. Anche dentro connessioni rilevanti con il mondo delle lotte della logistica, a politicizzare “la povertà” e produrre una polarizzazione del conflitto senza mediazioni al ribasso, dentro una difesa della dignità in grado di sviluppare in avanti, nei territori, rottura della solitudine ed organizzazione della rabbia, anche quella di cui è carico il proletariato giovanile. Per fare questo si deve andare ben oltre l’autorappresentazione del ceto politico, anche di movimento, e portare fino in fondo lo scontro contro la rendita, strappando suolo, reddito e vita metro dopo metro, minuto dopo minuto. La mobilitazione contro il SAIE che ogni hanno si tiene nel capoluogo emiliano ha consentito di portare la nostra critica alle proposte di social housing, dando fiato e visibilità alle battaglie per l’autorecupero dentro le pratiche di riappropriazione urbana.
L’intervento di Napoli si è soffermato sull’estrema fragilità dei molteplici percorsi territoriali, chiamando ad intrecciare sempre con più decisione le lotte tra e dentro i territori stessi. La sperimentazione napoletana ha messo in connessione nei percorsi della lotta per la casa precari e disoccupati, tutti quei soggetti che subiscono processi di impoverimento dettati dalle politiche del governo e dalla Troika, ponendo al centro la battaglia contro lo Sblocca Italia e la vicenda di Bagnoli come proposte di attivazione e mobilitazione collettiva.
Pisa ha messo in evidenza la frammentazione esistente nelle periferie e la necessità nei territori di darsi forme organizzative utili ad un processo di ricomposizione di classe, imparando a misurarsi con la ruvidezza dei quartieri e chiedendosi se siamo, e come possiamo essere all’altezza dello scontro in atto. C’è la convinzione condivisa che non saranno l’ideologia, la testimonialità, ne il politicismo a risolverci i problemi. Solo nuovi legami e nuove connessioni sociali ci consentiranno di fermare la prepotenza degli articoli 3/4/5 del decreto Lupi e di rovesciare lo stato di cose presenti. Le forme dell’autorganizzazione, stile Primavalle a Roma, possono rompere le dinamiche prodotte dai sindacati degli inquilini, ma rappresentarci solo nella nostra identità non sarà sufficiente. La solidarietà con Milano deve essere materiale nel week end del 6 e 7 dicembre.
Torino ha sottolineato come il Piano casa sia la risposta repressiva al 19 ottobre, così come l’utilizzo dell’articolo 610 per l’esecuzione degli sfratti. La pratica dell’obiettivo che abbiamo agito ha anche prodotto una decimazione degli attivisti ma non ha spento la funzione degli sportelli, che continuano ad essere usati largamente da chi vive l’emergenza abitativa. Questo consente di mantenere dinamiche di resistenza e favorisce azioni ricompositive come quella del 16 ottobre, anche dentro soggettivazioni articolate e non lineari, con fiammate e riflussi che si alternano. Fondamentale il ritorno in piazza in massa dei movimenti per il diritto all’abitare con una mobilitazione articolata e capace di scardinare i decreti attuativi del piano casa. Il 7 e 8 dicembre, infine, i movimenti per l’abitare piemontesi e non solo saranno impegnati nelle giornate di lotta lanciate dal movimento No tav in Val di Susa.
Parma ha concentato l’intervento sulla campagna contro i distacchi delle utenze, mettendo in evidenza la validità delle iniziative dislocate e la necessità di approfondire la relazione tra le multiutility dell’energia e il decreto Sblocca Italia. La mobilitazione dei mesi scorsi contro la multiutility IREN e la sua occupazione hanno prodotto un buon risultato: l’attivazione di uno sportello per i distacchi che affronta le situazioni di morosità incolpevole, costringendo l’azienda a fare i conti con una realtà, quella parmense, profondamente cambiata dalla crisi e dove si fa ancora fatica, per la vergogna, a intercettare l’emergenza legata alle morosità.
Palermo ha messo in forte evidenza la funzione della rete Abitare nella crisi e la necessità di individuare gli strumenti necessari per affrontare la questione della ricomposizione sociale. L’attacco mediatico e l’uso della lotta tra poveri che ci racconta Milano ci impone non solo una riflessione, ma anche una mobilitazione sempre più meticcia e sempre più estesa.
Roma ha sviluppato un’analisi del modello di società solvibile che Renzi sta premiando nei suoi interessi materiali, sviluppando una sorta di autonomia di classe della rendita, della finanza e dell’impresa contro di noi. Ragionando della necessità di non cadere nella trappola “della produzione di nuovi posti di lavoro”, nel ricatto della produttività che viene presentata come unica prospettiva di un modello di sviluppo che sta mostrando la sua potenza devastatrice, c’è bisogno di organizzare i settori del non voto, del rifiuto, dell’estraneità, dell’irrappresentabilità e dell’irriducibilità, le soggettività del conflitto e della rabbia. Indicando come strada quella di ripartire dalla pratica dei bisogni dentro nuovi processi di aggregazione, autorganizzazione, riappropriazione.
Dentro questo scenario si è anche preso atto delle scelte diverse che stanno attraversando i movimenti. Se dentro e dopo il 19 Ottobre 2013 si era avviato un processo di scardinamento e insieme di nuova ricomposizione delle dinamiche sociali contemporanee, si coglie oggi dentro alcune scelte il rischio di tornare a modalità già conosciute, che non tengono conto delle necessità di rimettere radicalmente in discussione le soggettività esistenti dentro una nuova fase di conflitto e sperimentazione. Con il contributo dei territori bisogna, attraverso contenuti chiari, ricostituire la minaccia e l’inquietudine prodotte fino al 12 Aprile 2014. I recinti di movimento non ci aiutano e ci scoprono di fronte all’aggressione delle controparti.
La rete Abitare nella crisi si rivedrà il 21 dicembre a Milano per un’assemblea pubblica che vuole aprire un percorso di costruzione di mobilitazione verso Expo 2015.
A partire dal 31 gennaio 2015, con la marcia dei territori solidali e resistenti e delle periferie in lotta dislocata in decine di città per darci quello scatto in più che in primavera ci consenta di mettere in piedi un momento nazionale di più giorni sui temi delle pratiche di riappropriazione e rigenerazione urbana e dei territori, sul consumo di suolo, sul ruolo della rendita nella precarizzazione della vita in ogni sua forma. Ragionando anche sull’ipotesi di corteo nazionale per il diritto all’abitare contro rendita e precarietà, per il reddito verso Expo 2015 come contributo alle mobilitazioni previste per maggio-giugno.
Infine, si è insistito anche sulla necessità di intensificare il conflitto sulla questione utenze, distacchi, morosità nel periodo di Natale contro le previste bollette aumentate, a partire da quella dell’acqua.
Tutti gli appuntamenti:
4 dicembre manifestazione dei comitati a Milano
6/7 dicembre iniziative a Milano e dislocate nei territori
21 dicembre assemblea nazionale a Milano
31 gennaio 2015 mobilitazioni in decine di città in tutta Italia per il blocco degli sfratti e degli sgomberi, contro il Piano casa e la vendita del patrimonio pubblico, contro l’agressione della rendita che precarizza vite e territori
Febbraio appuntamento da definire di Abitare nella crisi a Napoli,
Marzo-aprile convegno-assemblea- corteo nazionale a Milano verso Expo 2015
Abitare nella crisi
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