
Beppe Grillo e la regressione modernizzatrice

“Non c’è nulla di nuovo in borsa. Non può esserci perché la speculazione è vecchia come le colline”. (Jesse Livermore, trader arricchitosi con le crisi del 1907 e del ‘29. Morto suicida).
1. Populismo. L’Italia tra Wall Street e il Reno.
Aggiungiamo un racconto alle cronache provenienti dagli Stati Uniti che   si sono susseguite, a partire dall’autunno 2011, a causa della protesta   di Occupy. Parliamo di una insegnante, che ha perso il lavoro come i   risparmi e il suo status di classe media grazie al crack di borsa, che   incita le folle e diventa famosa per uno slogan sempre scandito nei suoi   discorsi.  Lo slogan,  cavallo di battaglia fatto proprio da  moltissimi  americani è questo: “Wall Street possiede il paese. Non  esiste più un  governo del popolo, dal popolo, per il popolo ma solo un  governo di Wall  Street, da Wall Street, per Wall Street”.
 Il vigore  oratorio di Mary Elisabeth Lease, così si chiama l’insegnante,  e  la  sua capacità di stare in piazza si fanno davvero apprezzare. Ma  ci sono  due aspetti da evidenziare. Il primo è che non si trovano tracce  della  Lease su youtube. Perché non si tratta di una attivista che  emerge  assieme alle proteste a seguito del crollo di Lehman Brothers del  2008,  o con l’esperienza di Occupy, ma di una persona comune che si  forma  politicamente sull’onda di proteste causate dalla long depression   originata dal crack di borsa del 1873. Il secondo è che la Lease è stata   un membro del  People’s Party, il primo e più grande partito populista   americano. Stiamo parlando di un partito che ha espresso governatori e   sindaci, nonché almeno un serio candidato presidenziale con   significativa presenza di deputati al congresso, e che ha lasciato una   reale traccia nella storia politica americana. Sia nei democratici, che   finirono per assorbire il People’s Party, che nei repubblicani. Una   caratteristica del populismo del People’s Party, che assorbiva elementi   contrastanti della profonda provincia americana, va seriamente   considerata anche oggi.  L’esperienza populista più importante della   storia degli Stati Uniti non si fermava infatti alle rivendicazioni   legate alla situazione agraria e finanziaria ma esprimeva due importanti   posizioni legate allo sviluppo industriale: la nazionalizzazione dei   trasporti (in questo caso le ferrovie) e delle comunicazioni (il   telegrafo).
 Alla difesa della terra, sia in senso materiale che  simbolico,  identificata con la protezione del popolo si  sovrapponeva  così la  rivendicazione della nazionalizzazione di trasporti e  comunicazioni che  unificavano un paese. Questo per dire che, usando le  parole di  Livermore, se la speculazione in borsa è vecchia come le  colline, e  genera ciclicamente crisi molto estese, il populismo che gli  si  contrappone dalle origini è un fenomeno che presenta  un simbolico,  e  una base sociale e materiale, che è sia legato alla terra che alle  forme  comunicative che connettono socialmente una nazione. In questo  senso,  il populismo del Movimento a 5 Stelle, definizione che per  Grillo “non  rappresenta un’offesa”, si definisce come una  rielaborazione istintiva  del populismo originario. Di questo tipo di  populismo americano,  nonostante l’importanza storica, si era però persa  la memoria. Specie se  si considera che, mezzo secolo più tardi, il  populismo radicale “né di  destra né di sinistra” alla Huey Long, il  governatore della Louisiana  assassinato nel ’35 diventato nemico di  Roosevelt, si basava soprattutto  su cemento, infrastrutture e revisione  del sistema fiscale. Il tema del  rapporto tra populismo e proprietà  dei mezzi di comunicazione, a  quell’epoca, forza della centralità  dell’industria, si era totalmente  dissolto.
 Il populismo, anche  quello diverso dal People’s Party e più ferocemente  radicato a destra, è  però un fenomeno molto complesso verso il quale non  si possono avere  reazioni meccanicistiche sia di rigetto che legate a  rozze ipotesi di  alleanza strumentale. Per quanto riguarda quest’ultima  basti ricordare  cosa avvenne in Germania durante l’occupazione  franco-belga della Ruhr,  intesa come riparazione dei crediti di guerra  della prima guerra  mondiale, avvenuta nel 1923. La reazione della  popolazione locale  all’occupazione straniera portò a forme di  collaborazione sul  territorio tra partito comunista tedesco e  nazionalsocialisti. Uno  storico tedesco riporta di un quadro locale del  partito comunista  tedesco, di origine ebrea, che parlando dei nazisti  affermò “oggi  dicono di lottare contro il capitale ebraico domani,  grazie al nostro  intervento, lotteranno solo contro il capitale”.  Sappiamo come è andata  a finire.
 In generale il populismo inteso come accusa, e non come  affermazione  positiva di sé tipo People’s Party, è un’arma della  critica che può  essere usata da diverse posizioni politiche.  Taguyeff  ne l’Illusione  populista (2003) marca, nel ritorno all’accusa di  “populismo” cresciuto a  partire dagli anni ‘90, proprio queste  differenti origini critiche che  riflettono l’ampiezza delle diversità  di ceppi culturali populisti.  Interessante è qui l’apertura del testo  di Taguyeff che si focalizza sul  fatto che il populismo emerge contro  schemi consolidati sia a destra  che a sinistra, ma anche contro lo  schema neoliberale e persino quello  neowelfarista. Ma, prosegue lo  storico delle idee francese, nonostante  sia molto citato da un  ventennio “la vera natura del populismo continua a  restare misteriosa”.  Natura che in Europa, per quanto indefinita, con  la nascita del  videopotere assume caratteri recepiti, da tutte le altre  culture  politiche, come nettamente inquietanti. Da quando Ross Perot,   finanziatore di Apple negli anni ‘80, si candidò alle presidenziali   americane nel 1992, ottenendo un lusinghiero 19%, in nome della   democrazia elettronica dal basso e Berlusconi vinse le  elezioni   politiche del ‘94 in Italia. Da allora il populismo, inteso come primato   etico e politico dell’insieme del popolo su  ogni altra forma   organizzata della società (secondo differenti coniugazioni, molto   diverse tra loro), oltre ad avere una natura incerta, determinata da   fattori aleatori perché non si tratta di una teoria ma di un insieme   sempre nuovo di pratiche e di valori declamati, assume su di sé il   tratto inquietante dettato dal peso coercitivo della società mediale. Da   sinistra viene così sostanzialmente interpretato come riemergere del   fascismo, mentre dal centro come una minaccia alla democrazia   neoliberale e della rappresentanza dei diritti individuali. In Italia si   tratta quindi di capire, dopo il declino del berlusconismo e la crisi   della Lega, quali sono le tipologie di populismo che si stanno   affermando entro l’attuale spazio sociale e mediale. In questo senso il   movimento 5 stelle rappresenta un punto di osservazione privilegiato.   Sia per definire le forme attuali, e in evoluzione, del populismo nel   nostro paese che i loro modi di definizione della connessione sociale   attraverso le tecnologie della comunicazione. Perché il popolo oggi,   come qualunque aggregato collettivo, o è elettronico o non  esiste. Lo   sa perfettamente Beppe Grillo quando ha messo in campo il brand di sé   stesso non su un partito classico ma su una stratificazione di fenomeni   di rete che, in nome della volontà popolare, trovano  nella forza della   connessione sociale di Internet un elemento strategico di   valorizzazione. Tutti questi fenomeni, fatti di storia tradizionale del   populismo come di sostanziali novità, se non confutano l’affermazione   per la quale il populismo resta un fenomeno controverso, ci aggiornano   la lettura di questi processi sociali nel presente e nell’immediato   futuro. Il populismo delle origini, come nel People’s party, nato come   fenomeno antagonista alla borsa e favorevole alla nazionalizzazione   delle comunicazioni trova una rielaborazione spontanea, senza riflessi   teorici diretti, in movimenti come quello italiano del 5 Stelle. Dove   l’appropriazione collettiva delle comunicazioni è immediatamente   praticata, piuttosto che attendere una qualche nazionalizzazione, e   rappresenta non una rivendicazione ma una forma paradigmatica e   imprescindibile della connessione sociale. In questo senso, si noti come   in un testo veramente interessante come quello di Keith Hart (Memory   Bank, 2011) si indichi come nella nuova antropologia della finanza si   rileva che nei comportamenti e nei riti nel mondo finanziario la mente   (l’intelligenza collettiva, i processi di astrazione, qualsiasi forma di   calcolo di inferenza o processo di spettacolarizzazione) e la moneta   sono ormai indentificate con Internet. Ancora più del telegrafo, che fu   la precondizione tecnologica per il boom della finanza mondiale della   seconda metà dell’800, Internet diviene lo stesso terreno con cui si   identificano la presenza di moneta e mente nel mondo finanziario. Non è   quindi sorprendente che in un movimento populista nazionale, come il 5   stelle, mente e moneta (addirittura alternativa) trovino localizzazione   proprio in Internet. Segno di questo spontaneo processo di   contaminazione, tra finanza e populismo, e di rovesciamento di senso di   un simbolico che assume tratti comuni persino nei processi di   innovazione oltre che nella codificazione della realtà. I tentativi di   instaurazione di una democrazia elettronica, come quello di Perot dei   primi anni ’90, trovano quindi una naturale rielaborazione in movimenti   che affermano la centralità della rete. Sono questi temi ai quali   bisogna guardare, piuttosto che a qualche angusto esempio della storia   italiana, perchè fanno parte non tanto della storia americana ma di   quella globale. E i movimenti che si formano nella rete assorbono, nel   bene e nel male, cultura globale,  non qualche forma di milazzismo o di   qualunquismo presenti nelle pieghe della storiografia politica  italiana.  Il paradosso di un populismo che assume, istintivamente,  cultura  globale è quello di una rielaborazione del “pensare globalmente  agire  localmente” che, un paio di decenni fa, si pensava ad esclusivo   appannaggio dei movimenti ecologisti. Ma, anche qui, si è dimenticato   che il simbolico della terra e la tendenza all’uso collettivistico delle   tecnologie della comunicazione è all’origine degli stessi movimenti   populisti diversi decenni prima della nascita dell’ecologismo. E dove ci   sono strumenti di comunicazione finisce per non esserci solo cultura   locale, la territorializzazione è più legata a ciò che si pensa essere   il politico. D’altronde può un movimento come il 5 stelle che usa   Facebook assorbire solo culture locali? Ovviamente no anche se la   territorializzazione nazionale dei problemi politici, in questo caso la   forma populista, funziona da strumento di selezione di quanto assorbito   dalla cultura globale.
2. Visual Rethorics: dal populismo agrario a quello ecologista e digitale
 Nel testo di John Lukacs, Democracy and Populism (2004),  si riporta un    tema che , in questo scenario, non si può assolutamente trascurare.   Lukacs, nei primi capitoli del libro, ripercorre un tema fatto emergere   dal Tocqueville de La democrazia in America: quello della democrazia   reale elettiva che, al di là delle dichiarazioni di principio, altro non   è che una forma di governo misto tra monarchia, aristocrazia e   democrazia stessa. Le immagini, spesso utilizzate dai media, del   presidente come monarca repubblicano e dei parlamentari come   aristocrazia della repubblica rendono bene la dimensione di   stratificazione sociale e i conflitti che generano le forme reali di   democrazione mista. Il populismo è quindi un fenomeno che, proprio   partendo dalle osservazioni americane di Tocqueville rielaborate da   Luckacs, assume in prima persona l’affermazione “noi il popolo” presente   nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti contro gli   elementi di aristocrazia e di monarchia presenti nella forma   repubblicana. In questo senso il blocco storico precedente all’emergere   del populismo, nel quale sono presenti forme egemoni di aristocrazia e   di monarchia, viene messo  in discussione. Ed è la forma sociale che   assume questo “noi il popolo” che determina ogni tipo di populismo che   si esprime in un periodo dato. Oppure se  questo “noi il popolo”  sia o   meno populismo. Senza escludere come sia la democrazia radicale che   l’autoritarismo possano alternativamente specchiarsi nella forma sociale   e politica del populismo.
 Cerchiamo quindi di capire le  caratteristiche antropologiche che può  assumere la forma sociale  populistica attuale. E poi, successivamente,  quella comunicativa, che  genera connessione sociale.  In questo senso  due testi sono veramente  utili: Ordinary People and the Media. The  Demotic Turn (2010) di  Graheme Turner e Defining Visual Rhetorics (2004)  a cura di Charles  Hill e Marguerite Helmer. Ma andiamo per gradi,  cominciando dal Demotic  Turn di Graeme Turner e dalla sua importanza per  capire la forma  sociale del populismo contemporaneo. Non prima però di  definire un  passaggio storico, molto utile per capire il grillismo:  quello che  marca la differenza tra il populismo agrario e quello  ecologista  digitale. Dove il populismo che si richiama alla sovranità  del popolo,  tecnologicamente mediata, in ogni momento opera una sorta di  continuo  stato di emergenza rovesciato dove la legittimità risiede  nella  rappresentazione della volontà dal basso e non nella ragion di  stato.  Poi se gli effetti di questo stato di emergenza che si fa  permanente  sono rovesciati, rispetto alle premesse formali, è altra  questione. Del  resto, come scriveva Luhmann, il paradosso è la forma  contemporanea  con la quale si affermano gli elementi costituenti e  procedurali delle  organizzazioni di ogni tipo. Ma va evidenziato che il  paradosso che  permane nel populismo, anche in quello autoritario che  esprime forme di  cesarismo, è quello di riprodurre lo stesso conflitto  latente nelle  forme miste della democrazia contemporanea. Si tratta del  paradosso di  non poter sopprimere, al proprio interno, il conflitto  della sovranità  popolare, contro le trasfigurazioni dell’aristocrazia e  della monarchia  residuali ma fortemente presenti  nella forma  repubblicana e  democratica.
 Ernesto Laclau ne La ragione populista (2008) fissa  efficacemente gli  idealtipi novecenteschi del populismo. In  quest’ottica retrospettiva non  è appunto da sottovalutare il potere  simbolico della terra, che rimanda  a un’idea più complessiva di  connessione sociale e quindi a un concetto  originario di popolo,  presente nei populismi agrari. Ma, per uscire dal  ‘900, non è da  dimenticare come diverse culture ecologiste, anche loro  malgrado,  abbiano nutrito un populismo di tipo nuovo o comunque fatto  inquadrare  l’ecologia in modo diverso. Si guardi, ad esempio come il  tema  ecologico è trattato da Grillo e dal movimento a 5 stelle. In modo   tecnicamente populista, i temi ambientali sono immaginati come   sottoposti direttamente a giudizio popolare anche in fase amministrativa   e non solo deliberativa. In un dispositivo di comunicazione politiche   che prevede sia la rete come  strumento di deliberazione, comunicazione  e  informazione che il brand Grillo come potere simbolico di attrazione   complessiva. Ed  è in questo modo che si tende a riproporre, in forme   mutate, lo stesso schema della democrazia mista che si tenta di mettere  a  crisi. Dove la volontà popolare sta nel referendum, l’aristocrazia   negli utenti skilled della rete e la monarchia nel detentore in ultima   istanza del brand Grillo.Ma è anche vero che, operando in questo modo,   l’ecologia (come altri issue fondamentali dei nostri tempi, ad esempio   il reddito di cittadinanza) entra in un paradigma politico del tutto   nuovo. Che oltrepassa quello sostanzialmente illuminista, sullo stato   del pianeta, che pretendeva di convincere ogni strato sociale   dell’urgenza dei temi ambientali grazie all’universalità del proprio   messaggio. Per immettersi in uno dove il tema ecologista, che tocca il   simbolico della terra e quindi l’idea originaria di un popolo   organicamente connesso, è il terreno di scontro, e di affermazione,   della volontà popolare contro i residui aristocratici e monarchici   presenti nella attuale democrazia. L’elemento tecnologico, la   sovrapposizione di piattaforme comunicative comprese quelle   tradizionali, entra così direttamente in connessione sia con la   sovranità popolare che con l’immaginario della terra. La democrazia   populista che si vuole dal basso, e che rimane impigliata in elementi   aristocratici e monarchici, si contrappone così alla vecchia   aristocrazia e monarchia presenti nella società.
 Questa ritrovata  dimensione populista si sovrappone quindi ad un  sostrato antropologico  nuovo, o se si preferisce ad una mutata  concezione dell’insieme  sociale, e ad una dimensione trasformata della  comunicazione politica  (e quindi delle modalità di connessione sociale).  Demotic Turn e Visual  Rethorics non ci spiegano a caso questi fenomeni.  Il primo testo,  quello di Graheme Turner, ci spiega consapevolmente la  forma sociale  del nuovo populismo. Il demotic turn  è infatti la  rappresentazione  sociale egemone della ordinary people , profondamente  radicata nelle  culture popolari attuali (che sono prevalentemente  digitali). Una  rappresentazione che esce da diversi decenni di  narrazioni mediali,  compresa la loro recente rielaborazione del web   2.0, dai reality,  dalla continua compenetrazione tra star system e  gente ordinaria (che  crea il linguaggio popolare sulle star), dai  microfoni aperti alle  trasmissioni radiofoniche, dalle miriadi di  rappresentazioni di tutto  questo nei cellulari sugli smartphone, dal  riflesso di questa egemone  dimensione simbolica nella vita quotidiana.  Ecco quindi le forme di  connessione sociale del nuovo populismo nella  rappresentazione della  ordinary people, forme che sono profondamente  innestate nelle nuove  figure del lavoro precario e instabile. Il “nè di  destra nè di  sinistra” di Grillo, un classico del populismo vecchio  quasi quanto la  destra e la sinistra, guarda quindi a questa  rappresentazione italiana  della ordinary people, alle sue forme di  connessione simbolica e quindi  in una pluralità di piattaforme mediali  che elaborano identità valide  anche per le figure sociali del lavoro. In  Turner c’è però differenza  tra dimensione demotic della  rappresentazione della vita quotidiana e  il populismo. Nel senso che la  prima è la dimensione impolitica,  quotidiana, diffusa, della  rappresentazione –  e della pratica –  quotidiana della ordinary people.  Mentre il populismo è la  rappresentazione politica di questa dimensione  della ordinary people  che può assumere forme autoreferenziali dettate da  vere e proprie forme  di strategia dell’odio che emerge dal basso. Il  demotic turn in Turnes  rivela così, oltre ad esprimere un linguaggio e  un simbolico di  connessione (e quindi complesso), il proprio sottofondo  emotivo fatto  di rancori, timori, pulsioni collettive che emergono  proprio  nell’incontro delle rappresentazioni della vita ordinaria con i   linguaggi e la simbolica della politica. In questo contesto, di   mutazioni nel simbolico e nei linguaggi collettivi, le forme della   persuasione politica cambiano anch’esse radicalmente. E’ il tema del   collettaneo Visual Rhetorics (2004) dove la retorica, intesa come   tecnica (e oggi tecnologia) politica della persuasione e della creazione   di consenso, assume forme nelle quali la dimensione visuale e   dell’immagine risulta essere predominante proprio nell’ottica della   corretta rappresentazione del demotic turn, fenomeno di simbolizzazione   egemone del cittadino ordinario.
 La capacità della ordinary peopole  di usare e stravolgere, o di  recepire, simboli e immagini della  società mediale che la rappresenta è  il nuovo livello della  comunicazione politica di un populismo differente  dalle forme sociali  del passato. Il suo potere di persuasione retorica  visuale, e quindi di  attrazione di masse, altro non è che un’inedita  forma di comunicazione  collettiva sulla quale si basano le istanze  populiste. Il brand  Grillo, la rete nella quale il movimento a 5 stelle  nuota come  l’esercito nella famosa citazione di Mao altro non sono che  la forma  italiana di queste mutazioni nella connessione e nella  rappresentazione  sociale che, come notiamo, sono state prima di tutto  registrate nella  cultura globale.
E’ quindi da considerare il fatto che in Populism And The Mirror Of Democracy (2005) di Francisco Panizza il populismo si rinnova come espressione di profonde trasformazioni sociali e come paradossale cifra di esigenze nuove della società. Il richiamo alla volontà originaria del popolo altro non è che la dimensione simbolica che legittima, permette e tiene assieme tutte le differenti trasformazioni sociali che emergono in una società. Grillo è proprio questo: il veicolo simbolico che permette, ad una società mutata (anche solo negli ultimi cinque anni), instabile, fortemente differenziata di esprimersi attraverso il linguaggio del tradimento della volontà originaria del popolo. Allo stesso tempo, proprio perchè questa volontà originaria esprime il linguaggio della mutazione, il populismo presenta i tratti della modernizzazione. Un modernizzazione promossa dalla ordinary people, una democrazia ordinaria.
3. Conclusione. The Making of Moral Person, una regressione modernizzatrice.
 In una Gran Bretagna scossa dal thatcherismo, nel mezzo della   scomposizione sociale operata dal neoliberismo, Stuart Hall si trovò a   dover commemorare il cinquantesimo anniversario della morte di Gramsci.   Ne uscì, su Marxism Today del giugno 1987, un importante articolo   “Gramsci and us” che è utile sia per capire le dinamiche sociali e   politiche della Gran Bretagna dell’epoca ma anche quelle successive, ad   esempio l’ascesa di Berlusconi, nel nostro paese. Davvero un’operazione   di rilettura di Gramsci in Inghilterra che finisce per tornare di  nuovo  utile anche in Italia. Quali sono le analisi su Gramsci e la  Thatcher da  parte di Hall che sono utili anche per noi ad oltre un  quarto di secolo  da quell’articolo?
 Curioso, almeno per il lettore  italiano di oggi, che Stuart Hall  definisca il thatcherismo come il  ritorno alla società di mercato “verso  la quale non avremmo mai pensato  di tornare dopo gli anni ‘30”. Ritorno  che è stato favorito, in Stuart  Hall, dalla capacità del fenomeno  Thatcher di scomporre parte della  società britannica facendo leva  sull’autorità popolare promossa da un  altro settore di società, quello  desideroso di registrare le mutazioni  del mondo britannico entro un  autoritarismo tradizionale. E’ questa  fusione di elementi di novità e di  vecchio autoritarismo che Hall  chiama, rielaborando direttamente il  lascito gramsciano sulla  rivoluzione passiva, una “regressione  modernizzatrice”.   Modernizzatrice perchè registra e incoraggia la  dinamica della nuova  differenziazione sociale dell’Inghilterra degli  anni ’80, in un paese  che si avviava a consegnare metà del Pil interno  ai servizi finanziari,  e regressione perchè legittima politicamente una  gerarchia  autoritaria, con al vertice la figura moralizzatrice di  Margaret  Thatcher, che spazza le vecchie forme della democrazia  partecipativa.   Riproducendo una nuova democrazia mista di una società  mutata, con una  “monarchia” ben salda al potere, come esito dell’ondata  populista  chiamata a supporto della figura moralizzatrice della  Thatcher. Il  berlusconismo, in fondo, non è stato molto differente: ha  spazzato via  le forme di democrazia precedenti, ormai agonizzanti,  ristrutturando la  società italiana verso una nuova democrazia mista.  Democrazia che  “semplificava” la presenza dei partiti e delle forze  sociali  organizzate entro un populismo televisivo che faceva leva sulle  novità  della società italiana per come erano uscite dagli anni ’80. Con  la  differenza, significativa, che Berlusconi non ha mai rivestito alcun   ruolo moralizzatore. In questo senso Grillo rappresenta, sul piano   simbolico, quella svolta moralizzatrice a lungo chiesta dalla società   italiana. Si potrebbe parlare di una economia morale istituzionale   richiesta dalla società italiana, ma è un tema da affrontare a parte.
 La questione da farsi è quindi evidente. Il populismo di Grillo può   rappresentare una nuova regressione modernizzatorice della società   italiana? Può affermare un nuovo tipo di democrazia mista, come la   Thatcher o Berlusconi, contro la precedente?
 Il populismo della  Thatcher e quello di Berlusconi hanno avuto,  questione morale a parte,  due caratteristiche in comune. La capacità di  evocare e mobilitare una  ordinary people di tipo nuovo, quella uscita  dalla scomposizione  sociale precedente, e quella di rappresentare un  nuovo tipo autoritario  di democrazia. E persino quella di costruire una  nuova retorica  visuale, Berlusconi si spiega da solo ma qui la Thatcher è  tutta da  scoprire, in grado di catalizzare tutte le forme di  differenziazione  sociale interessate a contribuire ad una nuova stagione  populista.
 La regressione (nelle forme della democrazia reale ma anche del vivere   sociale) modernizzatrice ( attuata grazie al protagonismo di nuovi   settori di società) era così servita. Una democrazia ordinaria, quella   della ordinary people intesa come sciame di massa di una forte   leadership simbolica, che conteva una ristrutturazione autoritaria della   democrazia mista presente nel precedente assetto capitalistico della   società. Del resto non si è mai vista una ristrutturazione delle forme   del potere, anche se verso l’alto, di una società senza forti elementi   di novità.
 La traiettoria politica futura del movimento a 5 stelle,  entro questo  scenario, va probabilmente ipotizzata su tre possibilità.  Tutte  probabilmente visibili dopo la chiusura della fase costituente  del  movimento. Si sa, dopo le fasi costituenti (quelle aperte) si  aprono  quelle della specializzazione, della chiusura delle possibilità  per  garantire un percorso politico definito. In questo senso il  sostrato  antropologico profondo delle società contemporanee oppone, ai  movimenti  che si costituiscono, tre grandi campi di forza. Il primo è  legato ad  una rapida dissoluzione a causa della forza della complessità  sociale (è  accaduto a molti movimenti nell’ultimo quarto di secolo),  il secondo  definisce un sostrato antropologico politico di destra  (quindi lo  specializzarsi verso la concentrazione delle risorse  materiali e  politiche nei rami alti della società) il secondo è un  sostrato  antropologico di sinistra (dove la dialettica politica e  sociale tendono  alla redistribuzione delle risorse).
 La retorica  ufficiale in questi processi conta poco: ci sono forze  politiche  ufficialmente “nè di destra nè di sinistra” che hanno risposto  ad un  sostrato antropologico di destra e persino forze politiche dalla   retorica ufficiale di sinistra che, di fatto, sono sopravvissute solo   garantendo la concentrazione della ricchezza per pochi.  La democrazia   mista contenuta nel grillismo è di tipo nuovo, come abbiamo visto,   impone una nuova retorica visuale e quindi innova anche sul piano dei   linguaggi e dei comportamenti politici. Ma anch’essa dovrà fare i conti   con i campi di forza, fatti delle radici stesse delle società   contemporanee, che impongono o una dissoluzione o una specializzazione,   un approfondimento di pratiche e comportamenti. O verso destra, perchè   le società si stabilizzano anche con una distribuzione ineguale delle   risorse destinando potere alla concentrazione di ricchezze, o verso   sinistra in una dinamica egualitaria e redistributiva. In ogni caso il   passaggio da un tipo di democrazia mista all’altro, tramite il   populismo, troverà una specificazione e un chiarimento.
 Insomma, per  Grillo è possibile un futuro di veloce dissolvimento oppure  alla  Berlusconi o alla Mary Elisabeth Lease. Sono opzioni completamente   diverse ma che mostrano anche il tipo di scelte, in un senso o in un   altro, che si imporranno nella società italiana al superamento  da   questa fase di sgretolamento di aggregazioni sociali e di partiti usciti   da un ultimo ventennio ormai non più riproponibile.
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