Crisi Crocetta: cosa combina il PD in Sicilia?
“Cosa succede in Sicilia”: così vengono aperti, da quasi tre settimane, articoli e servizi giornalistici sull’ ulteriore crisi del Governo regionale e della giunta Crocetta. Già le dimissioni di tre assessori nelle ultime settimane – tra cui proprio quella Lucia Borsellino che sarà poi il casus belli della crisi del governatore – avevano agitato le acque e fornito i pretesti perché all’interno della giunta si potesse riparlare, come al solito, di “rimpasto” e di “allargamento” delle alleanze per risolvere “l’ emergenza”. I malumori interni al PD e le opposizioni dentro la giunta hanno fatto il resto, inducendo il PD ad annunciare una ancor maggiore apertura ai deputati UDC e ad eventuali nomine degli stessi in caso di riformulazione della maggioranza. Dopo appena due giorni dalle ultime eccellenti dimissioni (Borsellino) il settimanale L’Espresso pubblica le ormai famose presunte intercettazioni in cui pare che il governatore Crocetta, in una conversazione con l’illustre dirigente ospedaliero e amico Tutino (protagonista dello scandalo sulla sanità che portò alle dimissioni proprio la Borsellino), stesse in silenzio di fronte la constatazioni di questi a proposito del fatto che l’Assessore alla sanità, Lucia Borsellino appunto, avrebbe dovuto fare “la stessa fine del padre”. Dopo qualche giorno, con accelerazioni e dietrofront sulle dimissioni del governatore, l’intercettazione viene dichiarata “inesistente” dalla Procura di Palermo. Pare così probabile che, nella terra dell’antimafia da cosmesi utilizzata come fine strumento politico, la pubblicazione della presunta intercettazione, non a caso uscita a meno di una settimana dall’anniversario della strage di Via D’Amelio, avesse come vero obiettivo un’ipoteca sul governo Crocetta. Il fine, probabilmente architettato da una regia nazionale (renziana), dunque pare essere quello di portare la Sicilia al voto anticipato, magari in contemporanea con le amministrative della prossima primavera (molto meglio che in solitaria e senza “nomi forti” già questo autunno), così da far dimenticare in fretta un difficile e ormai impopolare mandato-Crocetta arginando, al contempo, il possibile avanzamento elettorale dei CinqueStelle. Una sfida difficile per un PD governante in emorragia di consenso così come ci hanno dimostrato proprio le ultime amministrative comunali di maggio vinte nettamente (ai ballottaggi) dal M5S.
Settimane convulse dunque nella Sicilia renziana. Al momento si vive una fase di stallo, nell’attesa di una assemblea regionale del PD il 3 agosto; se pare che un accordo sia stato raggiunto e registrato il rifiuto del sedicente “combattente Crocetta” di presentare le dimissioni, l’impressione, è che si andrà avanti ancora per qualche mese. Intanto il governatore assumerà tutti i tratti mediatici e i toni del “perseguitato” perché omosessuale o perché simbolo di quella stessa antimafia che ha tentato di scalzarlo in virtù del suo essere scomodo (?). Chissà che la mossa non si traduca in qualche recupero di consenso. La stessa dirigenza PD si è mostrata divergente rispetto alle possibili vie d’uscita: dalle morbide parole di Renzi che hanno sottolineato semplicemente l’importanza di risolvere la situazione, fino all’incapacità di schierarsi con decisione per dimissioni immediate a casa propria quando queste sembravano inevitabili (prima delle smentite della Procura), sta facendo correre lasciando la situazione abbastanza irrisolta. Certo, a partire dalle parole di Faraone (il vero regista del Pd in Sicilia) la capitolazione di Crocetta sembra semplicemente rinviata; ma il clima in giunta, appare diverso. Se non negli intenti e nei fatti, la strategia di Crocexit orchestrata dalla sede romana del Pd non sembra raccogliere pieni consensi a palazzo D’Orleans. Insomma, sono davvero tutti convinti all’interno della giunta e dell’Assemblea Regionale sia questa la scelta giusta? E’ possibile piuttosto, che invece lo scandalo sia stato armeggiato per dare più spazio alla corrente renziana a palazzo D’Orleans e che il PD voglia incrementare i suoi assessori all’Assemblea Regionale in seguito a un “rimpasto”della giunta? Da quello che vediamo il caos e l’incapacità di costruire, sia un percorso di traghettamento alle urne, sia, l’emergere di una figura solida alternativa a Crocetta per il prossimo mandato, regnano sovrane. Ma procediamo con ordine.
Il modo migliore per far fuori Crocetta o ridimensionare il peso dei suoi fedelissimi in giunta, non poteva che essere quello di colpirlo attraverso la stessa arma dell’avversario interno: quella dell’antimafia. Far inciampare in una discussione telefonica, che buttata in pasto all’opinione pubblica assume inevitabilmente un alone di “mafiosità” e il conseguente sdegno di siciliani e italiani, vera o falsa che sia, non poteva che accelerare l’epilogo di quest’amministrazione, almeno così fatta. Un’amministrazione che in questi quasi tre anni di mandato è incorsa in ben due crisi di maggioranza, ma soprattutto sono tante le contraddizioni di governance generate da crisi, liberalizzazione e sfruttamento capitalistico del territorio in cui è incorso il governo Crocetta; responsabilità/necessità neoliberiste: da quelle di impoverire e latrocinare i territori e chi li abita l’attuale governatore non si è mai tirato indietro. Andando oltre i giochi di palazzo fatti di “rimpasti”, la schizofrenia tra una campagna elettorale giocata su un tavolo (beni comuni, antimafia, “rivoluzione”) e un’amministrazione di tutt’altra pasta, sembra attraversare l’intera azione di governo: si pensi alla “revoca delle revoche” in rapporto al movimento e alla vicenda Muos, la crisi della raffineria Eni di Gela (peraltro vecchia roccaforte elettorale del governatore) e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro in Sicilia negli ultimi 4 anni, e non ultime le concessioni per le trivellazioni al largo della costa sud e nel Canale di Sicilia. Esempi, questi, di scelte che sgretolano incredibilmente il consenso elettorale e la fiducia con la quale Crocetta era stato eletto. Come già accennato, a suggellare una tale crisi di rappresentanza, la sonora batosta elettorale dove il M5S raggiunge percentuali importanti espugnando roccaforti del PD e del governatore come Gela. Se poi si guarda all’ultimo anno di amministrazione, oltre alle suddette elezioni, i disastri tanto paradigmatici quanto umilianti della A19 (la Palermo-Catania) e i circa 20,000 tra precari e lavoratori che attendono ancora gli investimenti di una Finanziaria approvata a Maggio per avere assicurata una continuità di reddito, allora si intendono al meglio le difficoltà su cui una direzione nazionale del PD vorrebbe immediatamente mettere una pezza, senza rischiare di mandare una Regione tanto importante (per numero di elettori e quantità di flusso di denaro) come la Sicilia, sola a elezioni nel 2017 con davanti un nono anno di crisi che si presenta più difficoltoso dei precedenti da normalizzare. Ma c’è un però, almeno ci sembra di coglierlo.
Si, perchè nonostante le enormi difficoltà di governance e gestione politica del consenso, Crocetta rimane comunque un maestro di mediazione e populismo politico difficilmente sostituibile, e che in fin dei conti, nonostante si sia già scatenata la bagarre per la sua successione in caso di elezioni anticipate (tra i papabili Bianco, sindaco di Catania, o Raciti, attuale segretario regionale PD), è riuscito in questi anni ad aprire a enormi privatizzazioni del territorio facendo gli interessi di aziende, multinazionali e del governo centrale e a mantenere la possibilità di sfruttamento di migliaia e migliaia di lavoratori e precari, senza nessun sostanziale e/o preoccupante contraccolpo sociale (in una terra non nuova a sorte di sollevazioni popolari spurie ed eterogenee di grande rottura sociale come i Forconi). Così, forse, quella che è stata la volontà iniziale di far fuori Crocetta, si sta pian piano rimodulando in una sostanziale riformulazione di governo regionale in cui la corrente renziana faccia da padrona con un sempre più sostanziale sostegno Udc. L’incontro romano di riconciliazione tra Crocetta e PD alla presenza di Guerini in facoltà del premier lo scorso 24 luglio, e lo stanziamento di 500 milioni di euro dal governo centrale per dare finalmente copertura al bilancio siciliano di quest’anno (conditio sine qua non che diversi deputati, lo stesso Presidente Ars Ardizzone ritenevano indispensabile per andare ad elezioni anticipate) ci parlano di questo, e di un post Crocetta difficile da immaginare. A complicare il tutto, anche la necessità comune a quanto pare a tutte le correnti interne al PD, di non dare alcun spazio all’interno del partito ad altre e minoritarie ma pericolose correnti, come quella dell’onorevole Fabrizio Ferrandelli; che in questi giorni, dimessosi, cavalca i sempre più vincenti, elettoralmente parlando, slogan contro la corruzione della casta politica (M5S docet) che gli stanno già dando non poca visibilità mediatica.
Insomma, una situazione parecchio ingarbugliata e tutta in divenire in cui ognuno tira dalla sua parte per assicurarsi un posto o una supremazia in giunta o all’interno dell’Assemblea Regionale, ma in cui l’unico comun denominatore sembra la volontà di non dare l’ennesima batosta alla rappresentanza istituzionale, in generale, dell’Isola, verso cui i siciliani mostrano una sempre maggiore distanza e indifferenza. Indispensabile poi per il PD, come in tutto il quadro nazionale del resto, sembra dover recuperare terreno elettorale nei confronti di un inarrestabile M5S che della Sicilia, con le sue proposte per un reddito sociale e le campagne anticasta, sta quasi facendo una sua roccaforte. In generale, un PD che sta giocando tutte le sue carte in territori che se sono i più sfruttati (tra precari, disoccupazione e lavoro nero), quelli su cui si investe meno (persino nelle infrastrutture indispensabili come le autostrade!) ma in cui il liberismo e la svendita territoriale succhiano più risorse e fanno più profitti, sono anche quelli dove maggiore e in maniera più accelerata si mostra e potrebbe mostrarsi una irreversibile e profonda crisi della rappresentanza, e dove fenomeni politici di possibile (?) trasformazione istituzionale come il M5S, possono assumere grande portata e successo elettorale. Soprattutto in vista di un difficile autunno sospinto da possibili venti antieuropeisti e antiausterity che soffiano dalla Grecia. Ne sapremo di più il 3 di agosto.
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