Come la pandemia ha cambiato la vita dei braccianti?
AGGIORNAMENTO DA SALUZZO E DINTORNI : Come la pandemia ha trasformato la vita dei lavoratori braccianti e l’economia del settore?
Per una cronaca delle mobilitazioni dei braccianti e di quanto poi accaduto nelle campagne di Saluzzo nei mesi di giugno e di luglio si vedano invece gli allegati 1 e 2.
“Mancheranno 9000 lavoratori” , “A rischio i raccolti nelle campagne cuneesi” e “Il Pas non potrà aprire”.
Con l’inizio della pandemia, i sindaci e i rappresentanti delle maggiori organizzazioni di produttori agricoli del saluzzese (Asprofrut, Ortofruit Italia, Jolly Fruit, Joinfruit, Rivoira, Solfrutta e Lagnasco Group) e le Associazioni agricole Coldiretti, Confagricoltura e Cia hanno ribadito che l’emergenza sanitaria avrebbe avuto forti ripercussioni sulla raccolta del distretto saluzzese, sia a livello economico che sanitario. A quasi due mesi dalla firma del protocollo di accoglienza dei braccianti stagionali e nonostante i proclami di istituzioni e associazioni di categoria, la realtà ci restituisce come, per l’ennesima volta, le soluzioni trovate favoriscano esclusivamente le aziende agricole e difettino completamente di misure per la tutela dei lavoratori stranieri impiegati nella raccolta.
Tutti gli anni (da dieci anni) la gestione dei flussi migratori verso le campagne cuneesi viene definita emergenziale e di conseguenza gestita come un problema di ordine pubblico, a maggior ragione in questo 2020 sconvolto da una pandemia globale.
Il protocollo firmato da: Regione Piemonte, Prefettura di Cuneo, Provincia di Cuneo, Comuni, associazioni datoriali di categoria del lavoro agricolo, Caritas, Associazione Papa Giovanni XXIII e Forze dell’Ordine prevedeva innanzitutto di impedire l’annuale ricostruzione di Guantanamò (un accampamento spontaneamente autocostruito di anno in anno presso il Foro Boario di Saluzzo) e l’immediato sgombero dei più di 100 lavoratori accampatisi nelle settimane di maggio e giugno nei Giardini di Villa Alberto.
Il 3 luglio infatti la polizia e la Croce Rossa procedevano alla deportazione di piccoli gruppi di lavoratori (chi più, chi meno inconsapevole) in aree-ghetto sparse nei paesi del saluzzese, con la scusa di voler contenere la diffusione del virus.
Come da manuale ormai in tutti gli sgomberi “soft”, lo spostamento proposto nei diversi comuni è stato accompagnato dalla promessa-ricatto di poter ottenere una casa dopo aver firmato un contratto di lavoro, con ovviamente l’implicito messaggio che l’alternativa fosse un foglio di via o il traferimento in un Cpr.
Nonostante molti braccianti ad oggi abbiano un contratto di lavoro, a nessuno è ancora stata assegnata la casa promessa e continuano a vivere nei container (già utilizzati gli anni scorsi) oppure in “moduli abitativi”, tanto pubblicizzati dalla protezione civile, che altro non sono che tende monoposto piazzate in un prato. A Saluzzo, dove era stato promesso che la casa abbandonata del custode del cimitero sarebbe stata adibita a struttura abitativa, nessuna struttura è stata aperta e diverse decine di lavoratori continuano a dormire per strada.
Viene abbastanza spontaneo domandarsi come il ceto politico locale, il questore di Cuneo, i dirigenti del SPRESAL (Servizio per la Prevenzione e la Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) riescano a dichiarare che le soluzioni messe in campo rendano il saluzzese il fiore all’occhiello nella gestione dei braccianti stranieri stagionali a livello nazionale (3).
Accampamenti di 10/20 persone nelle periferie di Savigliano, Lagnasco, Verzuolo, Busca, Costigliole, non tutti con le stesse caratteristiche o possibilità: alcuni senza doccia (ma solo acqua a pompa), uno o due sebach (o classici bagni chimici) o nel migliore dei casi dei bagni-container, alcuni senza punto gas o frigo per conservare il cibo, altri con zona notte in container o in tenda, alla faccia delle norme anti-covid.
Emerge come l’emergenza sanitaria sia stata una scusa per portare avanti il processo di sfruttamento che si concretizza ogni estate nel Cuneese.
La tutela dei lavoratori, ancora una volta, è stata accantonata per preservare il ritmo della raccolta e del profitto.
Ad arricchire il quadro, nelle ultime settimane le campagne di Saluzzo sono diventate terreno di un becero dibattito razzista che trovava nella presenza dei migranti la colpa di sospetti focolai di Covid, dopo che molte persone di origine africana ospiti nel CAS Papa Giovanni XXIII (centro di accoglienza straordinaria, controllato dalla prefettura) sono risultate positive al tampone (4). Gli ospiti, tra i quali molti erano impegnati nel lavoro agricolo stagionale, sono stati messi immediatamente in quarantena. Sebbene a chi è risultato positivo sia stato consegnato un documento ufficiale, i risultati negativi sono stati comunicati solo in forma orale e, nonostante le richieste, non è stato loro consegnato alcun documento ufficiale che provasse la condizione.
Ciononostante, Alberto Preioni, capogruppo della Lega Piemonte, è riuscito a dichiarare che Saluzzo è stata invasa da centinaia di stranieri infetti che bivaccano e creano tendopoli.
Fin troppo facile soffiare odio su un evidente problema a giochi ormai fatti.
E proprio per com’è stato ideato e gestito il patto non ci stupisce, nonostante per ora ci sia stata solo la comunicazione verbale, che anche nel campo di Verzuolo (che per tre settimane ha vissuto grazie alla solidarietà del paese, dato che non avevano ricevuto i famosi “moduli abitativi”) siano risultate positive due persone, ricoverate in ospedale in quanto senza fissa dimora.
Gli altri bracciati risultati al momento negativi sono stati sottoposti ad isolamento fiduciario attivo, ovvero possono andare a lavorare, ma devono restare nell’accampamento tutto il resto della giornata. Un isolamento di facciata e classista perchè non si può definire isolamento, in termini di contenimento del contagio, un periodo di quarantena trascorso in un campo emergenziale in assenza delle basilari norme igienico sanitarie.
La trasformazione delle aree-ghetto in zone di quarantena, oltre a manifestare il razzismo istituzionale che accetta i braccianti stranieri solo in quanto lavoratori, accompagna il più classico dei ricatti capitalistici: se non lavori, non guadagni.
E chi ovviamente ha attraversato l’Italia per cercare un’occupazione dopo mesi di lockdown, non ha alcuna intenzione di farsi rinchiudere (a maggior ragione in un container 2×5 metri con altre persone) senza alcun sostentamento.
D’altronde, come spesso sottolineato dagli stessi enti e dai sindaci, più dell’80% degli stagionali sono di orgine africana, gli stessi che non hanno avuto accesso alle misure economiche di sostegno durante la quarantena e che sono stati bersagliati dai decreti legge sicurezza emanati in questi ultimi anni a partire da Minniti fino ad arrivare a Salvini.
Ancora un volta la chiave delle decisioni è il profitto, il normale proseguimento delle attività lavorative e del sistema economico. Costi quel che costi, il terzo distretto agricolo italiano non deve rallentare ulteriormente dopo la battuta d’arresto causata dall’emergenza sanitaria.
Così il peso delle scelte istituzionali ricade tutto sui lavoratori agricoli, che tenuti sotto continuo ricatto, non hanno la possibilità di alzare la testa in difesa del poco che hanno o per reclamare diritti basilari come una sistemazione abitativa dignitosa.
La situazione risulta ancora più bieca se valutiamo il contesto in cui tutto ciò accade, essendo il Cuneese all’ottavo posto in Italia per reddito procapite.
Infine, un dato va rilevato: negli anni scorsi il numero di lavoratori stagionali migranti che avevano trovato una sistemazione abitativa prima nell’accampamento di Guantanamò e negli anni successivi nel PAS e in varie occupazioni abitative si è sempre aggirato attorno al migliaio, su un totale di quasi 12mila lavoratori stagionali stimati. Quest’anno tra le persone sistemate negli accampamenti formali e chi ancora vive per strada non si arriva probabilmente alle 300 persone. Quasi 700 persone mancano all’appello. Come si può interpretare questo dato?
Sebbene a una percentuale di questi sia stata sicuramente garantita una sistemazione abitativa da parte dei datori di lavoro, i lavoratori sostengono che solo una ristretta minoranza dei datori offre effettivamente l’alloggio.
È poi ipotizzabile che una parte dei lavoratori abbia trovato una stanza in affitto nei diversi paesi, assottigliando ancora di più il proprio risparmio a fine stagione. Ma in quanti possono permettersi un affitto, quando sappiamo che le condizioni e di lavoro nero e grigio sono la norma? (5)
La spiegazione più diffusa, secondo i lavoratori, è che una volta saputo della pessime condizioni di vita e di lavoro nel Saluzzese, molti stagionali abbiano semplicemente scelto di cercare lavoro altrove, in altri distretti agricoli italiani e non. Non pochi, tra i lavoratori che abbiamo incontrato, se ne sono andati altrove.
In conclusione, la pandemia ha quindi radicalmente trasformato le campagne saluzzesi. Tale trasformazione ha avuto un costo, necessario a salvaguardare profitti e produttività, che è stato in larga misura scaricato sulla classe lavoratrice.
La stagione non è ancora finita e nemmeno la diffusione del Covid..
Seguiranno nuovi aggiornamenti:
In un prossimo post analizzeremo il reale impatto della Sanatoria sui processi di regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
Solidarietà ai lavoratori delle campagne!
#EnoughIsEnough #BlackLivesMatter #BLM
#Saluzzo #Busca #Savigliano #Verzuolo #Lagnasco #Costigliole #CasePerTutti #GhettiPerNessuno
(1) https://www.facebook.com/103073511452680/posts/134650974961600/?sfnsn=scwspmo&extid=etYxEXroBazM3I5B
(2)https://www.facebook.com/103073511452680/posts/128479262245438/?sfnsn=scwspmo&extid=RWv34zFCTIapfKcD
(5) https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3157081121045160&id=350049868414980&sfnsn=scwspmo&extid=q42vmESpoXKjv6Fy
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