Roma, sgombero di rifugiati a via Scorticabove
Torna l’estate e tornano anche gli sgomberi della Questura di Roma. Lo spazio, un tempo in concessione dal Comune, era entrato in stato di occupazione da parte dei rifugiati che si erano rifiutati di far parte del business dell’accoglienza.
A quasi un anno dagli sgomberi delle occupazioni abitative di via Quintavalle e via Curtatone, la Polizia ha iniziato le operazioni di sgombero di uno stabile abitato da 120 rifugiati sudanesi. Lo stop di Minniti, post-Piazza Indipendenza, agli sgomberi senza soluzioni si è dimostrato superato. Infatti il Comune non ha offerto nessun tipo di alternativa ai rifugiati, che si ritroveranno senza un tetto sopra la testa.
Lo stabile di prorietà privata era stato affittato dal comune e dato in concessione a La Cascina, cooperativa di Comunione e Liberazione, per farne un centro accoglienza. I rifugiati sudanesi, molti provenienti dal Darfur, erano entrati nei locali nel 2006, dopo lo sgombero dell’Hotel Africa. Lo stabile è stato gestito fino al 2015 quando la cooperativa la Cascina è stato coinvolta in Mafia Capitale. I vertici della Cascina sono finiti in carcere e la cooperativa è stata commissariata. Le centinaia di appalti che dall’accoglienza alla ristorazione (come le mense univeristarie) erano sotto il controllo della Cascina finiscono nel trita-carne confusionario della gestione post-Mafia Capitale. I rifugiati sudanesi decisero di restare nello stabile rifiutando di essere carne da macello per il business dell’accoglienza. Il comune con l’allora assessore Francesca Danese (giunta del sindaco Marino) ne richiese lo sgombero interrompendo i pagamenti delle utenze e dell’affitto. Dal 2015 lo stabile viene autogestito dai rifugiati sudanesi.
Da Minniti a Salvini, da Marino alla Raggi non è un caso che le operazioni di sgombero vengano richieste nelle situazioni costruite dal basso e che sfuggono al controllo del sistema dell’accoglienza.
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