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Tunisia. Centinaia di migliaia di donne in piazza

Pur riflettendo in buona parte la sua epoca e senz’altro frutto di un atto autoritario di Bourghiba per affermare l’autodeterminazione di una Tunisia libera dal colonialismo francese, lo Statuto Personale tunisino è tra i più avanzati della regione e garantisce alle donne il diritto al voto e all’eligibilità, richiede il loro consenso per il matrimonio, abolisce il ripudio e introduce la procedura di divorzio, proibisce la poligamia, stabilisce l’età minima per il matrimonio a 20 anni per gli uomini e 17 per le donne, legalizza la contraccezione e l’aborto.

Oggi, ad ormai dieci mesi dalla fine prevista del mandato dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) e del governo di transizione già tre volte rimpastato, gli orientamenti della troika capeggiata dal partito islamico An-Nahda sono divenuti chiari e mettono pericolosamente in discussione quei diritti e quelle libertà acquisite dalle donne nel 1956.

In una Tunisia sconvolta da vecchi e nuovi settarismi religiosi e poteri politici, la data del 13 agosto è stata celebrata come una ricorrenza simbolica di portata pari a quella del 6 agosto, quando si commemorato Chokri Belaid, leader della sinistra tunisina, a sei mesi dal suo assassinio; si è trattato di difendere e rivendicare un punto centrale della lotta per la democrazia contro l’affermazione dell’Islam politico: i diritti, le libertà e i ruoli delle donne.

Erano oltre 200.000 le/i partecipanti al corteo indetto dalla Coalizione delle donne libere di Tunisia (Hrayir Tunis) che include, tra gli altri, sindacati come l'”Unione generale tunisina del lavoro” (UGTT), l'”Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato” (UTICA), associazioni femministe come l'”Unione generale delle donne tunisine” (AFTD) e l'”Associazione tunisina delle donne democratiche” (AFTURD), insieme alla “Lega tunisina per i diritti umani” (LTDH).

Il corteo è partito da Bab Saidoun ed è terminato a Place du Bardo dove si è unito al sit-in Errahil (#Ra7il). Dal 25 luglio scorso, qui si protesta contro l’assassinio di Mohamed Brahmi, un altro leader politico della sinistra laica tunisina, oltre che membro dell’ANC, e si chiede la dissoluzione dell’Assemblea e del governo, la formazione di un nuovo governo tecnico e nuove elezioni. Il ritiro di sessanta deputati e la sospensione dei lavori dell’ANC, il 6 agosto scorso, sono da annoverare tra i successi del movimento.

Le forze dell’opposizione laica, democratica e di sinistra – in realtà frammentate e ancora alla ricerca di posizioni e leader comuni – accusano il governo di An-Nahda, che fa capo alla fratellanza musulmana, di aver avuto un atteggiamento conciliante con i movimenti salafiti e di aver fatto precipitare la Tunisia nel caos e nell’insicurezza: la strage di otto soldati sul monte Chaambi del 29 luglio è stata vissuta dalla popolazione con forte emozione, accompagnata dal rifiuto per la violenza dilagante.

La manifestazione del 13 agosto ha avuto dunque una portata storica anche per il suo significato eminentemente politico, come dimostrato dagli slogan scanditi a difesa del carattere civile dello Stato e del modello di società liberale: “La Tunisia è libera, fuori i fratelli musulmani” e “Le donne tunisine sono musulmane, ma non islamiche”. Besma Khalfaoui, vedova di Chokri Belaid, ha dichiarato “La nostra gioia non sarà completa fino alla caduta di questo governo e le donne tunisine sono tra le prime file della militanza”.

In effetti dal Bardo in questi giorni si sentono slogan e canti che ben dimostrano la complessità della società tunisina: con l’inno nazionale si alzano anche preghiere, canti sufi, l’Internazionale e canzoni tradizionali, a dimostrazione dell’insofferenza per una concezione dell’Islam estranea alla tradizione del Paese e che è vissuta come una minaccia per la convivenza pacifica della popolazione.

Ma, come per le altre ricorrenze, le manifestazioni che si stanno svolgendo in Tunisia sono sempre di due tipi. Il 6 agosto scorso circa 60.000 persone sono state mobilitate da tutto il paese con sforzi finanziario-logistici notevoli da parte di An-Nahda. Hanno manifestato alla Kasba di Tunisi in sostegno al partito, in contrasto con il sit-in del Bardo che esultava per la sospensione dei lavori dell’ANC.

Per la festa delle donne, la manifestazione pro-governativa ha raccolto poche migliaia di partecipanti all’insegna dello slogan “Le donne di Tunisia sono le garanti della transizione democratica e dell’unità nazionale”. Ma, a marcare il carattere politico di questa ricorrenza, la folla ha scandito anche slogan come “Il popolo vuole ancora An-Nahda” e “Sacrificheremo il nostro sangue e la nostra anima per la legittimità elettorale degli islamici”. Il luogo prescelto è anch’esso simbolico, l’Avenue Habib Bourghiba, il teatro della rivoluzione del 14 gennaio 2011 e che porta il nome del promotore del Codice di Statuto Personale, tante volte etichettato come sionista e ateo da quegli stessi che si sono organizzati in questo 13 agosto per promuovere il ruolo delle donne come madri, figlie e mogli.

Perciò, di là della continuità dei partiti è la forma dello Stato ad essere messa a dura prova in questi mesi in Tunisia, giacché il tentativo di An-Nahda di introdurre nella nuova Costituzione il principio – islamico – di complementarietà dei sessi, insieme a quello di islamicità dello Stato, ha costituito l’asse intorno al quale si è rafforzata l’opposizione nel Paese negli scorsi mesi.

D’altronde, basta dare una rapida occhiata a quanto sta accadendo negli altri paesi arabi, Egitto e Siria in primis, dove le violenze contro donne sono all’ordine del giorno e costituiscono armi di attentato e distruzione delle libertà individuali e dei diritti fondamentali, per rendersi conto di come la strumentalizzazione delle lotte, dei diritti, dei ruoli delle donne sia un elemento fondamentale della lotta per il potere anche nelle cosiddette rivoluzioni arabe, oggi come ieri.

da Nena News

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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