Europee 2014: commenti sul voto italiano
La vittoria mancata di Beppe Grillo
di FRANCO PIPERNO (Commonware)
Per paradossale che possa sembrare, la sconfitta di M5S deriva a perpendicolo dal privilegio accordato da Grillo e Casaleggio,ormai da molti mesi,alla campagna elettorale – divenuta via via se non la sola certo la principale attività pubblica del movimento, alla quale ricondurre ogni altra iniziativa. Promettere la rottura del sistema etico-politico dominante tramite la cattura del consenso elettorale degli onesti, prima d’essere un ossimoro, è un “bluff” qualche po’ irresponsabile, destinato ad essere facilmente scoperto.
A memoria d’uomo, gli onesti, in quanto tali, non hanno mai fatto una rivoluzione, non è cosa loro; in Italia poi l’impresa risulta ancora più improbabile, dato, che morto don Gallo, gli onesti sono rimasti solo tre – sotto soglia secondo il precetto biblico.
Un tratto inusuale ed intrigante dei discorsi originari di Grillo è stato quel suo negare la democrazia rappresentativa, quel rievocare la democrazia diretta come una alternativa praticabile “qui ed ora”.
Ma, all’atto pratico, M5S ha confuso la democrazia diretta con la sua caricatura americana: la democrazia “elettronica”, ovvero scambiare informazioni a distanza, abitare il non-luogo.
La democrazia diretta vive di partecipazione corporea; e questa partecipazione può svolgersi, si svolge solo localmente, nei luoghi comuni. Niente o quasi ha fatto M5S per costruire le istituzioni locali della democrazia diretta e federarle tra di loro.
Senza questa cooperazione tra i luoghi, qualsiasi critica del sistema parlamentare dal suo interno viene masticata e digerita dal sistema stesso come uno dei tanti programmi di governo – considerata giustamente come una manifestazione della libertà politica che il sistema parlamentare autorizza.
Insomma, nel deputato che critica il parlamento non si realizza né la democrazia diretta né rappresentativa ma la degenerazione di quest’ultima, il parlamentarismo.
Va da sé che la severa contrazione del consenso per Grillo non è certo dovuta ad una divergenza dell’elettore sulla interpretazione del concetto politico di democrazia. Intendiamo piuttosto constatare come l’addomesticamento delle idee radicali provocato dalla necessità di catturare il consenso, ha finito col fare emergere anche tra i penta stellati la passione triste del governare, omologandoli al ceto politico, ai difetti intrinseci, dirò così ontologici, della rappresentanza – il più grave dei quali è lo “statalismo”, l’illusione cognitiva che pretende di sostituire la politica con la macchina dello stato, con il governo degli uomini.
È facile prevedere che, proprio per la sproporzione tra l’importanza conferita alla consultazione elettorale e i risultati ottenuti, M5S entrerà in una fase critica; e rischia di uscirne male. Tuttavia, poiché le vie del Cielo anche se non infinite sono assai numerose, può anche accadere che M5S divenga saggio, impari dai propri errori, si rialzi e riprenda il suo cammino originario, la buona stella che ci fa sperare.
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Ha vinto Renzi. Il berlusconismo è risorto, più forte e più bello che pria. Grazie. Prego
di Lanfranco Caminiti (Gli Altri)
L’astensionismo non ha sfondato. Più di metà degli elettori che non votano non è certo un “dato fisiologico” (sarebbe come dire che la disoccupazione giovanile al 45 per cento è fisiologica), ma non è un valore sufficiente per parlare di delegittimazione del parlamento europeo.
L’affluenza europea è nella media delle votazioni precedenti, sempre in calo, cioè, ma benché in alcune nazioni importanti (Olanda, Gran Bretagna) ci siano state punte notevoli di non-voto, in altrettante nazioni importanti (Germania, Francia) c’è stato addirittura un aumento dei votanti. La sovrapposizione fra voto europeo e voto “nazionale” non è stata solo una prerogativa italiana: vale per la Francia, la Germania, la Spagna, la Gran Bretagna, la Grecia (a proposito, auguri a Tsipras). E non poteva essere altrimenti, è uno dei “sensi” del voto di cui l’elettore si riappropria ed esercita: protestare, approvare, investire, ritirare. Paradossalmente, però, è forse proprio dove l’astensionismo raggiunge cifre altissime (in Polonia, nella Repubblica ceca, in Finlandia, in Svezia, in Gran Bretagna) che si può misurare lo “stato dell’arte” dell’Europa. Benché i numeri dei seggi sembrino dare una maggioranza inevitabile alla Grande Intesa tra popolari e socialdemocratici, cioè a un governo di stabilità, l’Europa esce indebolita. L’asse franco-tedesco è in crisi, e la stabilità europea è tutta sulle spalle della Germania.
L’Unione europea che esce dal voto è ancora più tedesca, anzi è tedesca in solitudine. C’è da immaginare, e anche da sperare, che la Merkel dovrà tenere conto di questo.
Quanto all’Italia, la polarizzazione dello scontro fra Renzi e Grillo ha funzionato, cioè ha mobilitato. Grillo, forse malgrado lui, è stato funzionale al sistema politico, nel senso che avergli (ed essersi) costruito addosso la figura dell’«uomo nero» ha finito con lo spostare buona parte del voto di centro e moderato verso Renzi, e riassorbire una parte del voto di protesta in libera uscita. Il voto “contro” è una componente significativa del proprio comportamento elettorale, e questo voto si è caratterizzato alla fine “contro Grillo” e attorno al Pd.
Renzi rappresenta la stabilità del sistema politico italiano tutto (come ha già argutamente osservato Casini in tempi non sospetti). Questo è il suo ruolo, questa è la sua chance. L’ha giocata bene. Ha vinto. Ha vinto senza avere fatto nulla. A parte gli 80 euro. Vince quindi il renzismo, ovvero la prosecuzione del berlusconismo con gli stessi mezzi.
Vince un bisogno di stabilità, piuttosto che di cambiamento, o di stallo o di crisi. Proprio il contrario dell’ultimo voto politico. Non credo dipenda dalle maggiori o minori stupidaggini di Grillo, o dalle maggiori o minori furbate di Renzi: questo è il segno che gli elettori hanno voluto dare.
C’è un uomo solo al comando. Benché sia stata evocata, questa non è la Democrazia cristiana. La Dc aveva cento cavalli di razza e mille correnti, e almeno venti uomini capaci di fare cinquanta governi diversi con ministri e squadre diverse, garantendo continuità di governo. Renzi non è la Dc.
Non lo è perché questa non è l’Italia dello sviluppo ma l’Italia della crisi. Perché questa non è l’Italia dell’alleanza atlantica e dell’impero americano.
Questa è l’Italia di un’Europa che arranca. Appunto.
Cercate – lo suggerirei sommessamente ai vari commentatori politici che si sfregano le mani, io non voglio gufare, io voglio battermi – di non essere così provinciali da ubriacarvi di vittoria (e Clinton, e Blair, e l’unico leader in Europa che può tenere testa alla Merkel, ma davero?)
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Il boom di Renzi riorganizza il blocco conservatore
di Pino Cabras (MegaChip)
Il PD renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore mentre crolla l’analoga funzione berlusconiana
L’Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L’Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell’austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell’azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura. In altri paesi (come in Germania, in Polonia e in Italia) ha funzionato una sorta di tradizionale “riflesso d’ordine” in favore del governo. Altrove, come in Grecia e in Spagna, si è rafforzato chi sta a sinistra del PSE. Ovunque si coglie una qualche tendenza netta, ma è dovunque peculiare.
Anche il risultato italiano è straordinariamente netto. Il PD renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore nel momento in cui crolla l’analoga funzione berlusconiana, tenendosi all’interno una porzione ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra. Una sorta di DC 2.0 che ritorna alle percentuali del PCI nelle regioni rosse, prende il doppio dei voti dell’opposizione a cinque stelle e tenterà di dare l’impronta decisiva alla Terza Repubblica, promettendo un dinamismo riformatore, sempre di richiamo nel paese del Gattopardo.
Chi scrive non aveva affatto previsto la portata di questa avanzata.
Ma una previsione per il prossimo periodo va fatta lo stesso.
Nel momento in cui l’area di centrodestra prosciugata dal PD ratificherà pienamente la nuova leadership, si troverà anche la quadratura per eleggere un nuovo presidente della Repubblica in luogo dell’esausto Napolitano: un Draghi o un suo simile che benedica un’era di nuove privatizzazioni e di ulteriore precarizzazione del lavoro.
Di fronte all’odierno distacco di 20 punti percentuali tra PD e M5S, l’ancora molto rilevante opposizione del movimento fondato da Grillo dovrà aprirsi a un modello di partecipazione politica diversa e a linguaggi che non potranno più continuare con lo schema attuale. In Europa abbondano gli esempi per un rinnovamento, a partire da Alexis Tsipras.
Intanto, ovunque la situazione si muoverà, sotto le nuove ombre di guerra che l’Europa ha riportato nel continente.
Europee: la vittoria di Gattopardo Renzi
di Senza Soste
I media avevano impacchettato queste elezioni come un match Renzi vs Grillo e le urne, disertate in massa (58% di affluenza), hanno dato il verdetto: ha vinto Renzi. O meglio, ha vinto il pacchetto di potere formato da Rai, Mediaset, La7, Gruppo Espresso, Rcs, Draghi, Bce e Fondo Monetario. Grillo ha perso una guerra ad armi impari perché in Italia l’80% dell’elettorato continua ad informarsi con la tv generalista dove viene applicato un monopolio di fatto a sostegno di Renzi che appare in tv con una frequenza maggiore di quanto facesse Ceausescu all’apice della popolarità.
Non deve quindi sorprendere l’apparizione di Grillo da Vespa che per molti è apparsa incoerente con quello che aveva sempre professato. Grillo ha dovuto ricredersi di fronte alla palese sproporzione di fuoco a disposizione del fiorentino. Per i poteri forti italiani non c’era da scherzare a questo giro e tutta la potenza di fuoco è stata scaricata a fianco di Renzi che ha divorato i voti di Berlusconi, di Monti e dei centristi.
Il Movimento 5 Stelle paga la propria inesperienza di fronte a questi giganti del potere costituito, ma paga anche tanti errori di inesperienza e di comunicazione oltre che ad un programma europeo troppo vago e una collocazione nel parlamento europeo non dichiarata. Ma paga anche, agli occhi di molti italiani che non lo hanno rivotato, la gestione politica della formazione dei governi dopo le elezioni del febbraio 2013 in cui non ha nemmeno provato a governare pur essendo il primo partito. E agli italiani, molto inclini alla conservazione e alla non conflittualità, non è piaciuto. Il M5S paga però anche le epurazioni e una struttura organizzativa che non ha saputo emanciparsi dal biunvirato Grillo-Casaleggio.
A Livorno il Pd alle elezioni europee ha preso circa il 53% mandando tutti i partiti di centrodestra sotto il 10% con percentuali effimere. I 5 Stelle arretrano al 22% ma per quanto riguarda le elezioni comunali le liste civiche (quelle di Cannito e Raspanti in primis) ridimensioneranno il voto del Pd che sul territorio avrà certamente percentuali più basse e probabilmente andrà al ballottaggio.
La balena bianca è tornata e niente di più vero è stato scritto pochi giorni fa su un muro di Livorno: RENZI GATTOPARDO
Guarda i risultati delle europee a Livorno
Redazione – 26 maggio 2014
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