AVVISO AI NAVIGANTI: succederà qualcosa il 9 dicembre?
Senza pretese, partiamo da impressioni molto personali e da feedback ripetutamente ricevuti in queste ultime settimane da singol* compagn*, senza omettere dubbi, perplessità e ambiguità che pure sono molte. Succede che singoli contatti, amicizie, conoscenze famigliari e/o di lavoro ti pongano la fatidica domanda: “ci sarete anche voi il 9 dicembre?” oppure: “ne sapete qualcosa?”. Può capitare che gli abitanti di un quartiere in cui risiede un centro sociale bussino alla porta per chiedere informazioni, che una vecchietta entri nel tuo centro di documentazione che prima aveva sempre attentamente evitato, che vecchi compagni di scuola ti chiedono se sarai della loro, che in numerosi posti di lavoro, strati proletari delle periferie della città, svariati ambiti rigorosamente lontani dai nostri, l’attesa per l’evento si stia materializzando in qualcosa di più di una semplice aspettativa. Può infine succedere, ed è un termometro che raramente sbaglia, che dell’argomento in questione se ne parli sui mezzi pubblici che tutti usano, come nel bar in cui fai colazione o stai prendendo un caffè… Tutti fascisti? Permetteteci ancora di dubitare, soprattutto perché abitiamo una città in cui queste canaglie se ne stanno piuttosto al coperto, dovendo sempre farsi scortare da ingenti truppe di celerini e digos per mettere il naso fuori dai loro pochi covi. La chiacchiera da bar è uno specchio del senso comune diffuso. Con tutte le sue ambiguità: in parte spiegazione di comodo delle contraddizioni sociali proprie del capitalismo (populismo, xenofobia, qualunquismo… etc), in parte sintomo e traduzione di un malessere più profondo che cova nel sociale… e che può avere sviluppi inediti, non sempre pre-determinati dalle biografie degli organizzatori (o di alcuni di essi).
Ci sembra allora che una prima divisione debba essere colta tra i soggetti organizzatori, che non sono solo quelli individuati da Osservatorio Democratico ma anche da rappresentanze para-sindacali (corporative e reazionarie finché si vuole) espressione di una ben specifica composizione di classe: coltivatori, artigiani, partite Iva… diciamo: l’articolato pluriverso del lavoro artigiano e autonomo di prima generazione (soprattutto “manuale” e tendenzialmente non cognitario – ma l’osservazione ha solo valore empirico come tutte quelle che tentiamo in questo abbozzo di riflessione). A partire da una sommaria ricognizione compiuta sulla pagina facebook del gruppo torinese ci si può invece fare un’idea della soggettività di quello che appare come lo strato dei “militanti” (meglio forse sostenitori/organizzatori): si tratta tendenzialmente di soggetti fortemente connotati da un’allergia alle forme tradizionali della politica (istituzionale, sindacale e di movimento), fortemente individualisti o meglio individualizzati (ci torneremo oltre), tendenzialmente nazionalisti (ripetuti i riferimenti al “popolo italiano”, ai “lavoratori italiani” oltreché al
tricolore), impregnati di un pastiche ideologico che tiene insieme odio per la casta (politici, sindacalisti, giornalisti), richiamo alla Costituzione e ad una figura emblematica della Prima Repubblica come Sandro Pertini, uno spiccato inteclassismo, l’ odio per Equitalia e per l’aumento della tassazione sul loro lavoro. L’odio per uno Stato sempre più percepito come tirannico esattore è un collante forte di questi soggetti (e potenzialmente anche di una composizione molto più larga, non corrispondendo oggi nessun utilizzo della leva fiscale per un potenziamento di servizi/welfare ai cittadini ma solo la necessità di fare cassa per sostenere gli oneri imposti dalla troika). Altro elemento forte – in qualche modo conseguenza implicita del precedente – è l’esaltazione spinta del lavoro come elemento unico fondativo del valore della persona in opposizione al parassitismo delle varie caste (nell’appello si fa riferimento “all’Italia che produce, di qualunque settore”).
Sappiamo già cosa ci risponderanno quei/le compagn* che hanno impiegato il loro tempo nello scovare biografie e trasformismi degli organizzatori di questa strana mobilitazione: non vi bastano tutti questi elementi per diffidare di questi soggetti? Non è lì rappresentata, come in un eterno ritorno, la piccola borghesia sempre uguale a sé stessa, con tutti i suoi rancori, i suoi egoismi, la sua incapacità di vedere al di là del proprio naso e di cogliere gli antagonismi fondamentali che dividono la società?
Tutto vero… non fosse che questa certezza di metodo chiede di essere messa al vaglio di un’analisi più approfondita e meno invariante di quella che è oggi l’odierna stratificazione di classe nelle società occidentali (e in quella italiana nello specifico). Non contenti, siamo quindi andati a curiosare l’ultima riunione organizzativa cittadina prima del “grande giorno”, tenutasi giovedì sera in un locale dal nome evocativo (“Benvenuti a Las Vegas”): la sala era riempita da qualcosa come 500 persone [vedi sotto], cosa che ci fa pensare a un ipotetico ulteriore livello di simpatizzanti-attivi. Riportiamo il resoconto fattoci da un compagno presente:
“Allora, in sala erano presenti vari rappresentanti del ceto medio impoverito, uniti principalmente da due cose, lo schifo assoluto verso qualsiasi cosa ricordasse la politica (partiti, sindacati, associazioni di categoria) e l’odio per Equitalia. Da alcune domande che ho fatto ai vicini di sedia, ho capito che sono parecchi quelli ai quali Equitalia ha fatto chiudere le attività commerciali. Erano presenti anche un po’ di giovani, che sicuramente non sono passati davanti ad un centro sociale nemmeno per caso. Quindi stiamo parlando del ceto medio impoverito, che per la prima volta si riunisce in un specie di social forum. Presenti rappresentanti di tutti i mercatari di Torino, composizione che avevo seguito anche in passato e che non è famosa per la sua tranquillità e gestione. Tanto per fare un esempio, ricordo che dopo un corteo da Porta Palazzo a Porta Nuova si divisero in due fazioni che quasi arrivavano alle mani per decidere sulla continuazione della protesta. Il giro dei commercianti vari è abituato a mobilitarsi in rivendicazioni corporative e immediate, sarà divertente vederli alle prese con qualcosa di più grosso. La cosa che più mi stupisce/interessa è l’aspettativa nei confronti della giornata del nove da parte di gente diversissima, sembra quasi l’attesa che c’era prima del 15 ottobre. Si sono dati un codice di comportamento che in buona sostanza riesce a tenere insieme il “tutto”, della serie “anche la polizia è nostra amica perché vivono la crisi anche loro”, oppure “la bandiera italiana è l’unica accettata e i poliziotti devono difenderci”, discorsi per certi versi non dissimile da quanto si ascoltava in alcune assemblee della prima Onda…”
Questo ulteriore strato conferma caratteristiche di quello precedentemente indicato come dei militanti-organizzatori con alcune significative aggiunte: una non irrilevante presenza di giovani, un’attesa quasi messianica per l’evento che suppongono possa cambiare le loro vite. Sono tratti questi che hanno qualcosa della tanto evocata eccedenza (anche se non è quella che piace a noi!) di ogni embrionale movimento di protesta. Se allarghiamo il quadro ai frequentatori della pagina facebook, che potremmo individuare come cerchia più larga dei simpatizzanti/curiosi, le caratteristiche succitate si addizionano ad altre, più variegate e contraddittorie: spiccate seduzioni per teorie del complotto e dietrologismi vari; ammiccamenti per le mobilitazioni occupy/indignados (con l’abbondare di commenti del tipo “gli altri popoli si stanno ribellando, gli italiani che fanno?”); una certa fascinazione per le maschere di V per Vendetta e per le gesta di Anonymous; l’utilizzo di foto e grafiche che mescolano un po’ tutti questi riferimenti; più raramente, video e contributi inneggianti all’uso della forza (perlopiù ripresi ebacchettati dai moderatori-organizzatori).
Come si può ben vedere ritroviamo qui tratti già distintivi del fenomeno grillino, che sono più genericamente tipici anche di una certa tipologia media di utenti della Rete (non a caso individuata come spazio di attivazione/organizzazione fuori dai controlli dei “poteri forti”). Da questo punto di vista la composizione che scenderà in piazza il 9 dicembre ci pare tanto una variante ridotta e più specifica (più rozza e più a destra) del grillismo, che ha avuto invece dalla sua la capacità di ricomporre (certo non nei termini che ci piacerebbero) le figure contemporanee del lavoro vivo: dalla piccola e media impresa alla classe operaia tradizionale, ai precari, gli studenti, cognitari ed una più vasta composizione giovanile.
Ricapitolando, un tratto accomuna tutti questi soggetti: quasi nessuno ha alle spalle una ben definita biografia politica; pochi di loro sembrano conoscere minimamente percorsi e forme della militanza antagonista-autorganizzata, perlopiù percepita come “centri sociali”, “black bloc”, “quelli che spaccano le vetrine” (e che saranno prontamente neutralizzati da servizi d’ordine interni e consegnati alle forze dell’ordine” sic!). Per quanto ci possa piacere poco questo aspetto ci pare interessante, consci come siamo della parzialità degli ambiti sociali con cui i milieux militanti sono oggi soliti avere contatti: studenti, pezzi del proletariato giovanile, una provenienza di classe che li colloca tra il proletariato classico e la classe media… mediamente figli/e del lavoro dipendente, e quindi non di rado loro stessi lavoratori autonomi di seconda generazione (specie cognitari), perlopiù iper-precari mediamente o altamente alfabetizzati… non molto di più.
Se il grillismo è stato in qualche modo in grado di rappresentare/connettere lontanamente questi mondi (molti attivisti ambientali, cittadinisti, delusi dal movimento no global e attivismo vario hanno fatto approdo al M5S), la più marcata l’ambiguità di fondo in cui sprofondano questi soggetti è tipica del segmento di classe di cui sono parte: una piccola e media borghesia profondamente segnata da un’identità lavorativa e di valori che scorge nel lavoro (specie se frutto di iniziativa individuale) il non-plus ultra delle qualità personali. Una composizione quindi fortemente seducibile da invettive reazionarie, passioni tristi e nostalgie per un regime d’ordine definito e “più giusto”. Retoriche sul bene comune e sui diritti suonano a queste orecchie come bestemmie inascoltabili, scuse tipiche di pelandroni che non vogliono lavorare, mantenuti figli di papà…etc…
Sui tratti (im)politici della piccola borghesia ha detto molto la letteratura marxiana e la sociologia politica del Novecento (li abbiamo già elencati sopra). Ora però, dal nostro punto di vista, ci sembra urgente provare a ragionare sul che ne è di queste frazioni di classe nell’era della compiuta (e al contempo infinita) globalizzazione capitalista e della crisi che la sta lavorando all’interno. Possiamo ancora rappresentarla come cuscinetto tra borghesia e proletariato? Non sono forse anche questi ceti spinti a forza in un processo di irreversibile proletarizzazione? La partita Iva non è forse oggi una delle forme prevalenti di sostanziale lavoro dipendente camuffato da indipendente per esternalizzarne i costi di riproduzione in quanto forza-lavoro? Che ne è della pretesa autonomia di tempi, della garanzia di reddito, della differenza di status sociale quando tutte quelle che erano un tempo certezze abbastanza consolidate finiscono nel turbine di una globalizzazione che non risparmia niente e nessuno, travolti dagli alti e bassi delle borse, dalle finanziarie dei governi tecnici, dall’accentrarsi dei monopoli, dal proliferare della grande distribuzione che uccide le ultime illusioni del piccolo commerciante?
Certo, la classica risposta marxista è che al polarizzarsi delo scontro di classe bisogna scegliere da che parte stare. Ma non ci dimentichiamo che prima dello schierarsi definitivo intercorrono processi di soggettivazione e transizione che possono essere i più svariati e distendersi su tempi non prevedibili. Soprattutto, è oggi difficile individuare quale moneta di scambio possa vantare la grande borghesia e i funzionari del capitale a ceti come questi, destinati ad essere maciullati dai contraccolpi della crisi come il resto del proletariato.
Per concludere vorremmo ancora porre l’attenzione su un aspetto che ci sembra non trascurabile: come dicevamo, questi soggetti mostrano una esplicita allergia alla “politica” in tutte le sue forme. Come si è già verificato col grillismo, per la maggioranza di questi uomini e donne la contrapposizione politica storica tra Destra e Sinistra non ha più alcun senso. Non per accodarci ai corifei che negli ultimi decenni hanno predicato il puro e semplice abbandono di una collocazione, un’appartenenza e un’identità, prendiamo comunque atto che per quote ampie di popolazione queste non rappresentano più niente, proprio perché non esiste più alcuna esternità al rapporto di Capitale, perché la sussunzione reale della società al Capitale è un fatto compiuto e irreversibile (a meno, appunto, di un processo rivoluzionario di radicale trasformazione dei rapporti sociali e di liberazione degli umani – processo che non avverrà da solo ma che dovrà essere aiutato, costruito, tentato). Assumiamo qui il punto di vista secondo il quale ci troviamo di fronte all’individualizzazione ultima cui è giunto il processo di capitalistizzazione della società, ormai abitata da puri atomi sprovvisti di identità forti che non siano quelle illusorie e reprimenti della famiglia e della nazionalità di appartenenza, o quelle ben più profonde (impercepite ma più pericolose perché più sottili) del consumo e dell’effimero. Qualcuno l’ha definita piccola borghesia come nuova classe universale, qualcun altro moltitudine (ma, diremmo noi, alquanto polverizzata e molto poco classe per sé), altri ancora soggettività del capitalismo tecno-nichilista, qualcun altro bloom… Quel che è certo è che con questi frammenti di classe, con questa umanità, ci dovremo confrontare.
Non ci facciamo illusioni, siamo sicuri che vedremo tanta merda e non intendiamo in alcun modo cercare scusanti per dimensioni tanto ambigue né innamorarci di fantomatici “nuovo soggetti” di cui si vedono già anche i tratti più deteriori. Ciò non toglie che siamo però anche abituati a non fidarci passivamente delle connotazioni politico-ideologico esplicite e che preferiamo piuttosto guardare alla politicità intrinseca dei comportamenti individuali e ancor più collettivi (di pezzi di società, nel bene e nel male, che non hanno subito decenni di disciplinamento politico-sindacale alla passività e all’obbedienza). Crediamo quindi che valga la pena perlomeno di andare a dare un’occhiata e confrontarci, dove possibile, con quello che avviene a pochi passi da noi. Si potrebbero sempre fare scoperte interessanti. Non c’è molto da perdere e come dice il proverbio “ogni lasciata è persa!”.
La redazione di Infoaut_Torino
Ps: con questo spirito, di curiosità e di inchiesta, senza precluderci nulla del possibile, andremo lunedì a veder quel che succede nelle tre piazze torinesi convocate. Con noi, alcuni redattori di Radio Blackout e qualche altr* compagn* curios*. Facciamo appello alle altre redazioni di InfoAut e alle radio e ai siti di movimento affinché vadano a mettere il naso per raccontare, capire e magari influire in qualche modo su quel che ci accade intorno, anche quando non corrisponde ai nostri desideri e alle nostre prefigurazioni.
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