Quei giovani di cui vendere cara la pelle
Considerazioni sulla condizione giovanile parlata da altri.
Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vender cara la pelle
Il monologo di Francesca Fagnani a Sanremo porta in prima serata su RAI1 il tema del carcere minorile, parlando di Nisida la giornalista di Belve in un passaggio sottolinea “Lo Stato non può esistere solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze dell’ordine, deve combattere la povertà scolastica, offrire pari opportunità ai più giovani. E’ una questione di democrazie, uguaglianza e rispetto della Costituzione. Lo Stato deve essere più sexy dell’illegalità. In Italia la prigione serve a punire il colpevole, non a educare né a reinserire nella società.” Un inedito interesse scatenato tra le altre cose anche dalla fiction Mare Fuori, una sorta di High School Musical ambientato in carcere che segue un’operazione di normalizzazione di questo come contesto in cui si sviluppano storie d’amore, di amicizia e litigi adolescenziali come in un qualsiasi altro luogo di socializzazione, rendendo il tutto perlomeno sconcertante. Nel frattempo a Torino per esempio l’occupazione di una scuola viene trattata dal preside di ambienti sinistrorsi come un attacco fascista e squadrista al diritto di studiare da parte di giovani che immediatamente perdono il loro status di studenti per trasformarsi nei temibili tagliagole dei centri sociali, il sottosegretario Giovabattista Fazzolari le spara grosse nel vero senso della parola, millantando di insegnare ai giovani studenti a sparare e nei progetti di alternanza scuola-lavoro toccherà andare dentro basi Nato per imparare strategie militari…
A Torino un recente fatto di “cronaca” occupa le prime pagine di tutti i giornali locali, sgominata la “gang” che ha lanciato dai Murazzi la bicicletta che ha drammaticamente colpito un giovane tutt’ora in coma. Questa mattina due penne di indiscussa finezza, punte di diamante della Busiarda quando si tratta di vomitare il disgusto sulla sofferenza altrui con atteggiamento morboso, pubblicano sulla prima pagina il copia incolla dell’ordinanza del Gip in merito alla decisione della custodia cautelare in carcere del gruppo di giovani. Lo stesso giudice nell’esprimere le motivazioni sottolinea alcuni aspetti che indicano la voragine di miopia e contraddizione nel rapportarsi alla fascia giovanile. Non manca il rimprovero alle famiglie “incapaci di educare” tra le righe che vanno alla ricerca del rimorso. Una nota va spesa anche per l’allarmante presagio di un’epidemia di biciclette lanciate dai ponti della città che i nostri giornalisti non perdono tempo a rintracciare come il nuovo leitmotiv delle prossime settimane di disinformazione impunita.
In questa tragedia non una parola che si chieda perché. Chiaro che non esista giustificazione davanti a un gesto come questo, ma come sia possibile che dei giovani apparentemente uguali a tanti altri arrivino a tanto, qualcuno dovrebbe domandarselo. Se da un lato il moralismo di sinistra, pronto ad essere raccolto da un PD alla ricerca di consensi nella ritrovata attenzione alle vicende di malagiustizia, è soddisfatto delle belle parole che sottolineano l’inesistenza di rieducazione all’interno di un sistema punitivo come il carcere, dall’altro lato il sistema sociale rappresentato da chi assume un ruolo formativo nella nostra società riproduce violenza e condanna la gioventù ad essere costantemente criminalizzata, infantilizzata, disciplinata e controllata.
Dichiarare il riconoscimento di una società che ha fallito significa, per l’apparato rappresentato dalla generazione cresciuta negli anni 60 e 70, dichiarare il proprio fallimento personale. Significa assumere che la scuola non è il primo luogo che permette la ricerca di possibilità, di scrivere il proprio futuro in modo diverso rispetto a ciò che le condizioni socio economiche di provenienza imporrebbero, anzi. La scuola è l’aspirazione fallita di chi trent’anni fa aveva il privilegio di immaginarsi un ruolo, una valorizzazione nell’itinerario capitalista delle proprie vite. Significa dichiarare l’inadeguatezza dei codici, l’incapacità di guardare oltre i propri regolamenti e discipline che inseguono inutilmente l’obiettivo di tenere sotto controllo le esplosioni di rabbia, di violenza e di insofferenza di chi è giovane oggi.
La delega agli apparati di polizia e della pena di un ambito come questo è il sintomo della completa cecità nei confronti di un orizzonte al quale aspirare, il carcere per gli adolescenti e i giovani degli anni 2020 diventa quasi tappa obbligata, che tu sia uno studente che manifesta che tu sia un giovane che vive di espedienti o che fa della violenza tra pari una pericolosa valvola di sfogo. Questo perché non c’è alternativa legittima all’adeguarsi allo sfruttamento, alle pressioni per avere una funzione all’interno dell’ingranaggio del profitto. O sei disponibile ad andare in guerra con le armi spuntate per conto di qualcun altro che guadagnerà sulla tua vita oppure sei immondizia.
Ancora una volta davanti a un panorama come questo le lotte non possono che essere unica possibilità, come antidoto, per la costruzione di autonomia, di riscatto, di esigenza di trasformazione. E anche di scontro generazionale.
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