L’autunno caldo degli studenti di Ravenna
Anche nella terra tradizionalmente considerata punta di diamante del welfare in Italia, l’aggravarsi della crisi e l’inasprimento delle misure di austerità hanno iniziato a mostrare il loro volto fatto di aule scolastiche che cadono a pezzi e di un diritto allo studio sempre meno accessibile, con famiglie che fanno sempre più fatica a pagare libri e abbonamenti del bus.
Le occupazioni degli istituti scolastici partono, infatti, quest’autunno sulla base di vertenze legate alla realtà delle singole scuole, ma che trovano come denominatore comune l’opposizione alle politiche di austerity come, ad esempio, la lotta contro la chiusura di una biblioteca d’istituto a causa dei tagli o contro le infiltrazioni di pioggia in un aula. Ben marcata è la differenza rispetto ai precedenti cicli di mobilitazione che nascevano in risposta a qualche riforma, o tentativo di riforma, come l’ultima grande ondata di occupazioni partite nell’autunno 2012 contro il DDL Aprea.
Ciò conferisce ai percorsi di lotta una forza inedita: la controparte si sposta dal ministro o dal governo di turno (lontano e difficile da identificare) alle istituzioni locali, al proprio preside e, in certi casi, anche al proprio professore. Figure identificate come complici nell’applicazione delle misure di austerity all’interno delle scuole, ma, soprattutto, figure in carne ed ossa contro le quali la prospettiva della vittoria diventa reale.
Contemporaneamente l’orizzonte di lotta cessa di essere difensivo (in una scuola della crisi in cui non c’è più nulla da difendere) per diventare offensivo: i tempi della lotta sono definiti dagli studenti stessi che, senza aspettare la riforma a cui opporsi, decidono quali battaglie ingaggiare e su quali obiettivi andare ad incalzare l’istituzione scolastica per riconquistare pezzi di reddito e strappare terreno all’austerity.
Ciò permette lo sviluppo di una conflittualità che ha ben pochi precedenti nella nostra città e che conduce presto gli studenti a convincersi che la lotta, per essere efficace e vincente, va portata fino in fondo.
Da qui nascono occupazioni che aumentano giorno dopo giorno la loro radicalità. In più di un istituto gli occupanti decidono di alzare le barricate lasciando fuori preside e professori fino alla soddisfazione delle loro richieste chiare e non mediabili, il 12 dicembre più di mille studenti assediano il palazzo della provincia e, dopo il rifiuto degli assessori di esaudire le loro richieste partono in corteo selvaggio bloccando le principali arterie del traffico cittadino, il 18 dicembre l’assedio si sposta sotto il provveditorato dove la polizia è costretta a caricare per evitare l’irruzione degli studenti nel palazzo sordo alle loro richieste.
Tuttavia, grazie alla determinazione dei percorsi di lotta, le prime vittorie non tardano ad arrivare. La più significativa è al Liceo Alighieri, dove la presidenza è costretta a riaprire la biblioteca d’istituto, rinunciando all’acquisto di inutili lavagne multimediali. Grazie alla lotta ora sono gli studenti a decidere come utilizzare il denaro della scuola!
Questo periodo di intense mobilitazioni ha fatto emergere definitivamente la frattura insanabile che esiste tra i bisogni reali degli studenti e le istituzioni scolastiche in tempi di auserità. In particolare è il protagonismo delle generazioni più giovani da poco entrate a scuola a dimostrare la predisposizione a sollevarsi ogniqualvolta che i diritti vengono calpestati e l’assoluta indisponibilità a piegarsi ad una scuola che oggi si configura unicamente come laboratorio di formazione per un futuro di miseria e precarietà.
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