Fascisti tra lame e poltrone
“Orgogliosamente antifascista”. Con questa motivazione Sandro Ruotolo, giornalista e candidato di Rivoluzione Civile alla Regione Lazio, non ha stretto la mano a Simone Di Stefano (candidato di Casa Pound). La risposta è stata l’irruzione in provincia di Viterbo ad un iniziativa di Ruotolo. I neofascisti hanno parlato di iniziativa goliardica e pacifica, ma ha il sapore di un’intimidazione chiara: chi non ci legittima e accetta come normale forza politica, e si ostina a porre una pregiudiziale antifascista nel dibattito pubblico ne pagherà le conseguenze. E questa legittimazione andavano proprio cercando Simone Di Stefano e gli altri militanti quando sono andati ad elemosinare il placet di Grillo sull’opportunità di una loro eventuale presenza in parlamento.
Eppure in queste settimane di campagna elettorale quello che fa strano non è il gesto, simbolico e di buon senso, di Ruotolo, ma gli spazi concessi sui media in maniera neutra e acritica alle organizzazioni neofasciste, in particolare a Casa Pound Italia. Elezioni usate per legittimarsi e affermarsi come interlocutori normali un domani, chiunque governerà e al di là delle percentuali basse che raccoglieranno. Ossessionati dalle poltrone, dei palazzi o delle tribune televisive.
Sembrano essere in pochi i giornalisti e i politici a rammentare gli episodi di violenza ai danni di attivisti, studenti, esponenti politici. Eppure i neofascisti del terzo millennio, sono in tante cose simili a quelli del ‘900, come appare anche dagli ultimi fatti maturati all’ombra del Vesuvio.
Le oltre 400 pagine dell’ordinanza che ha portato in carcere e agli arresti domiciliari il gruppo dirigente di Casa Pound a Napoli (anche se molti dei protagonisti sono passati ultimamente a formazioni vicine a Militia di Maurizio Boccacci), fanno emergere alcuni dati inquietanti.
A di là della gravità dei fatti specifici contestati (soprattutto aggressioni a militanti di sinistra) e dell’inconsistenza dell’impianto accusatorio imperniato sulle fattispecie associative (banda armata e associazione sovversiva) tipiche delle operazione messe a segno periodicamente dai Ros che finiscono poi per cadere in aula, quello che emerge è un quadro preciso dell’ideologia e dei comportamenti dei militanti neofascisti. Emerge un tratto politico-antropologico che dovrebbe portare molti a non stringere mani o a realizzare interviste accondiscendenti.
Tutti gli stereotipi sui “naziskin” di un’altra epoca, smentiti da sempre da CasaPound (“Non siamo violenti”, “Non siamo razzisti”, “Non siamo antisemiti”, “Siamo bravi ragazzi che si impegnano nel sociale come tanti altri” e via smentendo), vengono invece confermati da circostanze e fatti, ancora di più che dalle intercettazioni riportate dai giornali: l’attitudine quasi spontanea alla violenza e alla sopraffazione, la pianificazione di aggressioni ed attentati, l’individuazione dell’avversario politico da aspettare sotto casa, di notte e da solo quando ignaro rientra, l’esibizione della forza e della violenza anche per stabilire la gerarchia interna.
Poi ci sono i coltelli: spesso a Napoli sono stati usati contro studenti e attivisti di sinistra. Ma i coltelli (“le lame”) ritornano ossessivamente nei discorsi, nelle conversazioni, ci si vanta del loro utilizzo o si ha paura di chi li usa con troppa facilità.
Coltelli che in mano a giovani neofascisti hanno portato a due assassini in dieci anni. Quello di Dax (Davide Cesare) a Milano nel 2003 e quello di Renato Biagetti sul litorale romano nel 2006. E purtroppo aveva ragione chi sosteneva che quei coltelli sono animati da una “cultura” che non è solo ideologia. È una propaganda che si nutre di gesti esemplari, ma che può uccidere. È una sottocultura fatta di comportamenti precisi, esibititi e tollerati in seno alle organizzazioni neofasciste.
Già nel romanzo dell’avvocato e militante di Casa Pound Domenico Di Tullio si parla di coltellate: “Il coltello, magari uno solo, serve: quando te li ritrovi in quaranta contro cinque è quello che ti salva la pelle, il deterrente che li tiene lontani. Il coltello è l’arma di quando sei solo contro i tanti. È il pacificatore dei vigliacconi, è quello che punge…”, peccato che venga usato dai neofascisti sempre in tanti contro pochi.
E poi a conferma del peggiore stereotipo sul culto e sul potere del capo emerge una linea di comando ferrea che dà la versione da diffondere all’esterno quando qualcosa va storto, come accade nel 2009 quando, dopo un’aggressione a un giovane studente partenopeo, viene diffusa “la versione ufficiale” da dare all’interno del movimento e quella all’esterno, concordate con i vertici nazionali. Proprio a seguito di quell’aggressione, che non era piaciuta ai capi a Roma, Giuseppe Savuto venne rimosso dalla carica di portavoce di CasaPound nel capoluogo campano. Nonostante i malumori nella base campana nessuno fiata, non si discute, si accetta la decisione.
In ultimo c’è la doppiezza e l’ipocrisia, il calcolo di quello che si può dire in pubblico e quello che si può dire solo all’interno del movimento, spiegato per filo e per segno ai giovani militanti. Non è un problema pensare che la Shoah sia un invenzione bella e buona, basta però non dirlo ai giornalisti. Allo stesso modo, è meglio non dire in giro le proprie convinzioni e il proprio giudizio su Hitler e Mussolini. Sarà per questo che alle manifestazioni e ai presidi da un po’ di tempo a questa parte ai militanti semplici non è permesso parlare coi giornalisti.
Di fronte a questo quadro disarmante quello che viene da pensare è: perché gli inquirenti non hanno pensato all’utilizzo della legge Mancino piuttosto che barcamenarsi in teoremi associativi di altra natura? È vero che l’utilizzo di leggi repressive non basta ad arginare le organizzazioni neofasciste nelle strade e nella società. Ma il ricorso a quel provvedimento sicuramente traccia una linea netta che pone gruppi come questo al di fuori della normale dialettica democratica, che non gli permette di usare le campagne elettorali per legittimarsi sulle poltrone delle tribune televisive e in iniziative di piazza tutelate e garantite dalle forze dell’ordine.
Questo almeno dovrebbero fare le forze “democratiche” delle istituzioni repubblicane. L’assurdo è che Ruotolo sia un’eccezione e non la normalità. Si possono usare tonnellate d’inchiostro e di argomenti ma non c’è convivenza possibile né dialettica possibile con queste organizzazioni.
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