Lettera di Nicolò, antifascista, da 3 mesi al carcere di Torino
Pubblichiamo il testo di questa lettera di Nicolò, giovane antifascista torinese. Senza alcuna accusa concreta se non quella di concorso morale per aver partecipato al corteo contro Casapound dello scorso 22 febbraio, si trova detenuto nel carcere delle vallette da ormai 2 mesi e mezzo.
Nicolò, in realtà, dopo ripetuti dinieghi e rifiuti di scarcerazione da parte del Pubblico Ministero e del Gip che gli hanno fatto perdere il lavoro di falegname che aveva prima di finire in carcere e un nuovo impiego che gli era stato offerto durante la sua detenzione, ha recentemente ottenuto un’attenuazione della misura cautelare e dovrebbe trovarsi agli arresti domiciliari con l’aggiunta del controllo del braccialetto elettronico. A quanto pare, però, il numero di braccialetti a disposizione della Questura al momento è insufficiente e tanto basta perché Nicolò si trovi tuttora rinchiuso alle Vallette in maniera del tutto pretestuosa, nonostante un’ordinanza di scarcerazione (la lettera che segue precede di alcuni giorni tale ordinanza). Nei prossimi giorni lanceremo una campagna per la liberazione di Nicolò, chiediamo a tutte e tutti i collettivi antifascisti, ai gruppi e ai singoli in giro per l’Italia di sostenerla, abbiamo bisogno di antifascismo militante oggi più che mai: #NicoLibero !
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Carcere delle Vallette, 07.06.2018
Dopo l’incontro di oggi che ho avuto con l’avvocato mi è sempre più chiara la linea che sta prendendo questo mio procedimento. Ormai non posso più definirmi un “detenuto comune”, un individuo che viene processato per il gesto illegale che ha commesso.
Qui si stanno processando le mie idee, i miei ideali che quel 22 febbraio – nonostante il brutto tempo e le 8 ore di lavoro sulla schiena – mi hanno portato a scendere in piazza.
Il giudice e il PM hanno riferito all’avvocato che non sono “convinti della mia posizione”. “L’imputato dovrebbe non dico pentirsi ma almeno prendere le distanze dai fatti, dimostrare dispiacere per l’accaduto”. Ecco qui che casca l’asino, richiedendo ciò vuol dire che alla base di tutto non vi è un gesto illegale, un fatto di significativa gravità giuridica, ma semplicemente la mia presa di posizione. Salta subito all’occhio che vogliono punirmi per le mie idee antirazziste e antifasciste.
Se l’intento di questi due signori, che dall’alto delle loro poltrone gettano sentenze e giudizi, è quello di farmi tornare sui miei passi, di cancellare i principi con cui sono cresciuto si sbagliano. Sicuramente richiedere il patteggiamento sarebbe la cosa più veloce per uscire da qui, ma vorrebbe dire ammettere di aver commesso un errore e io di sbagli non ne ho fatti. Essere antifascista non è un errore, certo è una scelta che non piace a polizia e magistrati, che avendo il coltello dalla parte del manico fanno di tutto per impedirci di portarla avanti. Perché parliamoci chiaro, io sono tenuto in carcere per delle idee politiche e non per un reato giuridico.
Da questa lettera spero non trapeli del vittimismo, perché chi mi conosce sa bene che odio questi atteggiamenti e che io vittima non mi sento assolutamente. Sono una persona piena di idee, speranze e sogni e oggi come oggi sono cose che si pagano care, ma non per questo dobbiamo smettere di crederci con tutti noi stessi.
Con affetto,
il vostro amico Nik
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