Cronaca dal porto di Catania: sabato prevista grande mobilitazione
In questi giorni al Porto di Catania sta andando in onda una nuova puntata della guerra alle Ong che prestano soccorso e assistenza nel Mar Mediterraneo alle imbarcazioni di profughi provenienti da Libia e Tunisia.
Da Antudo
Ad oggi la situazione è di 2 navi umanitarie, l’Humanity One e la Geo Barents, bloccate al Porto di Catania con a bordo una parte dei migranti soccorsi in mare nelle scorse settimane, oltre 250 persone su un totale di quasi 800 persone presenti, a cui viene impedito lo sbarco a terra e la richiesta di protezione internazionale, dopo una selezione operata sulla base di criteri sanitari sostanzialmente arbitrari e discriminatori, introdotti con un decreto inter-ministeriale emanato d’urgenza pochi giorni prima. Un’altra nave, con 90 persone a bordo, la Rise Above, è arrivata questa notte a Reggio Calabria. Una quarta nave, la Ocean Viking, con 234 persone a bordo, è ancora in attesa di un porto sicuro.
Il presidio permanente di solidali al Porto di Catania
Dalla tarda serata di Sabato 5 Novembre si è formato un presidio permanente di solidali che richiede l’immediata liberazione delle persone illegittimamente trattenute sulle 2 navi per consentire loro di accedere alla procedura di richiesta della protezione internazionale a cui hanno diritto.
Questa la cronaca dal presidio permanente al Molo di Levante del Porto di Catania:
Sabato 5 novembre alle 22.30 attracca la prima nave al varco 4 del porto di Catania. Sì chiama Humanity One, è una nave battente bandiera tedesca ed ha salvato da un naufragio 179 persone, altre decine sono morte in mare. La situazione dei naufraghi a bordo è grave ed ottiene un’autorizzazione temporanea per attraccare al porto di Catania, ma le procedure di sbarco non avvengono. Si attiva così quello che diverrà un presidio permanente di solidali per monitorare la situazione. L’indicazione che arriva dal Governo è di far sbarcare solo i soggetti ritenuti (da loro) vulnerabili, dunque donne incinte (poi ampliato a tutte le donne), minori e disabili. Così sono state fatte scendere 144 persone, tra bambini, donne incinte e nuclei familiari con minorenni, che sono stati sistemati al Palaspedini, un impianto sportivo nel rione Cibali di proprietà del Comune.
Ma la “vulnerabilità” dei 35 rimasti chi la decide? Tre di queste persone hanno provato a tuffarsi in mare nel tentativo di raggiungere la terraferma (una volta toccato il suolo italiano il Paese è obbligato a soccorrerli e accoglierli), hanno nuotato fino a un galleggiante, ma sono state riportate tutte dentro. Arriva un decreto interministeriale che dispone che la nave deve lasciare il porto dopo avere ultimato lo sbarco selettivo.
Il Capitano e l’equipaggio hanno deciso di disattendere questo ordine, perché non hanno alternative. Il legale dell’ONG tedesca, Riccardo Campochiaro, afferma che potrebbe arrivare una rivalutazione in autotutela da parte del ministero. Nel frattempo stanno predisponendo un ricorso da depositare al Tar Lazio. Inoltre, dichiara di avere già presentato la richiesta per la protezione internazionale delle persone rimaste a bordo. Tutti hanno richiesto di essere ammessi come profughi dal nostro Paese. Verso le 16.00 di domenica 6 attracca al varco 10 la seconda nave, norvegese, la Geo Barents. A bordo ci sono oltre 500 persone, di cui circa 270 sono state fatte evacuare. Altre 235 persone sono ancora a bordo e nella giornata di lunedì 7 hanno iniziato una protesta dall’interno della nave, battendo ritmicamente le mani sulle pareti al grido di “help us” (“aiutateci”).
Anche in questo caso il comandante si rifiuta di partire e rimpatriarli. A bordo della nave la situazione è critica; lo ha confermato il capo delle operazioni di soccorso e ricerca della Geo Barents, Riccardo Gatti. Ci sono stati diversi casi di attacchi di panico sulla nave, conseguenti non solo alla lunga attesa, ma anche per il fatto di stare in un porto senza potere scendere ed essere soccorsi. Tra l’altro, da Medici senza frontiere è stato precisato di avere ricevuto un avvertimento che minaccia l’associazione di una multa di 50mila euro se il decreto non viene rispettato. La terza nave è tedesca, la Rise Above; ha soccorso 90 persone e attraccherà probabilmente al porto di Reggio Calabria. La quarta nave si chiama Ocean Viking, ha soccorso 234 migranti ed è ancora in viaggio nel Mediterraneo e non ha ancora raggiunto le nostre coste.
La solita operazione di propaganda in nome dell’ennesima emergenza per la sicurezza nazionale: dopo i rifiuti, l’epidemia e la crisi energetica, questa volta tocca ancora al tema immigrazione
Abbiamo definito questa vicenda come una guerra che il Governo insiste ad ingaggiare contro le attività di soccorso delle Ong, per screditarne l’operato agli occhi dell’opinione pubblica e per accreditarsi tra i propri elettori come difensore della sicurezza nazionale a fronte di un’emergenza immigrazione sempre pronta ad essere sbandierata in ogni momento.
A guardare bene i dati, piuttosto, si evince come questa emergenza non esista nei termini in cui viene descritta e, circoscrivendo l’attenzione alla questione Ong, gli stessi dati del Ministero dell’Interno evidenziano come nell’ultimo mese siano sbarcate sulle nostre coste oltre 11 mila persone (soccorse dalla Guardia Costiera o arrivate autonomamente) mentre le persone soccorse dalle Ong, su cui si è volutamente puntata l’attenzione mediatica, sono poco più di un migliaio. Si tratta, quindi, di una finta guerra, tutta propaganda e invenzioni giuridiche, spacciata per chiusura dei porti e difesa dei confini nazionali dall’immigrazione clandestina di massa.
Becera propaganda politica per ostentare fermezza sul tema dell’immigrazione; improvvisazione giuridica nell’emanare decreti ministeriali in netto contrasto con le norme costituzionali sul diritto di asilo, con il diritto del mare, con il diritto internazionale e con le Convenzioni sui diritti dei rifugiati firmate dallo Stato italiano. Rileverebbero anche i benché minimi principi umanitari non tenuti in considerazione in questa vicenda, ma riguardo ad uno Stato ripetutamente condannato per tortura, condizioni inumane e degradanti nei centri di trattenimento, violazione delle norme che vietano i respingimenti collettivi e firmatario di accordi miliardari con le milizie libiche, sembra inutile discutere di rispetto dei diritti umani fondamentali.
Negli ultimi anni le attività di search and rescue delle Organizzazioni non Governative, italiane e straniere, sono state scoraggiate, colpite e punite con multe abnormi e con i fermi amministrativi delle imbarcazioni, poi puntualmente revocati, sostanzialmente finalizzati ad impedirne l’operatività. La battaglia – politica, culturale e legale – contro le operazioni di salvataggio delle persone in difficoltà in acque internazionali era stata inaugurata dal Governo giallo – verde di Conte nel 2018, con le dichiarazioni di sfida ai “taxi del mare” da parte di Di Maio e sfociata nei decreti sicurezza di Salvini e nella triste vicenda della nave Diciotti della Guardia Costiera Italiana, bloccata al Porto di Catania per diversi giorni nell’Agosto 2018, impedendo lo sbarco delle 177 persone soccorse in mare.
Ma la tematizzazione in termini di questione di ordine pubblico e di sicurezza nazionale di un fenomeno complesso come quello migratorio inizia negli anni ’90 e coinvolge i governi di ogni colore politico: dal primo Testo Unico sull’immigrazione, del 1998, firmato Turco – Napolitano del centro – sinistra di Prodi e D’Alema con il quale vengono istituiti i Centri di Permanenza Temporanea per stranieri irregolari dove trattenere i soggetti sottoposti ad espulsione (la famosa “detenzione amministrativa”, una privazione della libertà personale in assenza di reato penale), passando per la svolta ultra – repressiva avviata con la legge Bossi – Fini del Governo Berlusconi nel 2002, più volte modificata per i vari profili di incostituzionalità di alcune sue norme eppure ancora in vigore, fino alle politiche migratorie più recenti segnate dai criminali accordi con la Libia, rifornita di miliardi e motovedette italiane per il controllo dei flussi in partenza, firmati dal Governo Gentiloni con il Ministro Minniti.
Questa volta, a differenza dell’episodio della Nave Diciotti dell’estate 2018, il Governo non persegue la strada del divieto assoluto di sbarco, ma cinicamente permette alle navi la sosta in rada soltanto per il tempo strettamente necessario al soccorso e all’assistenza dei minori, delle donne e dei soggetti fragili da un punto di vista sanitario. In questo modo, punta ad evitare di finire in Tribunale per non aver ottemperato all’obbligo di far scendere a terra le persone soccorse, come accaduto 4 anni fa, ma allo stesso tempo dispone una selezione tra i migranti a bordo (tra l’altro a cura di soli 3 medici del Ministero e senza l’ausilio di un interprete) ed il ritorno in acque internazionali delle navi con a bordo i migranti ritenuti “sani” e, quindi, in grado di sostenere un ulteriore viaggio in mare, dopo 15 giorni dal soccorso e ancora di più dalla partenza dalla Libia.
Una procedura evidentemente illegittima sotto il profilo umanitario, prima ancora che da un punto di vista giuridico e legale. Come visto in precedenza, i legali della Humanity 1 hanno immediatamente sottoposto al giudizio del Tar del Lazio il decreto inter – ministeriale che gli è stato notificato, oltre a richiedere al Tribunale civile di Catania di attivare una procedura d’urgenza che permetta alle persone rimaste a bordo, vergognosamente definite dal Governo come “carico residuale”, di poter scendere a terra e fare richiesta di protezione internazionale.
Al Porto di Catania l’attenzione resta alta: dal presidio permanente lanciata una grande manifestazione per sabato 12
Le manifestazioni che si susseguono sulla terra ferma, a pochi metri dalle navi, attaccano questo decreto scellerato che sta permettendo tutto questo, in quanto, si dice, viola non solo le convenzioni internazionali, ma anche l’umanità e la solidarietà tra i popoli. Centinaia di persone tenute in ostaggio dal governo italiano che, come già successo in passato, nega lo sbarco a chi scappa da guerra, fame e miseria causate dallo stesso Occidente. Eppure lo stesso trattamento non sembra essere riservato a chi, all’interno dei confini europei, si trova a scappare dalla guerra. Che differenza c’è tra i profughi di guerra, da dovunque essi provengano? Nessuna, se non il colore della loro pelle, o la campagna elettorale che ci si può cucire sopra. È evidente che per chi ne ha il potere le vite delle persone non valgano tutte allo stesso modo. La Sicilia è da sempre un punto di riferimento per i popoli del mediterraneo e quindi per antonomasia terra di accoglienza.
Per il pomeriggio di sabato 12 è stara lanciata una manifestazione regionale che si concluda al porto.
In quella occasione sarà importante ribadire come chi vada veramente respinto sia chi specula sulle nostre vite e devasta i territori in cui viviamo, causando morte e malattia, sfruttamento ed emigrazione forzata.
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