Elezioni in Ungheria: stravince Orban, aumentano i neonazi
La distanza con gli altri sfidanti è enorme: più di 20 punti dalla ‘Coalizione democratica’ (social-democratici, sinistre varie, liberal, centristi), che ottengono solo un 25,9% contro il 20, 7% dei nazisti di Jobbik che incrementano significativamente il consenso (16,7 nel 2010) tra l’elettorato reazionario ed euro-impaurito . Solo un 5,2% agli gli ecologisti verdi-liberali dell’LM.
Il responso delle urne conferma un’Ungheria tutta a destra, il partito di Orban essendosi trasformato da variante locale del conservatorismo cristiano-liberale in partito compiutamente reazionario, xenofobo e antisemita. Orban riesce così a capitalizzare – alimentandolo – il sentimento diffuso anti-europeista che qui fa rima secca con i più biechi sentimenti razzisti e sessisti. L’aumento dell’estrema destra del partito spiccatamente neonazista Jobbik funge infatti più che da pungolo, come rinforzo politico della versione edulcorata, clean del partito di maggiornanza. Preso tra due fuochi, si fa per dire (Fidesz ha ricevuto l’esplicito appoggio del Partito Popolare europeo), Orban ha saputo utilizzarli entrambi per farne sintesi: presentabile in Europa e critico (a parole) degli eccessi di Jobbik ma garantito comunque dalla loro affermazione a non concedere nulla alla sinistra riformista.
Certo hanno contato molto le condizioni di svolgimento della campagna elettorale, che hanno permesso al premier una superiorità non attaccabile: assenza di confronti televisivi, niente spot dei partiti nelle tv e radio private o sui giornali, primato di presenze del partito di governo nei canali tv pubblici. E ovunque gigantografie col suo volto, retaggio di una comunicazione politica c he continua a funzionare in molte latitudini.
Ma sarebbe riduttivo interpretare in termini puramente liberticidi la vittoria di questa destra ungherese che piace tanto a Lega e Front National e che sembra avere molti tratti simili con l’esperienza della stagione di Haider nella Carinzia austriaca: riforme liberiste dure coniugate con una certa tutela degli interessi nazionali (quindi parziale redistribuzione), investimenti industriali, euro-scetticismo senza disdegnare cospicui fondi di coesione dell’Ue, insieme ai massicci investimenti d’eccellenza tedeschi (Audi, Mercedes, Siemens), giapponesi e coreani.
I dati economici sembrano per ora dare ragione a Orban: aumento dell pil, calo di deficit e disavanzo pubblici, miglioramento delle valutazioni finanziarie internazioanli con un rating del paese che da negativo passa a nei giudizi dell’agenzia Standard&Poor. Un mix accorto e furbetto che sa sfruttare la particolarità della collocazione politica, geografica e produttiva del paese (nella divisione europea del lavoro), che fa la voce grossa contro l’Europa (e l’euro) ma mantiene importanti rapporti commerciali-industriali con la Germania e la benedizione/supporto dell’ex Cancelliere Helmut Kohl.
Al centro del successo, una spregiudicata abilità nel muoversi tra le odierne contraddizioni segnata dalla crisi e la costituzione ‘politica’ dell’Europa: proprio interpreteando in maniera oroginale questi contrasti il popolar-xenofobo Orban ha saputo affermarsi nel cuore destrorso del proprio paese. Partendo da una dichiarazione chiara e foriera di ampi consensi: l’Europa non è desiderabile a qualunque costo…
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