Il caso Di Canio: i bambini ci guardano
Più lenta è stata la BBC, sempre più prigioniera della sua nuova politica di appeasement, il cui primo annuncio «Paolo Di Canio appointed Sunderland head coach» si sofferma sull’inesperienza del tecnico italiano a guidare una squadra di vertice. Appena si è dimesso Miliband però, ecco che nello stesso articolo la foto di Di Canio, prima raffigurato come allenatore dello Swindon Town in cappotto e girocollo nero, è sostituita con quella del Di Canio giocatore, che con la maglia della Lazio si rivolge alla Curva Nord col saluto romano. Anche alla corte della vecchia zia (“old Auntie Beeb“) l’elaborazione emotiva della vicenda muta rapidamente. E d’ora in poi negli articoli relativi a Di Canio apparirà sempre in bella evidenza la parola «fascista».
Nella perfida Albione l’ingaggio di un ammiratore di Benito Mussolini sulla panchina di una squadra di calcio della Premier League – il campionato di calcio più seguito al mondo che trasmette in 212 paesi per un’audience complessiva stimata in oltre 4,7 miliardi di spettatori – è considerato un affronto allo spirito del gioco. In Italia no. E cominciano i distinguo, le ipocrisie, i sarcasmi. Così, a seguito delle dimissioni di Miliband, la Gazzetta dello Sport offre una lettura completamente diversa della vicenda. La parola chiave non è «fascista», ma «polemica». Quella che avrebbe portato l’ex ministro degli esteri – di cui si sottolineano immediatamente le recenti dimissioni da deputato e il nuovo impiego a New York, oltreché «le 150mila sterline guadagnate in 15 giorni effettivi di lavoro al Sunderland» – a utilizzare la figura di Di Canio per giustificare le dimissioni.
La parola fascista, che appare solo una volta in bocca a Miliband (che tra l’altro non l’ha mai pronunciata, ndr) sulla Gazzetta assume quindi un valore diverso: non è più la caratteristica che definisce la persona dell’allenatore italiano, ma la futile scusa utilizzata dall’ex delfino di Tony Blair per scappare dopo aver dissanguato le casse societarie. Come diceva Godard, negando alla radice la possibilità di un racconto oggettivo, la scelta di cosa inquadrare è già di per se un scelta ideologica. Pertanto, ecco che l’utilizzo del medesimo termine con una funzione contrapposta delinea non solo come sarà trattato nei due paesi il medesimo oggetto narrativo, ma anche quale è l’ideologia dominante nei due paesi.
In Inghilterra fascista è una parola orribile, e caratterizza l’eroe protagonista della nostra vicenda. In Italia fascista è un termine obsoleto, decontestualizzato, privato di ogni significato storico, che solo un opportunista può utilizzare per perseguire i propri scopi. Fascista in Italia non è la sanguinaria dittatura di Mussolini, è la «polemica» dell’antifascista. Nel Belpaese, invece, i maître à penser del disimpegno possono twittare con arroganza: «Io, per esempio, penso che la cosa fascista l’abbia fatta Miliband. Il solo non volere che uno non possa fare il suo lavoro normale perché ha delle idee politiche folli mi sa di fascista». (Tommaso Labate) «Trovo più fascista il saluto del dirigente del Sunderland che se ne va perché arriva Di Canio, che il saluto di Di Canio alla curva. [Di Canio] si è detto più volte contrario a violenza e odio razziale. E cmq ripeto, va a fare l’allenatore, non il sindaco di Sunderland». (Selvaggia Lucarelli)
In un giorno di aprile dell’anno di grazia 2013, il termine fascista perde ogni riferimento storico e diventa sinonimo di arrogante e intollerante, ma solo per dipingere l’antifascista che si oppone al fascismo, o chi cerca di storicizzare e inquadrare la parola nella sua giusta dimensione. Il corto circuito semantico è al suo apice: il fascista è chi non permette a una persona di essere libera di fare apologia del fascismo. Una deriva giustizialista, nata nei tribunali e proseguita nei girotondi e nelle trasmissioni televisive, che ormai ha sfondato anche a sinistra.
Anche per La Repubblica le parole d’ordine sono «bufera» e «polemica». A fronte di un articoloche riporta (in un piccolo paragrafo a metà della pagina) l’indignazione di Miliband, c’è subito un intero pezzo con la risposta sdegnata del compatriota Di Canio che parla di «accuse stupide e ridicole». L’apoteosi tuttavia si raggiunge nell’edizione cartacea del giorno dopo, in cui la corrispondente Alessandra Budel, riferendosi alle proteste dei tifosi, scrive che per loro conta poco, evidentemente, che da giocatore della Lazio Di Canio abbia più volte sostenuto di aver dato sempre un significato «sportivo» al saluto romano che faceva ai tifosi, pagando una multa salata ma continuando a dire che il suo non era «un gesto politico», piuttosto «di appartenenza» e vicinanza alla curva.
Un’arrampicata sugli specchi da fare rivoltare nella tomba non solo chi il fascismo l’ha combattuto, ma anche quei milioni di persone che l’hanno subito.
La cosa grottesca è che la ‘giustizialista’ Repubblica si trova scavalcata a sinistra dalla peggiore stampa destrorsa inglese. È addirittura il tabloid scandalistico The Sun a dare una lezione di giornalismo al quotidiano diretto da Ezio Mauro, intervistando veterani di guerra che sono disgustati e indignati dall’ingaggio di Di Canio. […] Giusto per non dimenticarlo, durante la II Guerra Mondiale i bombardieri nazisti hanno ucciso 267 persone e ferito oltre 1000 a Sunderland. Di Canio è il compagno di letto ideologico di questi assassini. Dando l’incarico ad un fascista ci siamo allineati ad un’ideologia perversa che predica odio e non ha alcun spazio nel calcio e nella società.
In Inghilterra, a rimanere sconcertati del fatto che un uomo che si definisce fascista possa allenare una loro squadra non sono solamente i cittadini di Sunderland, bastione laburista del Tyne and Wear1, o i minatori di Durham che disseppelliscono le asce di guerra gridando che «l’ingaggio di Di Canio offende la memoria di chi è morto combattendo il fascismo». Persino un quotidiano storicamente vicino ai Tories come The Daily Telegraph sceglie di ospitare uneditoriale del sindacalista Dan Hodges (titolo: «Paolo di Canio is a fascist. Time to boycott Sunderland») che sottolinea l’importanza che il calcio ha avuto nella propaganda della Germania nazista. Altro che derubricare il saluto romano di Di Canio ad atto”sportivo” e quindi “non politico”, come fa La Repubblica.
Persino il Daily Mail – becero fogliaccio razzista soprannominato Daily Hate – offre da subitospazio alla rabbia dei tifosi del Sunderland per le dichiarate simpatie fasciste del loro nuovo tecnico, e pubblica un informato editoriale sul brodo di coltura neofascista e antisemita in cui sguazza la curva biancoceleste, definita «una delle peggiori d’Europa». Sul Daily Mail, inoltre, i distinguo protofascisti e negazionisti à la Repubblica sono affidati al blog dall’eloquente posizionamento all’estrema destra RightMinds. È la dimostrazione che la linea editoriale del quotidiano di riferimento del PD, su un tema di fondamentale importanza come l’antifascismo, è ormai paragonabile al punto di vista più estremo del quotidiano più a destra del panorama mediatico britannico.
Per il corrispondente da Londra del Corriere della Sera, il fascismo di Di Canio è solamente una «debolezza (grave)» mentre l’editorialista “principe” Mario Sconcerti – in uno dei suoi soliti deliranti solipsismi – arriva a scrivere che Mussolini fu il primo a capire la forza di comunicazione e aggregazione del grande calcio. Fece della Nazionale uno dei riferimenti più forti del fascismo. I giocatori erano simboli di ricchezza e ardore nazionale. Peppino Meazza era chiamato il Balilla, Monzeglio era il maestro di tennis del Duce, lo seguì anche a Salò. Quando fu trovato dai partigiani, nessuno gli torse un capello.
Forse Sconcerti tenta di spiegare che se un partigiano incontrasse oggi Di Canio lo saluterebbe con rispetto, o forse sta semplicemente implorando i lettori di non torcere alcun capello a lui, visto che è da anni che non ha la più pallida idea di cosa stia scrivendo. Fa comunque impressione rilevare che mentre il Corriere della Sera scrive queste cazzate, l’editorialista diThe Independent James Lawton arriva al punto di mettere in discussione il calcio stesso. E sotto il titolo «Paolo Di Canio’s appointment at Sunderland makes us ask what football clubs really mean to us», si chiede se il calcio, con l’ingaggio di Di Canio, non abbia perso la sua funzione educativa e di servizio alla comunità: «A cosa serve una squadra di calcio? Deve riflettere i valori più profondi di una comunità in cui ha sempre occupato un posto vitale?»
Ma è il 3 aprile, quando Di Canio si esibisce nella sua prima conferenza stampa da allenatore del Sunderland, che il Corriere della Sera detta la linea editoriale negazionista alla stampa italiana: «Basta politica, solo calcio», seguito a ruota da Repubblica e Gazzetta dello Sport. Dopo avere svuotato di significato storico la parola fascismo, la narrazione ora deve virare solo sul calcio.
Peccato che a rilanciare sulla questione del fascismo ci pensino i soliti bolscevichi dei quotidiani di estrema destra inglese. Il Daily Mail pone il problema più ovvio, ossia la mancanza – in tutta la conferenza – di una sola presa di distanza dal fascismo: «New boss Di Canio ducks the big question: Are you a fascist?». La questione arriva persino in Qatar, quando Al Jazeerasottolinea come “Paolo Di Canio deflects fascism questions”. Insomma, fuori dall’Italia nessuno se la sente di rinunciare alla questione politica per rientrare nei binari del calcio. Fuori dall’Italia, «fascista» non è la polemica; è un periodo buio della storia che va ricordato quotidianamente perché non si ripeta.
Con le lodevoli eccezioni di due sole testate (Il Manifesto e Il Fatto Quotidiano), il coro greco della stampa italiana riporta fedele come un sol uomo la dichiarazione di Di Canio: «Non sono un fascista». E si ferma lì, senza presentarla come un’apostasia. Né tantomeno manifesta alcuna intenzione di smontare questa tardiva, ridicola e interessata abiura.
Sono di nuovo i tabloid della destra britannica a rimettere le cose al loro posto. Se in Italia una smentita oramai non la si nega a nessuno (e diventa verità nel momento stesso in cui è pronunciata), Oltremanica non è così. La stampa indaga sulle motivazioni di questa smentita, e riporta fatti che possano sostenerla o confutarla. The Sun rilancia la questione pubblicando le foto del 2010 in cui Di Canio «presenzia» al funerale dell’ex terrorista nero Paolo Signorelli2, in un coacervo di teste rasate e saluti romani. Notizia che Italia non si caga nessuno (tranne le due lodevoli eccezioni di cui sopra), ed è invece subito ripresa da tutti i quotidiani inglesi – Daily Mail compreso.
Il Daily Hate arriva addirittura ad indagare sulle radici fasciste di Di Canio nel quartiere romano del Quarticciolo, e ricorda agli italiani che nel paese dove Mussolini ha governato con la forza ed il terrore per vent’anni esiste il reato di «apologia di fascismo», sebbene tutti fingano di dimenticarlo. Le parole del chief foreign writer David Jones – «Secondo la normativa anti-fascista, fare un simile gesto incendiario [il saluto romano, ndr] in pubblico è un reato, tuttavia non è mai oggetto d’indagine, sebbene lo si veda regolarmente nei raduni neofascisti e negli stadi» – sono quelle che avremmo voluto trovare in un qualsiasi articolo della stampa italiana.
Ma così non è, ed è sempre The Sun a chiedersi: «Se Di Canio non appoggia e non ha mai appoggiato l’ideologia fascista, cosa ci fa in quella compagnia al funerale di un uomo che ha passato otto anni in carcere per una strage dove sono morte 85 persone innocenti, venendo poi assolto per il reato di strage ma condannato per banda armata?».3 Domande semplici, che evidentemente ha senso porsi solo in Inghilterra e nel resto del mondo, dove si può essere di destra e considerare l’antifascismo un valore. Non in Italia, dove vent’anni di delirio in salsa Fininvest hanno fatto sì che l’antifascismo fosse relegato, anche a sinistra, ad un articolo vintage – un memorabilia anni ’80 da sfoggiare con moderazione, per divertire gli amici. Un oggetto postmoderno, svuotato della sua funzione storica, da non prendere mai più sul serio.
Nel resto del mondo, il negazionismo storico italiano non può che produrre stupore e indignazione. Quando infatti dalla sede di Manchester chiedono a Lizzy Davies, corrispondente del Guardian a Roma, di scrivere un pezzo su come hanno reagito gli italiani alla bufera che si è abbattuta sul nordest inglese dopo l’ingaggio di Di Canio – e quindi sull’opportunità di impiegare in un ruolo educativo come quello di un allenatore di calcio un fascista dichiarato – lei rimane basita. E non può che definire l’indifferenza al fascismo come «fastidiosa ed irrensponsabile».
I bambini ci guardano. Il resto del mondo pure, e si spaventa per la nostra indifferenza al fascismo.
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