La Roma dei «cuori neri» tra mafia, politica e tante pistole
La prima cosa da registrare, mettendo in fila alcuni fatti, è la disponibilità di armi nelle mani dei neofascisti della Capitale. Il secondo elemento è l’acclarata contiguità con la criminalità organizzata e la facilità con cui molte figure passano da un ambiente all’altro.
Era il 2006 quando un’indagine dei Carabinieri su una fallita rapina alla banca di Civitavecchia Caravit porta ad una perquisizione a Casa Pound. Secondo i militari le cinque persone fermate per la rapina frequentavano assiduamente la sede di via Napoleone III e uno di loro ci avrebbe proprio vissuto. Saranno i Carabinieri a parlare di un colpo ben organizzato e di una banda non di sprovveduti ma di professionisti.
Alcuni anni prima, è il 7 luglio del 2003, una «santa barbara» viene ritrovata in una cantina al numero 859 di via Nomentana: 9 pistole di grosso calibro, ovviamente con matricola abrasa, un’arma da guerra, due bombe a mano, munizioni, divise delle forze dell’ordine, giubbotti antiproiettile. Presumibilmente l’arsenale e il resto erano a disposizione di chi avesse voluto compiere delle rapine. Furono arrestati per detenzione illegale di armi Andrea Rufino e Giovanni Marion. Il secondo vicino alla banda di Kapplerino, nome «d’arte» di Elio Di Scala, rapinatore di estrema destra che negli anni ’90 aveva messo su una banda composta da un mix di estremisti neofascisti e criminali comuni di varie età e provenienza. I due poi risultavano tra i fondatori di Easy London, la società messa su dai due padri di Forza Nuova Massimo Morsello e Roberto Fiore.
È il 2012 invece quando a Tivoli viene gambizzato Francesco Bianco, l’ex Nar passato all’onore delle cronache per la sua assunzione diretta all’Atac nella fascistopoli di Alemanno. A sparare è Carlo Giannotta, reggente dell’ex sezione dell’Msi di Acca Larentia. Il motivo dell’aggressione? Divergenze sulla gestione della sede e della commemorazione dei tre militanti dell’Msi uccisi a colpi di pistola all’esterno di Acca Larentia nel 1978. Durante le indagini per il ferimento viene perquisita anche Casa Pound. I due figli di Carlo, Mirco e Fabio Giannotta, vantano il loro bel curriculum a cavallo tra estrema destra e criminalità.
Mirco prima di essere messo da Alemanno a dirigere l’ufficio per il decoro urbano ha patteggiato la condanna per diverse rapine, rapinatore anche Fabio, tra gli autori del colpo a Bulgari di via dei Condotti. A Fabio Giannotta è stato poi ricondotto l’arsenale ritrovato il 18 dicembre del 2011 nel quartiere Alessandrino: tre pistole semiautomatiche Beretta, dieci altre pistole semiautomatiche, quattro fucili da guerra, una mitraglietta, migliaia di munizioni, giubbotti antiproiettile, passamontagna, uniformi di polizia e carabinieri. Una delle armi sarebbe servita all’omicidio di Emiliano Zuin, assassinato in un regolamento di conti nella mala romana nel 2008. Vicini in passato ai Giannotta altri due fratelli, Corrado e Manuel Ovidi, in passato molto legati a Maurizio Boccacci, attualmente leader di Militia.
Sono poi diversi gli ex Nar passati alla criminalità comune, come Massimiliano Taddeini e Claudio Ragno, arrestati nel 2012 per aver partecipato a delle rapine a mano armata con due distinte batterie criminali.
Inquietanti sono infine alcuni episodi che hanno visto coinvolti esponenti di spicco di Casa Pound Italia. Il 14 aprile del 2011 Andrea Antonini, vicepresidente dell’associazione neofascista viene gambizzato con un’arma da piccolo calibro su via Flaminia. Rimangono ignoti i motivi ma gli inquirenti escludono l’attentato politico. Sempre Antonini con un altro esponente di Casa Pound Pietro Casasanta, è stato accusato nell’estate 2012 di aver aiutato un camorrista latitante, Mario Santafede, ad ottenere dei documenti dichiarando il falso a un funzionario dell’anagrafe.
Lo stesso Daniele De Santis, accusato dell’omicidio di Ciro Esposito, oltre ad un ultrà era un militante neofascista attivo nel Movimento Sociale Europeo, nella storica sede di via Ottaviano in Prati. Entrare in possesso di un’arma non dovrebbe essere stato difficile.
Valerio Renzi per Il Manifesto
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