El Salvador. 15 donne condannate fino a 40 anni di carcere per aver abortito
Guadalupe rimase incinta a 18 anni in seguito ad una violenza. L’aggressione le provocava costanti disturbi e giunto il momento non seppe identificare i dolori con l’imminenza del parto. “La nascita fu extraospedaliera e, secondo il medico legale, non fu possibile determinare la causa della morte del bebè”, racconta Alejandra Burgos, attivista del Gruppo Cittadino per la Depenalizzazione dell’Aborto Terapeutico, Etico ed Eugenetico del Salvador. Guadalupe fa parte del “Le 17”, il gruppo di donne che sconta una condanna nelle carceri salvadoregne accusate di aver abortito o di omicidio. Le pene giungono fino a 40 anni di prigione in un paese che nel 1998 ha stabilito la proibizione totale dell’aborto, incluso per le bambine e le donne incinta a causa di una violenza, la cui salute sia in pericolo, o nel caso in cui il feto non abbia possibilità di sopravvivere. Amnesty International (AI), che si è unità alla campagna globale per chiedere l’indulto per “Le 17”, sostiene che “le condanne di solito si basano su prove carenti o poco decisive, dopo processi senza garanzie”.
Burgos, che è approdata a Barcellona per far conoscere la situazione del “Le 17”, oggi ha confermato che hanno finito con il concedere l’indulto a Guadalupe, “il primo concesso ad una donna nella storia giuridica salvadoregna”. Ieri, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU ha sottolineato in un comunicato che questo indulto “deve segnare un punto di inflessione affinché le autorità rivedano le sentenze contro tutte le donne che si trovano in prigione per complicazioni relative alla gravidanza”. L’ONU reitera la sua preoccupazione per “Le 17”: “Le sanzioni sono state comminate in modo sproporzionato e senza il dovuto processo. Nove di questi casi giungeranno il prossimo mese all’Assemblea Parlamentare e invitiamo le autorità affinché concedano l’indulto. è ora che il Salvador riveda la propria legge sull’aborto”.
La situazione delle donne nel Salvador è apparsa nelle prime pagine dei periodici a maggio del 2013, in seguito al calvario subito da Beatriz. La vita di questa giovane di 22 anni, malata di lupus, di grave insufficienza renale e convulsioni, è rimasta appesa ad un filo durante la sua gravidanza poiché il Tribunale Supremo aveva respinto che le fosse praticato l’aborto terapeutico nonostante che il feto non avesse possibilità di sopravvivere giacché gli mancava una parte di cervello. L’ospedale nel quale era ricoverata raccomandò l’interruzione della gravidanza per poter salvare la sua vita. La campagna internazionale non ebbe successo e Beatriz continuò la gravidanza fino a che le fu praticato un cesareo. Il bebè morì cinque ore dopo, alla 26a settimana. I medici non si azzardano a praticare aborti poiché anche loro subiscono il carcere.
Dal 1973, il Salvador permetteva l’aborto quando era frutto di una violenza, il bebè soffriva di malformazioni o la madre correva il rischio di morire. “Nel 1998 avvenne la proibizione totale e incomincia una feroce persecuzione in un momento in cui nel paese non c’era ancora un forte movimento di donne”, commenta Burgos. “Ci giungono casi come quello di una bambina di undici anni, violentata e incinta. Nei primi cinque mesi del 2014 sono avvenute 592 violenze, delle quali 410 su minori o su persone handicappate. Trenta sono finite con una gravidanza”, denuncia questa attivista, laureata in Teologia e dottore di Filosofia.
Il Ministero della Salute salvadoregno precisa che il suicidio è la causa di morte del 57% delle giovani incinte tra i dieci e i 19 anni, sottolinea un rapporto di AI. Questa ong raccoglie storie raccapriccianti come quella di una bambina di 13 anni che cercò di togliersi la vita rimanendo incinta dopo essere stata violentata dai membri di una banda o quella di un’altra che era stata abusata fin dall’infanzia, e che a nove anni fu obbligata a portare a termine la sua gravidanza. “Fu un caso molto difficile. Ci segnò molto perché lei non capiva cosa le stava capitando. Ci chiese matite colorate e incominciò a disegnare tutti noi”, racconta il suo dottore.
La proibizione totale porta agli aborti clandestini (circa 35.000 l’anno, secondo l’OMS) e non sicuri, come ingerire pesticidi o introdursi oggetti affilati nel collo dell’utero, cita AI.
Burgos, coordinatrice della Rete Salvadoregna dei Difensori dei Diritti Umani, precisa che “tra il 2009 ed il 2013 si è riusciti a liberare sette donne; ora ne rimangono in carcere 25 per aborto od omicidio aggravato e “Le 17”, che hanno già esaurito tutti i ricorsi e per questo chiediamo l’indulto per loro”. Nelle ultime settimane è uscita dal carcere una di loro, Mirna, “ma perché aveva già terminato la sua ingiusta condanna a dodici anni e sei mesi per tentativo di omicidio di sua figlia appena nata”, e Guadalupe ha finito con l’ottenere l’indulto. Sono 15 ma si continua ad usare l’immagine delle 17 per il suo significato.
AI mette in rilievo che “la situazione si è aggravata poiché le donne e le bambine con limitate risorse economiche non possono accedere all’informazione sulla salute riproduttiva, c’è una generalizzata mancanza di educazione sessuale e di metodi contraccettivi”.
29/01/2015
La Vanguardia
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