Grecia: incendio nel campo profughi, scoppia la rabbia
Domenica scorsa nel campo profughi di Moria sull’isola di Lesbo, in Grecia, è scoppiato un incendio che ha portato alla morte di una donna e del suo bambino partorito poche ore prima nel container in cui era rinchiusa e a 17 feriti.
Il campo profughi di Moria è un inferno in cui vivono 13mila persone, in condizioni estremamente precarie, in una tendopoli e dei container dove potrebbero risiederne al massimo 3mila. Le fiamme che hanno provocato la morte della donna e del figlio non sarebbero di origine dolosa, ma deriverebbero da un cortocircuito di un cavo sul tetto di un container, a differenza di quanto dichiarato dalle autorità greche che avevano tentato subito di addossare la colpa sui migranti. La fatiscenza del campo e l’incuria con cui è stato gestito indicano chiaramente le responsabilità di queste morti.
Immediatamente è esplosa la rabbia dei migranti rinchiusi nel lager che ha portato a duri scontri con la polizia. I migranti hanno chiesto di essere trasferiti sulla terra ferma.
Il governo ha risposto inviando un aereo C130 carico di MAT (polizia antisommossa famosa per la violenza e l’intimidazione che negli anni ha messo in campo contro le manifestazioni di piazza in Grecia).
Ieri ha avuto luogo poi un consiglio dei ministri straordinario in cui il governo greco ha calcato ulteriormente la mano sulla questione migrazioni: hanno deciso di deportare in Turchia 10mila persone entro i prossimi tre mesi, aumentare i controlli navali nell’Egeo, aprire nuovi centri di detenzione e deportazione e infine trasferire migliaia di persone dagli hotspot sulle isole ai campi profughi sul continente.
In queste ore un migliaio di migranti sono in corteo per chiedere l’immediato trasferimento ad Atene e la libera circolazione in UE, la polizia inviata dal governo si è schierata per impedire ai manifestanti di arrivare nella città di Mitilene e nel pomeriggio dovrebbe esserci proprio nella località greca una mobilitazione dei solidali.
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