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Catalogna, la rivolta di chi non ha più paura

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Proponiamo un’intervista ad un compagno catalano curata dalla redazione di Levante -Testata dal basso.  

Quando scriviamo questo articolo si è appena concluso il quinto giorno (e la quinta notte) di mobilitazione in tutta la Catalunya contro la decisione del tribunale supremo di Madrid di condannare ad oltre cento anni di carcere (la pena più alta all’ex vice presidente della Generalitat, il parlamento catalano, Junqueras condannato a tredici anni) diversi esponenti di varie realtà politiche istituzionali della Catalunya per quanto avvenne fra il 20 settembre e i primi di ottobre del 2017. Fra i condannati anche due leader sociali come Jordi Cuixart e Jordi Sanchez (“i Jordis”), entrambi per 9 anni, per essere stati i volti pubblici delle mobilitazioni che hanno portato al primo ottobre 2017.

Riepilogando brevemente i fatti: un tentativo democratico di secessione dello stato Catalano da quello Spagnolo (le ragioni storiche e politiche di questo sono diverse e proveremo ad affrontarle dopo) venne brutalmente represso dalla Guardia Civìl. L’apice avvenne durante il referendum sull’indipendenza del 1 ottobre 2017, quando centinaia di migliaia di Catalani si recarono alle urne per votare a favore o contro l’indipendenza. Un voto che venne sporcato dal sangue con la polizia spagnola nel cuore di quell’Europa che si dichiara liberale e democratica. Senza farla troppo lunga e retorica: venne impedito il normale svolgimento del referendum con arresti e scontri. Ciò nonostante il popolo catalano andò a votare e si pronunciò, in larghissima maggioranza, a favore dell’indipendentismo.

Una dichiarazione d’indipendenza unilaterale e mai riconosciuta dallo stato centrale Spagnolo, all’epoca governato dal PP di Mariano Rajoy, che anzi attuò una serie di arresti dei rappresentati politici delle istituzioni catalane e costrinse il presidente del parlamento Catalano (Puidgemont) alla fuga all’estero. Da lì un lungo iter giudiziario, politico e di mobilitazione che ha portato alle condanne della scorsa settimana. Nel mezzo ci sono stati vari scioperi generali in Catalunya per la libertà dei prigionieri politici, manifestazioni oceaniche e, per quanto riguarda lo Stato Spagnolo, diverse tornate elettorali con vari governi traballanti a guida PSOE.

Siamo alle condanne, dunque, dei nove rappresentanti delle istituzioni politiche catalane. Condanne durissime che vanno dai nove ai tredici anni di carcere (carcere che già stanno scontando, tra le altre cose, da due anni) per sedizione e sollevazione tumultuosa. Immediata è scattata la protesta in tutta la Catalunya: un nuovo sciopero generale, centinaia di migliaia di persone in piazza, strade, autostrade e aeroporti bloccati, scontri e barricate in varie città.

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La questione ha poi, come spesso accade, avuto una ribalta internazionale grazie ad avvenimenti sportivi. E’ stata infatti rimandata, a data da destinarsi, la partita fra Barcelona e Real Madrid che doveva svolgersi il weekend prossimo al Camp Nou di Barcelona per motivi di ordine pubblico. Un evento, probabilmente, senza precedenti e che ha attirato sulla questione catalana le attenzioni di un pubblico ancora più largo rispetto a prima almeno fuori dai confini.

Sullo sfondo di tutto ciò le nuove elezioni politiche fissate per il 17 novembre. Attualmente il parlamento spagnolo è a guida PSOE, in coalizione con Podemos seppur provvisorio e, come si direbbe da noi, di transizione a nuove elezioni. Inutile dire come la questione catalana sia al centro del dibattito della campagna elettorale. L’ultradestra di Vox chiede la linea dura (ha recentemente dichiarato di aver denunciato e richiesto l’arresto di Torra attuale presidente della Generalitat) così come il PP, mentre l’atteggiamento del PSOE ha scontentato tutti: gli “spagnolisti” che chiedevano una mano maggiormente forte da parte dello stato centrale di Madrid contro i catalani e gli indipendentisti che speravano in un cambio di rotta rispetto alla chiusura totale del precedente governo guidato da Rajoy.

Per parlare di tutto questo abbiamo deciso di intervistare un compagno catalano che sta assistendo alle mobilitazioni in corso, per farci spiegare la situazione e le ragioni storiche dell’indipendentismo.

1) Innanzitutto partiamo dalla fine: cosa sta succedendo in questi giorni a Barcelona e in tutta la Catalunya?

Da lunedì scorso quando si è resa pubblica la decisione del giudice di condannare politici e leader sociali catalani ci sono state mobilitazioni ogni giorno nelle 4 capitali di provincia catalane e anche nelle città e nei paesi più grandi. Il primo giorno si è preso l’aeroporto del Prat, si sono bloccate le autostrade in diversi punti del territorio, anche nei giorni successivi, e si sono organizzate marce a piedi con migliaia di persone verso Barcellona per partecipare alle manifestazioni.

Di fronte ad un livello di repressione mai visto in democrazia, la gente si è decisa ad uscire in strada verso una mobilitazione permanente. Io direi che siamo arrivati ad un punto in cui il popolo ha detto basta. Si sono schierati con la lotta dai più vecchi ai più giovani. Ovviamente gli studenti hanno avuto un protagonismo attivo nella parte più conflittuale di queste mobilitazioni, con scontri ogni sera per 6 giorni non stop nelle città più grosse. Stiamo parlando di ragazzi e ragazze che non hanno nessun futuro vedendo il progressivo deterioramento dei diritti sociali in uno stato che si dimostra ancora l’erede della dittatura franquista, e dunque non hanno niente da perdere. Quindi non stiamo parlando soltanto di indipendenza ma di un futuro migliore in una società più giusta, democratica e solidale, poiché si è dimostrato che viviamo in un sistema fallito. Inoltre si sono viste delle manifestazioni di solidarietà con la Catalunya in diversi punti dallo stato spagnolo, immagini che sono veramente emozionanti per tutti quelli che stiamo vivendo questa situazione in prima persona.

Poi abbiamo assitito anche a vedere come gruppi di decine di neofascisti uscivano per strada a cercare di attaccare manifestanti con bastoni e coltelli davanti la passività della polizia che, invece contro i manifestanti ha attuato con estrema violenza.

Al giorno d’oggi le cifre sono di 201 detenuti, di cui 28 in carcere preventivo, 593 feriti, tra cui diversi giornalisti e 1 poliziotti, e 4 occhi “persi” per proiettili di gomma.

2) Ci puoi dire qual è stato il percorso politico e di mobilitazione dal 1 ottobre 2017 (giorno del referendum indipendentista) ad oggi? Abbiamo assistito ad un continuo attivismo sul tema quando molti pensavano che, represso il referendum, tutto si sarebbe lentamente sgonfiato. Evidentemente non è stato così.

Dopo l’1 d’ottobre 2017 è iniziato un periodo molto incerto. All’inizio ci sono state delle grosse mobilitazioni e scioperi contro la repressione della polizia, che ha agito in modo brutale contro la gente che voleva votare. Poi con la detenzione dei politici catalani e di Puigdemont in Germania (poi in Belgio NDR) ci sono state anche delle intense mobilitazioni spontanee. Ma dopo i primi mesi e anche vista la divisione tra i principali partiti catalani indipendentisti il movimento si è a poco a poco calmato. Ovviamente sonno rimasti i cortei de l’11 settembre (festa nazionale catalana) e altri tipi di attività sociali ma sempre in un piano più festivo e io direi addirittura folkloristico. Certamente però, queste attività popolari hanno permesso che la fiamma non si spegnesse, come abbiamo visto questi ultimi giorni in cui il popolo intero si è alzato in un modo più vivace e attivo come, appunto, chiede la situazione d’emergenza attuale.

Dal mese di settembre scorso si è costruito (e costituito) un nuovo movimento “anonymous” chiamato Tsunami Democràtic, protagonista della mobilitazione di lunedì all’aeroporto. Questo movimento fa delle convocazioni esclusivamente su telegram. Ma in realtà l’attivismo si è rivolto verso un movimento molto più spontaneo e autonomo. Dobbiamo vedere ancora come prosegue lo sviluppo di questa piattaforma che pretende lanciare delle azioni in momenti chiave per generare una mobilitazione continua, lunga e sostenuta.

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3) In Italia abbiamo avuto un partito dichiaratamente secessionista (la lega nord, prima della svolta sovranista di Salvini). Il loro però era un movimento che aveva ben poche radici storiche e politiche e ha finito, in qualche modo, per macchiare nell’immaginario collettivo i movimenti indipendentisti nel mondo. Puoi spiegarci, in breve, le ragioni storiche e politiche dell’indipendentismo catalano?

Il movimento indipendentista catalano non c’entra niente con quello della Lega. Il nostro obiettivo è stato sempre quello di una lotta nazionale strettamente collegata alla lotta sociale. Vogliamo un nuovo paese, sí. Ma per costruirlo dall’inizio in una società più giusta, più avanzata e dove si rispettano i diritti delle persone. Questo in Spagna non c’è mai stato. Con le condanne che abbiamo visto la settimana scorsa, con persone innocenti condannate a decine di anni di carcere, si è chiaramente dimostrato per l’ennesima volta.

Le radici storiche de la lotta catalana sono in realtà molto antiche, ma per riassumerlo, possiamo distinguere come punto di partenza la caduta di Barcellona di 1714 nella guerra di successione spagnola vinta dalla Casa di Borbone, quella più conservatrice rispetto a quella di Austria. Filippo V di Borbone dopo la sconfitta degli ultimi resistenti in Catalunya ha demolito le istituzioni catalane, il parlamento e il governo autonomo e ha instaurato il divieto delle tradizioni culturali e la lingua catalana. Curiosamente più di 200 anni dopo, nel 1939, alla fine della Guerra Civil, il governo fascista di Franco ha fatto esattamente lo stesso.

In realtà il popolo catalano è stato sempre un popolo ribelle, e quindi ha preso sempre la peggior parte in uno stato assolutamente centralizzato che ha tentato sempre di castigare le differenze nel proprio territorio e che non ha mai permesso la dissidenza politica.

4) Il 17 novembre in Spagna ci saranno le elezioni del parlamento centrale di Madrid. In che modo la questione catalana sta influenzando il dibattito e quali sono le varie posizioni dei partiti in campo?

In realtà non sono così diverse tra di loro. Da una parte abbiamo la destra classica del Partido Popular, la destra liberale di Ciudadanos e l’Ultra destra di Vox che chiede applicare l’articolo 155 della costituzione che permette la sospensione da parte del governo centrale del governo autonomo catalano. Dall’altra c’è la socialdemocrazia del PSOE, che, senza volere applicare questo articolo, ha virato a destra le sue posizioni per accalappiarsi un elettorato più moderato. Quindi sono due facce della stessa medaglia. In terzo luogo c’è Podemos, che sta tenendo un atteggiamento ambiguo sulla questione. Da una parte dichiara di voler tenere un referendum in Catalunya ma in concreto non ha mosso passi in questa direzione.

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“Lì fuori c’è la questione catalana in attesa” -” Digli che non ci sono” 


5) Attualmente qual è la risposta dello Stato Spagnolo? Ci sono segni di “cedimento” di fronte alle proteste o permane la linea dura?

Nessun atto di cedimento. Lo stato rimane impermeabile alle domande del popolo catalano. Infatti oggi il presidente spagnolo Pedro Sanchez è venuto a Barcellona per visitare in ospedale il poliziotto ferito (a fronte di 593 manifestanti feriti, più tutti i politici catalani in carcere). Il presidente catalano, Quim Torra, ha chiesto un tavolo di trattativa con il governo centrale spagnolo da lunedì scorso, richiesta che non ha mai avuto risposta. Nella sua visita a Barcelona il presidente spagnolo non ha voluto incontrare quello del parlamento Catalano, dimostrando così un’ulteriore chiusura sulla questione.

6) So che non è una domanda facile perché i fenomeni sociali e politici mutano velocemente e non sono sempre di facile lettura ma come pensi si evolverà la questione da qui ai prossimi mesi?

Non saprei dirlo. Le tensioni politiche e sociali sono molto forti. Secondo me siamo arrivati ad un punto di non ritorno, nel senso che la gente ha perso la paura e questo non si era mai visto prima. Mi risulta difficile poter dire come finirà, ma quello che è sicuro è che peggio di come stavamo non lo saremo più.

 

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