Chi aiuta chi? L’ Alternanza-Scuola-Lavoro e la grande farsa delle politiche sull’occupazione in Italia
Ripubblichiamo questo testo di Francesca Coin, pubblicato originariamente su Effimera, sul tema dell’alternanza scuola-lavoro e sulle tante piccole e grosse bugie da smentire rispetto a eventuali lati “positivi” di un provvedimento che va colto nel suo carattere anche biopolitico e di “educazione allo sfruttamento”.
“Piccoli snob radical-chic”, è questa la formula usata dal segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli per definire gli studenti scesi in piazza contro l’Alternanza Scuola-Lavoro. Ne avessimo sentito l’esigenza, potremmo affiancare a questa definizione un’altra perla, quella di Giancarlo Loquenzi, giornalista di Radio 1, che ci ha tenuto a precisare che gli studenti impiegati nell’alternanza non sono “schiavi delle aziende”, ma più semplicemente persone da aiutare in quanto “non in grado” anche semplicemente di “arrivare puntuali, […] comprendere la struttura gerarchica dell’ufficio, fare un caffè come si deve, ricordarsi il giorno dopo delle cose che gli erano state dette il giorno prima”.
Eccoci rivelata la ratio di tutti i recenti provvedimenti in tema di lavoro e giovani, dalla Legge di Bilancio approvata il 16 ottobre all’Alternanza Scuola Lavoro, il programma disciplinato dagli articoli 33 – 44 della legge 107/2015 (La Buona Scuola), che prevede sulla carta di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, mentre nei fatti rischia di rivelarsi la più grande creazione di lavoro gratuito obbligatorio mai esistita in Italia. La logica dichiarata è “aggredire quello che è il nemico più temibile dell’Europa di oggi, e della nostra società, cioè la disoccupazione giovanile”, ma il problema della disoccupazione in queste narrazioni non viene ricondotta alle caratteristiche macroeconomiche della realtà, come sarebbe corretto fare, ma al carattere delle nuove generazioni: alla profonda inettitudine dei giovani odierni e alla loro resiliente inedia, quella maledetta anda radical-chic di chi non si sa nemmeno allacciarsi le scarpe.
In un contesto siffatto, la strategia principale del governo per creare occupazione è coerente con la motivazione sopra riportata. Per creare occupazione non servono investimenti, sembrano aver pensato al governo, basta pagare le aziende affinché si facciano carico del reale problema della nostra società: i giovani.
Vediamo dunque chi aiuta chi, nelle attuali politiche del lavoro in Italia, e prendiamo il caso specifico dell’Alternanza Scuola lavoro. Nel contesto attuale, essa:
In questo contesto, è evidente che la retorica con la quale il governo assicura che “sta aiutando l’occupazione e i giovani” non nasconde solamente una narrazione indigesta e completamente pretestuosa oltreché inadeguata a descrivere il mercato del lavoro in Italia, nel quale le competenze dei giovani lavoratori sono fortemente eccedenti rispetto alle competenze richieste dal mercato del lavoro italiano – come dimostra un qualunque rapporto Almalaurea. La politica degli sgravi e della decontribuzione ha una finalità più profonda: artefare consenso e impedire lo sfaldamento delle relazioni tra le imprese e lo stato, in una fase storica nella quale il tessuto produttivo è messo a dura prova dal perdurare della crisi economica e dall’assenza di investimenti.
Vale la pena ricordare che negli anni della crisi il sistema delle imprese italiane ha ridotto i propri investimenti in modo estremamente significativo. Il rapporto Sivmez 2015 parla di “crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria in senso stretto, ridottisi dal 2008 al 2014 addirittura del 59,3%, oltre tre volte in più rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (- 17,1%). Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -47,4% al Sud e del – 55,4% al Centro-Nord; in agricoltura, (-38% al Sud, quasi quattro volte più del Centro-Nord, -10,8%). Quasi allineata nella crisi la dinamica dei servizi: -33% al Sud, -31% al Centro-Nord”.
Non solo, ma la crescita dell’occupazione ha risentito fortemente della decontribuzione promossa dal governo, mostrando un rallentamento nella dinamica occupazionale quando l’incentivo si affievoliva. La “ripresina”, inoltre, è stata agevolata dal basso livello del prezzo dei prodotti petroliferi e dalle politiche monetarie accomodanti derivanti dalle politiche europee. In questo contesto, questa ripresa di cui si è tanto parlato somiglia assai più a una farsa per mettere in scena la quale il governo paga le aziende per nascondere dietro a un consenso pagato a caro prezzo dalla collettività la produzione di lavoro non pagato. In uno scenario del genere, non si intravede all’orizzonte alcun reale motivo per aspettarsi un’inversione di rotta quando verranno meno le condizioni congiunturali che hanno favorito la lieve ripresa di questi mesi.
Al contrario, vi sono varie ragioni per attendersi un ulteriore deteriorarsi delle condizioni di lavoro e un aumento della pressione al ribasso quando verrà meno il quantitative easing in un contesto privo di investimenti e caratterizzato dal crollo della domanda interna e dalla proliferazione del lavoro non pagato. È evidente che sarebbe il caso di cambiare politiche prima che questo accada, perché allora non basteranno le acrobazie della classe politica né i venditori di fumo per nascondere l’irrimediabile crescita della povertà e del malcontento sociale.
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