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Catalogna, si rimescolano le carte nei palazzi e in piazza dopo l’impasse per Puigdemont (Pt.2)

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Sia a livello giudiziario che politico che poliziesco l’aggressività delle istituzioni spagnole è divenuta la quotidianità in Catalogna.

È La cartina tornasole di un semplice assunto: la rottura dell’ 1 ottobre non è sanabile e si entra in una fase di scontro molto alta che sta facendo mostrare alle classi medio-basse catalane la mancanza strutturale delle élites neoliberali e della piccola borghesia da un lato di poter e voler portare avanti le richieste programmatiche richieste dai cittadini, sotto forma referendaria ed elettorale, di rifiuto del giogo spagnolo e creazione di una nuova identità statuale e/o Repubblica nazionale catalana che abbia a perno la ricerca dell’equità sociale.

Dall’altro lato è l’1 Ottobre a determinare la risposta reazionaria dello stato spagnolo che senza una ribellione di massa estesa ad altri territori della penisola iberica continuerà ad andare avanti con arresti, soppressioni, impiego militare e dello stato profondo come sta facendo ora con le forzature giuridiche che stanno facendo carta straccia del patto costituzionale post-franchista. D’altronde, il tutto rientra in una fase in cui sostanzialmente la destra storica e quella “neo-populista” di C’s hanno svuotato per quanto possibile l’importanza del parlamentismo a suon di ostruzioni e colpi di coda. Una regressione democratica che si completa a livello sociale con la Ley Mordaza applicabile arbitrariamente a tutti i campi della vita, dai commenti sul web considerati offese ad apparati dello stato o filo-indipendentisti, ad artisti censurati, a nuove proposte per criminalizzare ogni forma di protesta che si raduni di fronte ai Parlamenti, dopo quanto successo a Barcellona le settimana scorsa.

In questo avvitamento, i cuscinetti saltano al saltare degli accordi, considerati inaccettabili, tra forze (stato-governo spagnolo con governicchio catalano), e producono altri livelli di scontro tra un’entità in sé eminentemente repressiva e invasiva e un’altra ad ora piu’ marcatamente socio-culturale che ha bisogno di autodeterminarsi e organizzarsi per resistere e respingere. Questa spinta non può lasciare immuni le governance neoliberali nel territorio catalano, come visto in fieri l’1 ottobre e il 3 ottobre, che han portato alla tensione massima la figura di Puigdemont come voce e traditore al tempo stesso della sua gente. L’erosione in atto non sta lasciando indifferenti ed è passibile di nuove accelerazioni dello scontro; non è un caso che dentro le ramificazioni locali dell’ANC si comincia a pensare a una ripresa della mobilitazione autorganizzata e che rompa la tempistica della dialettica istituzionale. E al contempo i CDR continuano a crescere e iniziano a pensare da loro al ritorno alla mobilitazione dal basso. Partendo dall’accettazione sostanziale da parte di alcune parzialità della galassia indipendentista dell’incapacità strutturale della politica rappresentativa potrebbero sbocciare istanze liberogene per la società catalana e quella spagnola come miglior contrappeso all’ idea-Stato e di disconoscimento delle nazioni che in questo si sta articolando; questo di pari passo all’ inizio di una nuova ipotesi di Govern, senza precedenti in Europa, con un presidente a Bruxelles sostituito nominalmente da un altro parlamentare a Barcellona, una assemblea affrancata dal Parlamento capace di sostituirlo effettivamente in caso di reiterazine del 155, e centinaia di assemblee territoriali legate a questa a doppio filo.

Leggi anche:  Catalogna, si rtimescolano le carte nei palazzi e in piazza dopo l’ impasse per Puigdemont

 

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