Catalogna, tra incertezza e tensione generale la regione si avvicina al 21-D
Si cominciano a surriscaldare animi e toni in questa anomala campagna elettorale in Catalogna.
Tra i meeting delle formazioni politiche e i tam-tam mediatici, questa settimana ha visto alcuni elementi di scontro da segnalare. In primis, la partita delle rappresentanze politiche è tesa e di non facile soluzione. La sensazione è che la governabilità della regione sia vista, sia in Catalogna che nello stato iberico, come qualcosa di estremamente complicato a prescindere dai risultati elettorali. I quali propenderebbero per un sostanziale equilibrio fra i blocchi, con l’ala fedele alla base madrilena di Podemos come passibile ago della bilancia di eventuali successive coalizioni. Frattanto si iniziano a mettere in campo ulteriori mobilitazioni per la liberazione degli esponenti indipendentisti in carcere, ritenuti “prigionieri politici”: figure-chiave della partita elettorale insieme a quella di Puigdemont, che dovrà sciogliere le riserve riguardo il suo ritorno dal Belgio, con le eventuali conseguenze penali che ne deriverebbero.
Da un lato l’attacco sferrato a tutto campo dal Governo di Madrid con l’utilizzo politico a orologeria del Tribunale Supremo e di quello Costituzionale a partire dall’assenso all’applicazione dell’articolo 155 ha dismesso il Govern, andando secondo molti giuristi oltre i criteri della stessa legalità spagnola, con i suoi principali rappresentanti (nonché candidati) in arresto o esilio.
Dall’altro lato appare piuttosto evidente che il centralismo e l’autoritarismo incarnato in Catalogna principalmente dal protagonismo propagandistico di Ciudadanos, fiancheggiato de facto dal PSC in molti distretti, non avrebbero vita facile per governare e emendare immediatamente la regione, se non con forzature amministrative, burocratiche, financo militari. Le quali alimenterebbero però l’ostilità di fondo in seno ai ceti popolari dopo che questi (particolarmente i lavoratori di origine non catalana) paiono intenzionati a votare il partito di Rivera.
Non è un caso che da Madrid Rajoy e i suoi continuino, probabilmente anche per controllare il travaso di consenso dal loro partito allo stesso Ciudadanos, a parlare a suon di dichiarazioni pubbliche di reiterazione dell’articolo 155, con destituzione delle capacità amministrative e commissariamento arbitrario da parte dello Stato sulla regione in caso di netta affermazione indipendentista e di continuazione delle politiche che le stesse formazioni independentiste hanno forzatamente etichettato “pro-repubblicane” come si era assistito all’indomani del 1 Ottobre.
Un 1 Ottobre che resta scolpito nella memoria e nei discorsi pubblici a Barcellona e dintorni. Il comune di Girona ha di fatto approvato il cambiamento del nome della sua piazza centrale in Plaça 1 Octubre, sostituendo Piazza Constituçiò. Curioso il comportamento dei rappresentanti socialisti (PSC) della città in questo caso, che hanno appoggiato la mozione, salvo poi dire che si erano confusi. Un segnale evidente di quanto sia difficile nelle amministrazioni territoriali portare avanti le linee dei partiti centrali, e di come le carte si rimescolino continuamente, in maniera confusionale, dopo anni e anni di rafforzamento dell’identità anti-spagnola in seno sia alle classi popolari che nelle amministrazioni stesse.
Non hanno dubbi su che parte stare e come direzionare le loro indicazioni i grandi aggregati imprenditoriali e finanziari dell’alta borghesia catalana. Per loro, il 21-D bisognerà rifuggire l’instabilità e la paralisi costituzionale, rigettando ogni proposito espresso dal blocco indipendentista. E’ un bis dell’atteggiamento tenuto dopo l’ 1-O, che trova le sue motivazioni nelle ingenti fughe di capitali, aumento della disoccupazione e perdite di reddito e PIL generalizzati che seguirebbero la vittoria indipendentista. In questo articolo di Pùblico si trovano maggiori precisazioni a riguardo.
Non si nasconde inoltre la simpatia delle grosse corporazioni industriali per Inés Arrimadas, candidata di Ciudadanos e di famiglia franchista. Una garanzia insomma, che potrebbe venire scelta in massa dal ceto medio meno progressista della regione. Una campagna centralista giocata dunque sul richiamo alla parola d’ordine della stabilità, che sicuramente il blocco independentista non può esprimere, e che lo stesso carattere “eccezionale” di queste elezioni constata.
Una delle sintesi che si può provare fare consiste nel profilarsi di una partita che, al di là di ogni sbandierata logica democraticista, vede giocare “il ripristino della legalità come affermazione dello stato centrale in tutti gli aspetti della riproduzione sociale e politica catalana ” contro una “modificazione dell’ordinamento politico esistente che porterebbe a un maggiore potere contrattuale dei catalani nei cofronti delle istituzioni della monarchia spagnola”. In questo contesto, l’ ambivalenza della mozione indipendentista dopo l’ondata emotiva di Ottobre appare in tutte le sue sfaccettature e complessità. D’altronde, all’ interno della convulsa e a tratti incontrollabile espressione del sentimento “indipendentista” ci troviamo ora in quello che potrebbe essere il preludio a una nuova fase di scollatura tra divergenti interessi di classe.
Puidgemont, aldilà del consenso che potrebbe ricevere come conseguenza della logica dirimente del rifiuto verso il potere dei partiti unionisti, è sicuramente il portatore della chiusura delle élites “indipendentiste” verso le istanze sociali. In nome della sacralità delle sua figura politica di rappresentante della Catalogna verso lo Stato Spagnolo, e di catalizzatore del discorso politico, egli infatti ha precluso l’apertura di un dibattito “costituente” allargato come parte della base elettorale stesso domandava e auspicava. Non una parola su uguaglianza, miglioramenti delle condizioni nei posti di lavoro, redistribuzione di ricchezza, reddito e welfare è stata scandita dai principali candidati indipendentisti di quella che fu la coalizione JuntXSì, se non da alcuni candidati di ERC.
Istanze sbandierate invece dalla CUP, che parrebbe orientarsi verso una coagulazione di forze con i fuorisciti dall’orbita di Podemos in Catalogna, così come dalla stessa formazione della Colau, che da un lato rivendica ancora l’ indecisionalità di parteggiare tra blocco del 155 e blocco sovranista, e dall’altro non pare avere ad ora capacità mobilitativa se non a colpi di slogan nei confronti della empasse istituzionale tra Stato Centrale ed (ex) autonomia regionale catalana, seppur con un prezioso e ricco dibattito interno all’opzione municipalista nelle sue assemblee di base.
Chiaramente, l’opzione plurinazionale dettata da Iglesias con un muro contro muro evidente tra lui e le formazioni indipendentiste è parte di questa campagna elettorale, ma diverrà ineludibilmente tematica sociale nel contesto post-21. Alcuni episodi all’interno del clima di tensione crescente in Catalogna verso le elezioni possono essere esemplificativi da una parte del livello dello scontro tra Stato e amministrazioni, e dall’ altra delle articolazioni dello stato stesso verso la popolazione.
Uno di questi, che ha avuto molta risonanza, è stato quello della confisca l’11 Dicembre delle Opere di Sixena conservate nel museo di Lleida, per essere riportate al loro luogo “di origine”. La Guardia Civil è entrata in prima mattina per la confisca delle opere. Grosso il dispositivo poliziesco, e all’ esterno cariche dei Mossos per disperdere la protesta contro lo spostamento delle opere di Sixena, visto come un abuso di potere e un affronto bello e buono all’ interno della “questione catalana”. Dopo le cariche, il Comitato di Difesa delle Repubblica di Lleida ha organizzato diversi concentramenti in più punti stradali della città, per denunciare l’accaduto e rallentare il più possibile lo spostamento dei camion con le opere. L’attuazione poliziesca è avvenuta dopo che il Tribunale Supremo aveva cassato il ricorso con la documentazione che accreditava la “proprietà” catalana dei documenti di Sixena. Sta di fatto che questo episodio è diventato un moloch da un lato per i partiti unionisti per far intendere come si voglia proseguire con un pugno duro su tutti i fronti nella regione, mentre per i partiti del blocco indipendentista è stato mostrato come un segnale evidente di cosa succederebbe in caso di vittoria dello schieramento avversario.
Ma ci sono stati anche altri casi. Ad esempio a Barceloneta, dove quattro passanti staccano da una finestra una bandiera catalana, e vengono segnalati da un passante il quale viene aggredito dagli stessi quattro per aver contattato i Mossos. I quali poi appurano che i quattro erano dei funzionari della Guardia Civil in borghese..Nel frattempo, nei quartieri popolari di Barcellona, si sono registrate tensioni tra gruppi antifascisti e bande fasciste che, dall’inasprimento della partita con lo Stato centrale, hanno aumentato il volume delle loro azioni intimidatorie in un contesto di beneplacito dei partiti della destra spagnola.
Il tutto mentre non si placano i dubbi e le polemiche verso la scelta dello stato di rivolgersi a Indra, società multiservizi, per il conteggio delle schede elettorali il 21D. Una impresa tristemente nota per clamorosi casi passati di inadempienza e conteggio “incerto” nelle ultime elezioni spagnole come in altre precedenti in paesi del Sud America. Una impresa nominata senza alcun altra possibilità di scelta concorrenziale, e che risulta compartecipata al 18 per cento dallo Stato stesso. In questo contesto, Anomymous ha rilanciato una seconda parte dell’Operazione Catalunya messa in campo nei giorni del referendum dell’1 Ottobre partendo dal boicottare proprio i domini web di Indra, mentre CUP e i Comitati di Difesa della Repubblica proliferati in questi mesi assicurano un riconteggio parallelo delle schede.
All’interno quindi di uno schema di massima imprevedibilità, ci si avvicina rapidamente al prossimo giovedì, in cui si scriveranno altre pagine delle frastagliate vicende catalane.
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