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All’indomani della bocciatura del lodo Alfano

E’ sempre complicato dare un giudizio in corso d’opera sul casin(ò) istituzional-partitico italiano senza restare invischiati nelle sabbie mobili dell'”intelletto politico”, che guarda il Palazzo e crede di trovarvi (tutto) il Reale, o della informazione spettacolaristica. In questo, l’autorappresentazione del potere propria dei regimi post-democrazia rappresentativa – quello italiano è un buon sismografo della transizione in atto – non aiuta. Fatta questa avvertenza, si può tentare di vedere come si stanno disponendo i pezzi dopo la bocciatura del lodo salva-Berluska. Al minino, avremo verificato se e in che misura sono all’opera alcune vecchie “regole” dell’agire politico e come la sintassi democratica postmoderna le sta riformulando.

Primo. Ritorna la piazza come ultima istanza ma è sempre più difficile riempirla

«A sentenza politica risponderò politicamente». Berlusconi, al quale non si può negare fiuto politico, sa di rischiare tutto anche solo per logoramento. E sa di non potersi fidare degli “amici”. Bossi e Fini, hanno già messo le mani avanti rispetto a un possibile ricorso “plebiscitario” alle urne: il primo per lucrare il più possibile sull’indebolimento del premier – nuove elezioni rischiano o di rafforzarlo anche a danno della Lega o di mandare tutto a catafascio – il secondo perché ha bisogno di tempo per costruire un nuovo asse politico-elettorale a spese anche di un’opposizione (Pd) sempre più morta. L’àncora di salvataggio che i due lancerebbero a B., un escamotage legislativo per ritardare i processi, è anche un boccone avvelenato in vista della spartizione delle spoglie (come si vede dall’accordo Bossi-Fini per le regionali venete). Al cavaliere, se non vuole semplicemente galleggiare per un pò di tempo, sembra non resti che ricorrere a qualche forma di mobilitazione di piazza… contro il Palazzo. Si vedrà se avrà la forza di lanciare la sua sfida accentrando il potere contro gli ultimi residui del legalitarismo costituzionalista cui contrapporre il consenso “popolare”. È una carta molto arrischiata e soprattutto fondata, quanto a programma economico e sociale, su poco (… il corporativismo di Sacconi e Brunetta, Tremonti!) o nulla. Il suo stesso partito soft già fa resistenza mentre la stragrande maggioranza della base leghista non si scalda certo per lui. Del resto il diffuso consenso sociale intorno a B. è fragile perché passivo, rancoroso ma non organizzato, arrogante ma incapace di muovere, se ancora ce ne sono, pulsioni non solo egoistiche per un rilancio “nazionale” unitario. (Paradossalmente, è il medesimo deficit che sta scontando Obama: arroganza miope dei ceti medi e passività delle classi proletarie senza il cui consenso e, a dati svolti, senza la cui mobilitazione – come classe per il capitale – nessun potere può andare molto lontano). Vedremo allora il Berluska dare di testa o… di piazza nientemeno che rieditando una versione postmoderna della “repubblica sociale”? O, più prosaicamente, è già iniziato il si salvi chi può del suo seguito? Anche su questo B. finirebbe per essere ripagato con la sua stessa moneta: la disponibilità dei “soggetti” a vendere corpo e anima ha come conditio sine qua non il successo del potente-acquirente, nient’altro li lega insieme.

Secondo. La borghesia dei salotti buoni non vuole la piazza ma non sa che fare

Gli ammonimenti immediati, e le preoccupazioni, di Corsera e LaStampa sono eloquenti: nessun ricorso alla mobilitazione, rispetto delle istituzioni, equilibrio. IlSole24ore: “Non precipitare in un vortice senza controllo”. E nel frattempo si cerca di approntare un ricambio: il Montezemolo broker della rottamazione, eterno giovincello sempre in attesa, scalda i motori? Un Casini con la benedizione papalina castigamatti dei leghisti? Con il solito problema di dove trovare le energie e la base sociale per una risposta alla crisi italiana, che non è solo politica ma complessiva. E nell’estrema difficoltà, se non impossibilità, di disfarsi di Berlusconi che comunque sia si dimenerà fino all’ultimo.

Terzo. Conferma, se ce ne fosse bisogno, della fine del tipo di opposizione “novecentesca” di sinistra, quella di lotta e di governo, con una prospettiva compatibilista ma “alternativa”

Riemerge infatti dal lato del Pd un’atmosfera da “religione civile repubblicana” che richiama in tutti i modi possibili alla moderazione e non sa letteralmente cosa contrapporre a Berlusconi. Chiarissimo Violante al Corsera: “Ovviamente, non è che non sia successo nulla. Pe­rò il Paese non può restare bloccato da questo problema, bisogna conti­nuare a provvedere ai suoi bisogni… Serve grande senso di responsabilità repubblica­na. E si deve contribuire a rinsaldare il Paese, non a sfasciarlo”. Chiaro? Lo stesso Napolitano esce dalla vicenda con le ossa rotte: l’avallo alle peggio schifezze del governo giustificato con il senso di responsabilità istituzionale ha fatto perdere la faccia senza per questo evitare i propositi vendicativi di Berlusconi. Franceschini si oppone anche lui a ogni mobilitazione. Ciò, nello smarrimento generale, non fa che rafforzare l’opposizione “giustizialista” dipietrina e travaglina (al di là del giudizio al riguardo).

Quarto e ultimo. Dietro il caos, o trambusto, politico c’è la dinamica economica e geopolitica profonda della crisi globale

Se la situazione italiana pare precipitare verso l’incasinamento generalizzato senza alternative politiche “serie”, ciò non è senza rapporti con le ripercussioni della crisi globale nella forma niente affatto lineare dell’avvitamento su stessa e dello sfrangiamento del residuo tessuto nazionale (diversamente dalla polarizzazione più netta evidente p. es. nel voto tedesco). I dubbi dei “poteri forti” – o di quel che ne è rimasto… – su Berlusconi attengono proprio a ciò, alla quasi certezza che non ha in mano nulla di nulla che possa aiutare ad uscire dalla crisi evitando l’ulteriore declino italiano. La vicenda dello scudo fiscale è emblematica. Il problema per il tessuto produttivo italiano è drammaticamente serio: servono soldi pubblici e capitali per sostenere l’apparato industriale che sta dando segni di vero e proprio collasso con la chiusura di migliaia di medio-piccole imprese. I padroncini sentono l’affanno. Le banche però non prestano un centesimo perchè capiscono che i loro prestiti serviranno solo a tenere in vita le aziende in attesa della ripresa, una ripresa in cui però non credono, in particolare per l’Italia, oltre al fatto che hanno ripreso alla grande a fare profitti con il gioco finanziario delle cartolarizzazioni. Tremonti con la sua operazione azzarda allora una doppia scommessa. Che questi padroncini pur di conservare le imprese siano disposti a far rientrare quei capitali che avevano trasferito all’estero ripagando con un rilancio della fiducia verso l’investimento nel paese l’obolo simbolico che dovranno versare. E, secondo, che gli enormi capitali accumulati all’estero dalla mafia rientrino “ripuliti” dando un contributo alla ricapitalizzazione del paese. Ma i calcoli di Tremonti molto probabilmente si dimostreranno entrambi illusori. Perché i padroni ragionano come i banchieri: non hanno fiducia nella ripresa dell’Italia. E perché i capitali della mafia difficilmente finiranno nell’investimento industriale. L’unico obiettivo che, forse, si riuscirà ad ottenere sarà di fornire supporto monetario alla tenuta della “bolla speculativa” nel settore in cui in Italia si è più concentrata: l’edilizia. Oltre a dare, ironicamente, un aiuto ai “nemici” ufficiali: le banche, che si vedranno arrivare soldi veri a costo zero. L’unica cosa davvero seria e solida che Tremonti e compari – soprattutto Sacconi con il suo Libro Bianco – stanno approntando è l’utilizzo della crisi come potente leva per un ulteriore violento salasso della massa salariale al minor costo possibile per la stabilità del sistema. Comunque sia, non mancheranno di qui in avanti anche in Italy ulteriori riprove della profondità di una crisi che non è affatto conclusa, come ci dicono, sia nelle sue ripercussioni economico-sociali sia nella partita geopolitica in atto che dovrà determinare quali dei diversi soggetti nazionali e sovranazionali dovrà bruciare la gran parte di capitale che il sistema globale necessita far fuori per un suo vero rilancio (l’Europa, stretta fra States e Cina, non è affatto messa bene). Le reazioni saranno le più disparate e confuse – non congeniali a puristi e nostalgici – ma le “nuove” piazze, insieme ai contenuti, torneranno a essere importanti. E gli esiti non si decideranno a colpi di sentenze o manette.

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