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Boicottaggio respinto, verità distorta: UniPi sceglie la guerra e la chiama pace

Un contributo del Collettivo Universitario Autonomo – Pisa in merito alla votazione del senato accademico dello scorso venerdì 11 luglio.

da Riscatto

Venerdì scorso il senato accademico dell’università di Pisa è stato chiamato nuovamente a rispondere delle sue complicità nel genocidio in atto in Palestina.
Pensiamo sia necessario soffermarsi sulla curiosa macchina di menzogne che è stata attivata in questa occasione, per andare oltre ai veli di ipocrisia che potrebbero offuscare la vista.


Dall’anno passato decine di docenti e studenti del dipartimento di chimica hanno intrapreso una determinata mobilitazione per il boicottaggio accademico di Israele. Questo ha portato alla presa di posizione del consiglio di dipartimento, che ha deliberato all’inizio dell’estate la chiusura ad ogni cooperazione con le istituzioni israeliane e ha presentato una mozione analoga in sede di senato accademico, per estendere il boicottaggio a tutti gli organi dell’Ateneo.
Il senato accademico ha nuovamente bocciato la richiesta. A detta loro, di fronte alle esplicite intenzioni coloniali di Israele e la sua recente espansione in Cisgiordania, bisogna “riflettere” prima di rescindere gli accordi, per continuare a “costruire ponti, non muri”. Dei ponti ben delineati, su dei fossati sempre più profondi, che connettono i nostri studi al progetto coloniale e genocida di Israele, lasciando nel baratro il popolo palestinese.

Non ci soffermeremo ad analizzare la gravità di una presa di posizione come questa in un momento in cui l’imperialismo e il colonialismo israeliani e della NATO hanno calato ogni velo, portando gli intenti genocidari sotto la piena luce del sole. Su questo, quel che c’è da dire è che le scelte della governance pisana coincidono a pieno con la corruzione di un’istituzione ormai integralmente piegata agli interessi della guerra. In continuità con il governo italiano, nonostante i tentativi retorici di marcare distanza o dissenso. Nulla di nuovo, ci verrebbe purtroppo da dire.

Vogliamo invece spendere qualche parola sull’infrastruttura mediatica che ha avuto luogo a seguito della seduta. Ad un’ora dalla conclusione del senato accademico sono usciti comunicati e articoli: “Unipi vota per interrompere le collaborazioni con le istituzioni israeliane”. A noi, che sotto al senato accademico ci siamo state in presidio per sei ore insieme allə studenti, ricercatorə e docenti per la Palestina, è parso di vivere in un mondo parallelo.

Quale interruzione ha votato Unipi? Quale genocidio ha riconosciuto e condannato?

Menzogne. Così lampanti ed esplicite, scritte nero su bianco. Ci siamo chieste a che pro degli organi dell’università, affiancati dalla rappresentanza studentesca, debbano mentire così spudoratamente alla faccia di chi sotto i loro palazzi chiede giustizia.
Quando il potere vacilla e viene messo in discussione, deve trovare nuovi modi per preservarsi. La governance sa bene che una parte crescente della comunità accademica la sta mettendo di fronte alle proprie responsabilità. Sa di non poter più contare su un consenso pieno attorno alle proprie scelte guerrafondaie. Sa che oggi, dichiarare apertamente il sostegno all’entità sionista le farebbe perdere credibilità. E quando il consenso crolla, bisogna ricostruirlo: manipolando, corrompendo, promettendo a vuoto. Questo stanno provando a fare con il movimento per la Palestina e ci pare che qualcuno abbia abboccato.

I rappresentanti degli studenti, invece di mantenere una posizione di conflitto all’interno degli organi, si piegano alla narrazione ufficiale, forse per interesse, forse per quieto vivere. Si mente creando confusione, alimentando false speranze, minando la credibilità della mobilitazione per la Palestina. In sostanza, la governance ha assorbito il dissenso interno, lo ha neutralizzato e ne ha fatto strumento di legittimazione.

Ci chiediamo se chi promuove questa versione dei fatti lo faccia perché crede davvero di essere nel giusto e si illude che un comunicato simbolico equivalga a un cambiamento reale, se i comunicati usciti siano per “salvare la faccia” o per illudersi di aver ottenuto qualcosa.
Quella che vediamo stampata in prima pagina sui siti di Unipi e ripresa da diversi comunicati, è pura demagogia. La demagogia nasce quando chi dovrebbe rappresentare il conflitto si trasforma in portavoce del compromesso, finendo per credere che basti il linguaggio per cambiare la realtà.
La realtà di fatto è però che la governance dell’università nulla ha smosso nelle sue complicità e chi promuove altre narrazioni non fa altro che  buttare fumo negli occhi a chi lotta per la Palestina.

Di tempo da perdere ne abbiamo poco, e ancora meno ne abbiamo per parole vuote. Alle false promesse, alla retorica e alla demagogia di chi confonde consapevolmente i fatti, rispondiamo con la sola cosa chiara: la pratica della lotta.
Non ci interessano le mezze verità, i comunicati accomodanti, le mozioni simboliche votate per salvare la faccia. Non ci interessa partecipare a un gioco truccato in cui la realtà viene sistematicamente manipolata per coprire scelte di complicità. Oggi più che mai, è il momento di costruire dal basso una forza collettiva che sia chiara negli intenti e determinata nel non lasciarsi ingabbiare da narrazioni comode.

Se le stanze del potere accademico continuano a chiudersi nel silenzio e nella menzogna, non aspetteremo più che si aprano: le scardineremo. E se non potremo più contare su chi, là dentro, avrebbe dovuto rappresentare il conflitto, allora sarà nostro compito, insieme, organizzarci fuori da quelle stanze per farle crollare sotto il peso della loro stessa ipocrisia.

Perché la lotta per la Palestina non ha bisogno di facciate, ha bisogno di giustizia. E la giustizia si costruisce nella verità, nella coerenza e nella determinazione di chi rifiuta ogni complicità.

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