Bombe a Bruxelles, la Siria nel cuore dell’Europa
Sui media mainstream si riattiva la retorica del terrorismo come una sorta di calamità naturale, imprevedibile e devastante. Il primo ministro belga, nelle prime dichiarazioni rilasciate alla stampa ha parlato di “Due attentati ciechi” e gli attacchi sono declinati sui media di tutto il mondo attraverso il registro della “follia assassina”. Una retorica che è sempre funzionale al tentativo d’impedire di tirare anche le più elementari conclusioni dal susseguirsi di eventi degli ultimi mesi: in Siria è in corso una guerra, alimentata, strumentalizzata, nascosta e agitata dalle potenze occidentali e dai loro alleati petro-monarchici del Golfo. Dopo cinque anni, 330’000 morti e cinque milioni di sfollati bussa con sempre più insistenza nel cuore dell’Europa. Un’ovvietà che dovrebbe essere il punto di partenza onesto di qualsiasi ragionamento sulla fase che attraversiamo.
Invece di ricostruire la sequenza che ci ha portato alla catastrofe in cui viviamo, gli attentati diventano degli episodi clinici: il terrorismo è una malattia, ci dicono i nostri governanti, lo stato di polizia è la cura. Stato di polizia che si rivela, per l’ennesima volta, incapace di aver la minima incisività nell’impedire le stragi, nonostante i finanziamenti generosamente elargiti a tutti gli apparati di sicurezza dai governi dei vari stati europei, nonostante le nuove leggi “anti-terrorismo” redatte alla lettera secondo le pretese degli apparati di intelligence e nonostante le limitazioni alla libertà di espressione, di circolazione e di manifestazione applicate in questi mesi di Stato di emergenza (per difendere le nostre libertà, bien sûr!).
L’Europa paga, tra l’altro, le conseguenze di una strategia che dagli attentati di Parigi nel Novembre scorso si è mostrata più attenta ai feedback dei sondaggi che alla volontà di combattere lo Stato Islamico. L’ignobile accordo sui migranti concluso pochi giorni fa con il padrino, principale alleato e appoggio logistico di Daesh, la Turchia, conferma la priorità dei capi di stato europei. Bisogna accontentare la destra xenofoba nella sua crociata contro una presunta “invasione” di rifugiati, anche al prezzo di sdoganare uno dei principali protagonisti di quell’Islam politico che a parole infesta gli incubi dei vari adepti della retorica dello scontro di civiltà. Tutto purché tengano le facce scure lontane dalla nostre coste e dalla vista del nostro elettorato. Un’alleanza, firmata col sangue dei migranti, che ha come effetto anche quello di isolare ulteriormente l’unica opzione politica realmente alternativa all’ISIS, quella dei curdi, che stanno subendo una repressione feroce da parte di Erdogan con bombardamenti e operazioni di polizia che continuano senza sosta da dicembre scorso.
In questo contesto, gli accorati appelli alla difesa della libertà e della democrazia europee suonano quanto mai fuori luogo e fischiano come fastidiosamente ipocrite anche nelle orecchie più abusate. Il loro complemento, ben più attrattivo a livello dell’opinione pubblica, è quello della guerra di religione. Più che uno spettro, una sponda necessaria per uno Stato islamico che spera che la stigmatizzazione dei musulmani in Europa porti a quello scontro di civiltà che eccita in egual misura jihadisti e razzisti. E le scene che ci arrivano da Molenbeek con i cani usati dalla polizia contro la popolazione come nelle peggiori cartoline coloniali, non lascia presagire nulla di buono.
Resta l’urgenza di costruire una nostra opposizione a questa loro guerra, fatta di droni e attentati, che da Bruxelles a Raqqa continua a fare solo i nostri morti.
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