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SPECIALE BANLIEUE Uno sguardo intersezionale sulle rivolte

Per questa puntata abbiamo intervistato Benzz, militante femminista e antifascista che vive da anni a Marsiglia. Un’intervista molto interessante che ci offre diversi spunti rispetto al nodo della colonialità e a come questo si intreccia con il tentativo di colpevolizzare le famiglie, ed in particolare le donne da parte dello Stato.

Qui la raccolta degli articoli dello Speciale Banlieue

Il 27 giugno 2023 Nahel è stato ucciso da un poliziotto. Il video che è stato girato mostra un poliziotto che, in un controllo in strada, segue e ferma una macchina con al volante Nahel, punta a qualche centimetro il suo fucile e gli dice che se non ubbidisce gli tira un colpo in testa. Il suo collega lo appoggia e gli dice “Dai, tiragli addosso”. Il ragazzino cerca di partire e il colpo di fucile parte. Altri ragazzini avrebbero potuto trovarsi al suo posto, o almeno hanno già avuto delle relazioni di disprezzo con la polizia. In Francia essere percepito come un giovane nero o arabo comporta un rischio venti volte maggiore di essere controllato dalla polizia. Quindi implica anche che gli uomini razzializzati corrono più rischi solo per il fatto di esistere. Secondo me chi scende in strada nelle rivolte in questi giorni sono dei potenziali Nahel, delle persone giovanissime (l’età media è di 17 anni) che hanno già avuto dure esperienze con la polizia che li controlla, li brutalizza, li traumatizza a partire dalle più giovani età. Io non sono cresciuta in un quartiere periferico di Francia, ma ho lavorato e fatto progetti in quei quartieri periferici e sono stata spesso testimone delle calate massive di poliziotti a tutte le ore del giorno e della notte che implicavano ragazzi, soprattutto adolescenti, neri ed arabi con intorno i bambini dei quartieri che assistevano al trattamento. Queste aggressioni avvengono soprattutto contro le persone razzializzate che crescono in zone di non-diritto. Voilà, qualche cifra che mostra il disprezzo istituzionale verso queste zone: cominciamo dalla scuola. La descolarizzazione è alle stelle in questi quartieri, il 50% dei giovani non finisce gli studi superiori, gli edifici scolastici sono in pessimo stato, i professori non sono stati sostituiti per lunghi periodi, gli orientamenti proposti ai giovani sono spessissimo professionali, come fare la segretaria, il muratore al fine di creare un sottoproletariato che lavora a poco prezzo. Non ci sono filiali generali come il liceo classico o scientifico. Può sembrare assurdo, ma in Francia è così. In questi quartieri più del 42% delle persone vive sotto la soglia di povertà, il 25% è disoccupato con picchi tra i giovani tra il 30 ed il 50%. Sono aree che mancano di servizi sociali e sanitari e di trasporti pubblici. Discriminazione al lavoro e agli stages. In questo stato di cose ingiuste è chiaro che la situazione è pronta ad esplodere in ogni momento. Come si è visto per Nahel, lui è stato dipinto dai media come un potenziale colpevole perché di Nanterre, cioè delle banlieue, perché potenzialmente delinquente, perché sicuramente era minaccioso, perché forse ha messo in pericolo la vita dei poliziotti, che è stata la prima versione che la polizia ha dato, prima che il video dell’assassinio circolasse. Nei media televisivi classici, come potrebbero essere Rai o Mediaset in Italia, i dibattiti erano a questi livelli e gli avvocati di Nahel hanno minacciato di denunciare a più riprese politici che non smettevano di dire che lui era conosciuto dai servizi di polizia o altre calunnie. Come se questo desse diritto ad uccidere. Per questo come afferma la sociologa Kaoutar Harchi Nahel era quindi “uccidibile”, i neri razzializzati rischiano perennemente la pena di morte. Quando non c’è giustizia non c’è pace si dice spesso in questi giorni, o come ha detto il rapper Médine in un tweet: “Quando la giustizia è violenta, la violenza è giustizia”.

Una grossa premessa di quanto è accaduto è stata la modifica di una legge che disciplina l’uso delle armi da fuoco da parte della polizia, equiparandola allo stesso livello dei gendarmi. Prima i dipendenti pubblici erano soggetti al codice penale e dovevano dimostrare l’autodifesa come qualsiasi altro cittadino. Quindi se la polizia utilizzava un’arma doveva dimostrare perché l’aveva fatto, invece con questa nuova legge del 2017 è stato specificato che l’uso delle armi è autorizzato solo in caso di assoluta necessità e in maniera proporzionata: ciò significa che se il poliziotto si sente in pericolo può colpire. Chiaramente il concetto di necessità e di pericolo sono completamente arbitrari, quindi il poliziotto lo sceglie in qualche secondo se può colpire o no. Da quando c’è questa legge i morti per mano della polizia sono aumentati del 40%. La maggioranza sono giovani, uomini e razzializzati.

Le rivolte sono esplose in periferia principalmente nelle grandi città, ma a differenza del 2005 anche nelle medie città ed in quelle più piccole. Un’altra differenza è che questa volta le persone hanno attaccato anche altri quartieri oltre a quelli dove abitano. Dunque i quartieri che fino ad ora non erano stati coinvolti hanno preso colpi, come ad esempio a Marsiglia il vecchio porto e a Parigi certi quartieri del centro.

C’è da specificare che le rivolte non sono iniziate nel 2005, ma che i crimini polizieschi hanno radici profonde come mostra il sociologo Marwan Mohammed che dice: “i disordini legati al dramma di Nanterre fanno parte della continuità delle rivolte precedenti. Dagli anni ‘70 ci sono state mobilitazioni, ci sono state rivolte contro la violenza, contro i crimini della polizia. Siamo cresciuti in crescendo nel 2005 con grandi aspettative, in particolare nei cambiamenti del comportamento dello Stato attraverso la sua polizia nei confronti di un certo numero di questi cittadini, soprattutto le classi lavoratrici e le popolazioni provenienti da immigrazione post-coloniale. Da questo punto di vista le aspettative sono state deluse, al contrario le cose sono nettamente peggiorate”. Dunque le rivolte sono cominciate subito dopo l’indipendenza dell’Algeria: ci sono stati grandi crimini contro le popolazioni immigrate ed i lavoratori discendenti dalle ex-colonie. Rispetto al 2005 rilevo alcune novità già a partire dal fatto scatenante: esiste un video dell’omicidio di Nahel a differenza del 2005 e della morte di Zyed Benna (17 anni) e Bouna Traoré (15 anni). Questo ha cambiato tutto perché mentre Sarkozy ha difeso apertamente l’operato della polizia, di fronte alla prova del video Macron ha dovuto ammettere che quanto successo era innaccettabile, come anche il ministro dell’Interno Darmanin nonostante all’inizio avesse tentato di sviare. Altre differenze sono state il ruolo dei social network come strumento di organizzazione delle proteste e l’intensità delle rivolte senza precedenti. Rilevo inoltre che questa volta tra gli obiettivi dei rivoltosi vi erano, a differenza del 2005, i simboli del capitalismo, come negozi di lusso, grandi marche e centri commerciali. Questi obiettivi a mio parere sono stati in parte ispirati dal ciclo di mobilitazione dei Gilet Jeunes, ma credo che queste lotte rimangano comunque abbastanza separate e parcellizzate. Non si è verificato ad oggi un legame concreto tra questi movimenti e la dimostrazione è la reazione debole agli arresti massicci di ragazzi giovanissimi avvenuti durante le rivolte.

D’altro canto lo Stato disprezza e reprime, in coerenza con la continuazione coloniale vede queste rivolte come selvagge, primitive. Le retoriche che vengono utilizzate sono del tipo “i giovani pensano di essere in un videogioco”. Quindi è evidente che non si vuole inquadrare il problema nei suoi aspetti profondi. C’è forte lo stigma dell’arabo, del nero aggressivo che si fa prendere dalla collera e non è più in grado di ragionare e riflettere. Per i media non è un essere umano, ma un primitivo, un selvaggio.

Dunque la colpa viene addossata alle famiglie e visto che la maggiorparte delle famiglie sono monoparentali, spesso tenute in piedi da madri sole la responsabilità viene attribuita a loro che non sarebbero in grado di educare i figli e dunque di fare il loro “dovere”. A mio parere ciò che c’è di più grave nella risposta dello Stato sono gli arresti di massa e le pene esemplari come richiesto dal ministro della giustizia Dupond-Moretti. Si procede per comparizione immediata dopo gli arresti durante le azioni, dunque gli avvocati non hanno il tempo di studiare i dossier e le pene che vengono comminate sono pesantissime. Gente che per aver rubato un formaggio ha preso quindici mesi di carcere. Quindi attenzione a romanticizzare le rivolte, perché questi ragazzi giovani stanno pagando molto duramente e c’è bisogno di costruire un sostegno nei loro confronti (alleghiamo qui il link alla raccolta fondi diffusa per sostenerli).

In sostanza credo che queste rivolte vadano lette con uno sguardo intersezionale, in cui la questione della colonialità e del genere vanno integrate ad una visione di classe.

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