I figli di Londra
Le due notti londinesi sono passate seguendo un unico filone: scontri con la polizia e assalti a bancomat e negozi soprattutto di merce elettronica.
La rabbia nelle periferie dei quartieri operai che circondano la city, se nella prima notte ha trovato il detonatore nell’ingiustizia, che molti commentatori hanno ricondotto ad un contesto di sola esclusione etnica.
Il perpetuarsi della rivolta e il suo estendersi anche in altri quartieri nella seconda notte di riots, trova il proprio carburante nello stesso concetto di crisi economica che si legge in questi giorni su tutti i giornali del mondo. Come il rovescio della stessa medaglia.
Già oggi infatti, in un articolo che traspira paura “Una rivolta legata alla crisi” John Llyod su Repubblica, accenna timidamente al “rischio” che la rivolta di questi giorni possa essere un piccolo assaggio dell’altra medaglia della parola crisi economica.
Senza andentrarci in analisi affrettate però molti indizi (interviste e le stesse immagini) ci mostrano che a muoversi nelle notti londinesi non sono state comunità etniche, ma una composizione che è meglio osservare sotto l’occhio generazionale, teenagers e giovani, stretti nella morsa dell’assenza di prospettive e della distruzione sociale dei loro quartieri.
A Londra in due momenti diversi dell’anno le cronache ci hanno mostrato come la crisi finanziaria stia erodendo la società britannica. In autunno con l’innalzamento delle tasse universitarie e la conseguente rivolta degli studenti. Adesso in estate, con i riot che ci mostrano i territori delle periferie londinesi bruciati dalla crisi e messi a fuoco a causa di essa. Studenti prima e giovanissimi dei quartieri proletari dopo, che in comune hanno le stesse tecnologie dalla rivolta i social network e che ci dicono che il futuro necessita di una loro unica presa di parola.
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